2.4.14

Guai a te, amazzone! Ottaviano come Teseo (Lidia Storoni)

Il Teseo in marmo pario che decorava il frontone
del tempio di Apollo Medico Sosiano in Roma
ora al Museo della Centrale Montemartini
L'articolo prende le mosse dall'esposizione in Campidoglio, 29 anni fa, della ateniese Amazzonomachìa di marmo, ricostruita dal sovrintendente La Rocca, che aveva decorato il tempio di Apollo Medico Sosiano, sito a Roma, vicino al teatro di Marcello. Mi pare una pagina eccellente, che va al di là della buona divulgazione perché, usando come chiave un piccolo episodio di storia monumentale, apre squarci importanti sia sulla storia politica sia sulla storia delle mentalità nell'antica Atene e nell'antica Roma. Oltre alla lettura si consiglia una visita. (S.L.L.)
I resti del Tempio di Apollo Medico Sosiano
vicino al teatro di Marcello, in Roma
Se si tengono lontani dall'arco di Tito - perché vi sono rappresentati gli arredi sacri del tempio di Gerusalemme ammassati sui carri del trionfo - altrettanto gli ebrei romani dovrebbero fare con le tre colonne corinzie vicine al teatro di Marcello, alle porte del ghetto. Sono le sole rimaste del Tempio di Apollo Medico, detto Sosiano dal nome di Caio Sosio, un generale di Antonio che fu governatore di Siria e Cilicia, console nel 32 a.C., e che finanziò l' edificio sacro con il bottino d'una campagna in Giudea, la provincia indomabile. Quel santuario era il ripristino, o la ricostruzione, d'un tempio antichissimo più volte restaurato. Era stato dedicato al dio greco nella sua qualità di "guaritore" nel 431 a.C., in occasione d'una pestilenza; ma il vero intento del console, "sponsor" dell'ultimo rifacimento, era quello di eternare nel marmo il ricordo del proprio trionfo, celebrato due anni prima.
Controlliamo sui Fasti la lista dei nomi di tutti i trionfatori, da Romolo in poi, che Augusto fece affiggere sotto i fornici dell' arco eretto in suo onore e che ora vediamo, con la loro cornice michelangiolesca, nella sala della Lupa: Sosio trionfò "ex Judaea" quattro giorni prima delle None settembrine, l'anno 719 di Roma: il 3 settembre del 34. Quel trionfo, quell'edificio erano le battute estreme della tregua tra Ottaviano e Antonio. Non mos, non jus, scrive Tacito di quel periodo: non c'era più legalità né rispetto di quelle regole di condotta che costituivano il codice etico romano. Mentre Antonio in Egitto si atteggiava a Faraone, i suoi ufficiali a Roma ostentavano i successi riportati nelle campagne d'Oriente e ne sperperavano il frutto in grandiose opere pubbliche, a maggior gloria dell'assente. Quel tempio dedicato ad Apollo sembra racchiudere un più pungente intento polemico contro Ottaviano, il quale si proclamava protetto dal dio greco e addirittura suo figlio: la castità delle madri non contava, quando si trattava di propaganda.
Negli anni successivi, dopo la scomparsa di Antonio e Cleopatra, Ottaviano, ormai Augusto, concesse a Sosio un titolo religioso, che comportava la consultazione dei libri sibillini; gli riconosceva dunque una certa famigliarità con il suo nume tutelare, al quale peraltro aveva dedicato un nuovo santuario sul Palatino, a un passo da casa sua. Benché indenne e reintegrato nelle cariche, Sosio tuttavia non si può chiamare un "pentito" e nemmeno un "dissociato"; il perdono del principe lo raggiunse in esilio, ma fino all'ultimo egli era rimasto al fianco di Antonio e ad Azio comandava l'ala sinistra della flotta. Quel giorno però dalla vetta di Leucade Apollo aveva lanciato i suoi dardi sui numi bestiali dell' Egitto, mostrando clamorosamente la sua predilezione per Ottaviano.
Una volta solo al potere, questi volle imprimere il proprio messaggio politico sul vecchio tempio: lo dimostrano i motivi ornamentali, come l'alloro scolpito nel marmo, che hanno un significato allusivo. Ma soprattutto il frontone, che si ritiene prelevato da un tempio di Eretria, in Eubea, rappresenta un manifesto augusteo e quindi si può ritenere collocato sulla facciata del tempio dopo il 31 a.C.; se le statue di marmo pario furono portate via dalla Grecia, non fu arrogante spoliazione, ma un atto di pietas verso immagini sacre cadute da un tempio distrutto, in una città rasa al suolo. Fu, al tempo stesso, un sottile calcolo politico: esse hanno, infatti, una portata ideologica ben precisa.
La ricostruzione dell'Amazzomachìa che decorava
il tempio di Apollo Medico Sosiano in Roma
ora al Museo della Centrale Montemartini
E' il frontone che vedremo esposto in Campidoglio da martedì 16 aprile. Il Direttore dei Musei Capitolini, Eugenio La Rocca, lo ha ricostruito con un lavoro paziente che dura da anni, rintracciando, accostando frammenti dispersi e altri disordinatamente deposti nei magazzini del Teatro di Marcello quando, dal 1927 al 1932, fu compiuto l'isolamento della zona e dalla cavea del teatro venne asportata la terra che lo colmava. Da quel terriccio millenario furono estratte le tre colonne e parte dei marmi, disgraziatamente mùtili e decimati. Identificare brano a brano le figure, ricostituire la loro disposizione nello spazio, interpretare mediante raffronti con altri esemplari esistenti o con fonti letterarie il soggetto che rappresentano, individuare il luogo d'origine più probabile, la data presumibile in cui furono eseguite e, forse, l'autore o la scuola a cui appartengono, intuire il significato che si volle dare alla composizione nel momento in cui fu creata e quello che essa acquistò quando fu riutilizzata a Roma: questi ed altri ancora sono stati i filoni d'indagine che La Rocca ha percorso.
A molti di questi interrogativi è stata data una risposta: la scena rappresenta una battaglia tra Greci e Amazzoni. Atena, al centro, Herakles alla sua destra, Teseo poco lontano incoronato da Nike, la Vittoria; altri combattenti caduti o raffigurati in varii atteggiamenti. Herakles aveva mosso guerra a Ippolita, la regina delle Amazzoni, per sottrarle la cintura donatale dal padre Ares come insegna del potere. Lo accompagnarono molti amici, tra cui Teseo; a questo il capo donò come premio per il suo valore la giovinetta Antiope, sorella della regina (secondo altre versioni, fu lui a rapirla o fu lei, per amore, a tradire le compagne e consegnare la città). Ippolita, per vendetta o per recuperare la sorella o per punirla, mosse dalla Scizia verso l'Attica e assediò l'Acropoli di Atene. Il giovane re, Teseo, riuscì a respingere quell'esercito di femmine assatanate, liberando Atene dal pericolo di cadere sotto lo scettro d' una donna.
A questo punto, tornano alla mente i versi di Orazio su Cleopatra: "forsennata, la regina preparava lutti e rovine al Campidoglio e all' impero". Nell'antico frontone greco, contemporaneo dei marmi fidiaci del Partenone e quindi eseguito nella seconda metà del V secolo a.C., è Teseo il vincitore ed è chiara, secondo l'attento studio di La Rocca, l'assimilazione del giovane Ottaviano a Teseo, di Ippolita a Cleopatra, delle feroci guerriere scitiche alle truppe egizie. Dei villaggi sparsi nell' Attica il giovane re aveva fatto una sola città, Atene, la pòlis esemplare; qui egli non è visto come l'adolescente che sventa insidie misteriose, che esce indenne dal Labirinto dove ha ucciso il Minotauro e salvato i compagni, e che, dopo queste prove iniziatiche, perviene alla maturità; qui Teseo è l'esponente dei valori essenziali della grecità e rappresenta la proiezione mitica di Ottaviano. Anche Ottaviano, adolescente ancora, aveva superato ardue prove e, forte del consenso degli italici, salvato Roma dal "fatale monstrum", l'odiata regina portatrice di istituzioni e ideologie antitetiche a quelle romane.
Le statue mirabili di cui vediamo i frammenti nel frontone ricomposto furono collocate sul tempio di Eretria negli anni in cui Atene celebrava le sue vittorie sulla Persia. Valorizzare Teseo a fianco dell'eroe dorico Herakles, anzi al di sopra di lui, significò attribuire ad Atene la leadership del mondo greco contro i barbari persiani e riconoscere alla città egemone la gloria d' averli respinti. Dopo quelle vittorie memorabili, con la storia, la poesia ed il marmo Atene creò la propria identità etnica e ideologica, presentando al mondo il volto che avrebbe conservato nei secoli: quello d'una comunità singolare per l'amor patrio, baluardo dei valori - democrazia, libero dibattito, rispetto dell'individuo - che, fatte le debite differenze, sono ancora i valori europei. Mentre, con l'occupazione della Spagna, della Gallia e della Britannia, Roma diffondeva quella cultura nell'Europa occidentale, ereditava al tempo stesso la funzione di barriera dell'Occidente. L'avere scelto Teseo come propria controfigura dimostra ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, lo straordinario intuito politico di Augusto, la sconfinata astuzia e l' esatta valutazione dei compiti che la storia gli assegnava.


“la Repubblica”, 12 aprile 1985  

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