16.3.14

Virginia Woolf e la critica letteraria (Ivan Tassi)

Chi ha letto il Diario di una scrittrice di Virginia Woolf, conosce gli sforzi e le battaglie che l’autrice ha ingaggiato con la penna per impossessarsi della vita nella sua essenza. Con la sua forma elastica, a «maglie larghe», il Diario funziona come un meraviglioso contenitore e allo stesso tempo come un giudice: se da una parte consente di catturare «momenti d’essere» in maniera più franca e disimpegnata di quanto non accada nei romanzi, dall’altra permette anche di sorvegliare i progressi della scrittura romanzesca e di rilanciare di giorno in giorno le scommesse della sua arte, in una infaticabile corsa al libro. Ma accanto al Diario, disposto a celebrare traguardi e sconfitte in una cerimonia di premiazione privata, esiste per la Woolf anche un altro campo di gara: la critica letteraria, che si incunea fra le performance creative dell’artista per costituire un vivace e funambolico esercizio in pubblico della sua intelligenza.
Gli Essays di Virginia Woolf hanno visto la luce in un arco di tempo che si estende dal 1904 al 1941 e sono stati pubblicati, tra il 1986 e il 2011, dalla Hogarth Press di Londra in un’edizione critica complessiva di sei volumi. Si comprendono allora i dubbi e l’imbarazzo denunciati da Liliana Rampello, nel momento in cui si è trovata a selezionare e curare i testi della Woolf che ora compongono la raccolta antologica Voltando pagina. Saggi 1904-1941 (Il Saggiatore). Si è trattato di farsi strada fra prove di alta levatura, per poi ricavare, a prezzo di inesorabili rinunce, un percorso suddiviso sia qualitativamente sia tematicamente.
La prima parte del libro raggruppa infatti Saggi maggiori di ampio respiro e più specifiche Occasioni e avventure di lettura, organizzando il materiale in cinque blocchi cronologici, ognuno contrassegnato dal riferimento al titolo di un romanzo della Woolf.

Sul metodo della lettura
La seconda parte propone invece una serie di incursioni in territori disparati – come la pittura, la guerra, la natura, la malattia – che si rivelano comunque di cruciale importanza per la ricostruzione dell’universo ideologico e affettivo della scrittrice.
È bene sottolineare che una simile operazione offre incontestabili vantaggi. Mentre la partizione cronologica ci permette di collegare l’esercizio critico all’orizzonte di una determinata stagione creativa della Woolf, la raccolta nel suo complesso, assemblando in un unico volume testi prima tradotti e pubblicati in opere sparse, lascia emergere un’idea decisiva: la critica letteraria, per la Woolf, è una forma di movimento e una libera attività della mente, impegnata innanzitutto a ridefinire, attraverso il proprio esempio concreto, le modalità, il «metodo» e i protocolli dell’atto di lettura.
Ma come si propone al pubblico la Virginia Woolf lettrice? Di certo come il più invidiabile dei modelli. Inesausta, iperattiva, la Woolf è capace di balzare di scatto, nelle sue ricognizioni da un libro all’altro, verso qualsiasi genere ed epoca. Sul suo tavolo di lavoro vediamo accumularsi alla rinfusa tragedie greche, romanzi russi, liriche, classici della tradizione inglese e francese, epistolari, volumi di memorie. Anche se il romanzo di ogni tempo finisce per rappresentare il terreno privilegiato delle esplorazioni, non sembrano esistere barriere all’intelligenza della scrittrice, disposta a misurarsi su più versanti in contemporanea e a conquistare mete sempre nuove, affidando il proprio istinto e la propria «sensibilità» alla guida della ragione.

Il rovescio della medaglia
La lettura, per questi versi, si rivela il nutrimento indispensabile al vigore della mente,ma anche un trampolino di lancio per buttarsi a capofitto nella creazione letteraria. Perché quando la Woolf indossa i panni del lettore si lascia alle spalle le zavorre superflue (come ad esempio le notizie sulla vita dell’artista preso in esame), guizza come una «lepre» e tiene gli occhi fissi su quanto «ha fatto» uno scrittore, sul suo «disegno» e sugli sforzi di ingegneria che gli hanno consentito di dare una «forma» al singolare «edificio» del suo libro.
Rispetto alla «passione per la scrittura», la critica – come leggiamo in una lettera che Virginia indirizza a Ethel Smyth nel 1932 – non è altro che «il rovescio della medaglia»: tanto che poi, se assieme ai saggi di Voltando pagina ci spingessimo a riaprire Mrs Dalloway o Al faro, resteremmo stupiti dalla prontezza con cui la Woolf, una volta riapprodata alla finzione, ha saputo far tesoro dei propri esercizi di lettura nel disegnare una sua personale forma-romanzo. Non è difficile accorgersi che a questi patti, attraverso la critica letteraria, la Woolf riesce a garantirsi molteplici tornaconti: primo fra tutti la possibilità di sbarazzarsi dei critici stessi, per ridefinire profilo, competenze e «responsabilità» del proprio lettore ideale.
Per Henry James il lettore di romanzi aveva il permesso di procedere «delicatamente», senza «spezzare il filo», a tappe di «cinque pagine al giorno»; secondo Nietzsche, al contrario, il lettore ideale doveva assomigliare a un «mostro di coraggio e curiosità» pronto ad avventurarsi in qualsiasi impresa a proprio rischio e pericolo. La Woolf, per parte sua, domanda invece al lettore di seguire il suo stesso esempio e di comportarsi come un «giovane», formidabile atleta che si lancia alla scalata dei grandi «edifici» della letteratura. Non le interessano le credenziali dei professionisti: la lettura, per lei, coincide con un «vigoroso esercizio all’aria aperta», con uno sport dell’intelletto da praticarsi al riparo dal torpore degli accademici e dal chiacchiericcio parassitario dei recensori di giornale.
È il «metodo» a rappresentare, in questa prospettiva, la più sicura delle salvaguardie. Il lettore dovrà infatti impegnarsi a valutare la «forma» delle opere senza lasciarsi distrarre dalla giuria dei critici, alimentando invece il proprio giudizio con la ginnastica mentale della comparazione. Per capire il «piano» di uno scrittore e il risultato della sua «osservazione» artistica della vita, sarà dunque indispensabile metterli a confronto con quanto è stato fatto, prima e dopo, sui campi di gara della letteratura. «Ogni libro – insiste la Woolf – discende da un altro libro». Solo grazie a una «storia delle forme» – che in parte ricorda quella auspicata da certi formalisti russi – saremo allora in grado di riappropriarci dell’antico «piacere» della lettura, che consiste nel tramutarsi, a tutti gli effetti, in «complici» o «compagni di lavoro» del romanziere, nel superare la sua stessa comprensione dell’opera e nel «ricreare» (o riscrivere) il suo libro attraverso la nostra attiva collaborazione. Anche perché poi di questo passo arriveremo a orientarci nel grande «caos» generato, secondo la Woolf, dalle innovazioni della narrativa contemporanea, magari fino ad apprezzare una delle sperimentazioni romanzesche della scrittrice, sottovalutate dai critici, e così audaci – testimonia ancora il Diario a proposito di Al faro – da richiederle talvolta di inventare un «nome nuovo» per definirle.

Questioni di giustizia
«La critica – affermava del resto Chesterton nel 1911, parlando di Dickens – non esiste per raccontare ciò che uno scrittore sa già da solo, esiste per raccontare di lui ciò che ancora non sa». È un’affermazione sottoscritta in più di un saggio di Voltando pagina. E tuttavia, se il lettore è in fin dei conti autorizzato a fondarsi soltanto sulle proprie ragionevoli «intuizioni», per chi scrive il critico letterario? La coraggiosa ridefinizione dei ruoli con cui la Woolf ci invita a riattivare il nostro ingegno, non rischia di ritorcersi contro di lei con una paradossale, improduttiva auto-squalifica? E non ci ricorda forse gli attacchi che in questi ultimi anni sono stati perpetrati a neutralizzare il mestiere del critico? Osserva in ogni modo la Woolf che «spesso il lettore si rivela estremamente ingiusto»: e dunque, per quanto finisca per «trarre le sue conclusioni da solo», non può mai essere abbandonato del tutto a se stesso.
La critica, come ci dimostra Voltando pagina, può rappresentare in ogni caso un tramite prezioso e insostituibile, una sorta di preparatore atletico, chiamato ad «allenare» il «gusto» dell’atleta lettore, ma disposto a farsi poi da parte al momento della gara coi testi. È proprio questo suggerimento che ci spinge ancora oggi a voltare pagina.


Alias-talpa – il manifesto, 15 gennaio 2012

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