12.4.14

Attualità di Montaigne (Simona Merini)

Tenendo conto dell'ammonimento di Michel de Montaigne a non «ostinarsi a tracciar di noi un insieme «stabile e solido» e della sua idea che «noi siam fatti tutti di pezzetti, e di una tessitura così informe e bizzarra che ogni pezzo, ogni momento va per conto suo», sembra ragionevole il proposito dei curatori della nuovissima edizione dei suoi celebri Essais (per “la Pléiade” di Gallimard, n.d.r.) di sostituire alla «ricostruzione archeologica» che ne avevano fatto Strowsky e Villey nel 1922 «un testo reale, un'opera vivente»: la versione data alle stampe dopo la morte dell'autore dalla sua ventitreenne «figlia elettiva», Marie de Gournay, da lui amata «più che paternamente».
Senza pretendere di inventare la versione "ideale" degli Essais, l'opera che viene oggi presentata al lettore è quindi meno ordinata, più coerente con la caratterizzazione che ne da il suo stesso autore: una rapsodia (dal verbo greco rhaptein, cucire) che mette insieme quasi 1.400 citazioni, per lo più da autori latini, una raccolta di appunti, di «schizzi», di «disegni», una «registrazione di diversi e mutevoli eventi e di idee incerte e talvolta contrarie», un «autoritratto».
Da questo grande affresco di quel che è passato per la mente di un uomo sono state tratte le lezioni più diverse. Buona parte di quel che a noi sembra interessante di Montaigne — le sue intuizioni fulminanti, il suo stile, il suo parlare scettico, la natura "mobile" e rivedibile della sua saggezza — fu trattato come amabile stravaganza dai suoi contemporanei, che preferivano il suo lato stoico e sentenzioso. Fu invece apprezzato, seppure in modi diversi, dagli scettici e dai libertins della prima metà del Seiceato (a partire da Pierre Charron fino a Gassendi, Cyrano de Bergerac, La Mothe Le Vayer e Gabriel Nandé). Anche Bacone, Shakespeare e Joseph Glanvill, in Inghilterra, si ispirarono a lui. Non piaceva invece al sistematico Descartes e a Pascal che lo considerava "confuso" e fu messo all'Indice romano — che non gradiva il suo scetticismo e la sua comprensione per le ragioni dei protestanti — nel 1676 (in Spagna già nel 1640!). 
Le sue idee sull'educazione, sui miracoli e sulla tolleranza ispirarono molti Illuministi, da Locke a Hume, da Voltaire a Diderot. I romantici ritrovarono in lui la riscoperta della tradizioni popolari e il ritorno alla natura. Nietzsche ne apprezzò l'«audace e alacre scetticismo». Claude Lévi-Strauss ha reso omaggio al Montaigne etnologo traendo ispirazione per Il pensiero selvaggio (1962) dal suo saggio sui cannibali. E poi Andre Gide, Leonardo Sciascia e un lungo elenco di scrittori e filosofi del Novecento.
Cosa ci attrae dì Montaigne nel 2000? Sembra scontato rispolverare il suo scetticismo — anche se forse serve a ricordarci che si può essere cattolici e scettici (o relativisti) al tempo stesso — o il suo stile quasi «da Internet», fatto di pensieri sparsi da cui ciascuno può attingere liberamente gli insegnamenti di cui sente il bisogno. Ci ripete continuamente che con le sue opere non vuole insegnare nulla, ma dalla sua vita si può trarre qualche utile ispirazione. Per esempio, il coraggio di prendere le distanze dal potere, di allontanarsi dalla vita politica non perché sconfitti, o delusi, o pessimisti, ma semplicemente per riflettere e migliorare.

Francois Mitterrand si è fatto un giorno fotografare con i saggi di Montaigne sotto il braccio. Non ricordo di aver visto foto di politici nostrani con un libro (di Montaigne o di altri). Forse dovrebbero riflettere su uno dei suoi aforismi: «Capita alle persone veramente sapienti quello che capita alle spighe di grano: si levano e alzano la testa dritta e fiera finché sono vuote, ma quando sono piene di chicchi cominciano a umiliarsi e abbassare il capo».

"Il sole - 24 ore", 24 giugno 2007

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