13.4.14

Alla morte di Freud (1939). Le reazioni in Italia (Valerio Riva)

Il 24 settembre 1939, giorno successivo alla morte di Sigmund Freud, cadde la Polonia. I giornali italiani, pieni com'erano delle notizie della guerra, non diedero la notizia che a Maresfield Gardens, Londra, si era spento il padre della psicoanalisi. Il "Tevere", quotidiano del razzista Interlandi, al posto della notizia del decesso di Freud, dava una fotografia in cui sì vedevano generali tedeschi e russi assistere insieme allo (testualmente) «sfilamento» delle loro truppe. E nessuno poteva supporre allora che la fama del piccolo ebreo viennese sarebbe sopravvissuta a quella di quegli oscuri generali, rappresentanti di due totalitarismi che avevano cercato in ogni modo di soffocare il movimento psicoanalitico. Gli unici due giornali in lingua italiana che, qualche giorno dopo, pubblicarono il necrologio di Freud furono (negativamente) "La difesa della razza" (Alfonso Petrucci) e (positivamente) l'"Osservatore romano": «la psicoanalisi», scriveva l'estensore della nota, Guido Landra, era un «nuovo sforzo, per vie inesplorate e con metodi inusitati, e, quel che più conta, nell'assoluta libertà da preconcetti di qualsiasi genere, di rispondere all'imperativo socratico, al "conosci te stesso" ». Ma anche Guido Landra era un razzista, benché cattolico, autore insieme con pare Agostino Gemelli, di un manuale di “Antropologia e psicologia". Gemelli era un uomo ambiguo; e come molti cattolici italiani (specie quelli più influenzati dal pensiero cattolico francese) conservò sempre una curiosa ambivalenza nei confronti della psicoanalisi (con molte prudenti attenuazioni dopo il 1937 e le leggi razziali). Il razzismo mussoliniano aveva del resto fatto tabula rasa del freudismo in Italia (benché Mussolini fosse stato per un certo tempo flatté da una certa curiosità di Freud per lui). Solo Marco Levi-Bianchini (ebreo, ma molto ammanicato con il fascismo) riuscì a continuare a pubblicare libri e articoli su Freud fino alla caduta del fascismo.
Rimaneva tuttavia, mezzo clandestino, un tenace gruppetto di fautori della psicoanalisi (tra cui Èrcole Morselli, della stessa famiglia ma di una generazione più anziano dello scrittore omonimo). Persino sul "Selvaggio" dell'ultrafascista (stanco) Mino Maccari, Albino Galvano scrisse, nell'ottobre '39, alcune espressioni di stima per Freud e di disprezzo per i razzisti. Fu solo dopo la guerra che il fuoco della psicoanalisi, tenuto in Italia sotto la cenere per più di 10 anni, divampò impetuoso (anche se, fino al 1968, si trovò a dover fare i conti con un altro clan di nemici: Togliatti e gli stalinisti del Pci).


“L'Europeo”, 20 settembre 1979

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