13.4.14

Nostro psicanalese quotidiano. Usi e abusi (Edoardo Sanguineti)

Per i cinquant'anni della morte di Freud “l'Unità” chiese a Edoardo Sanguineti un contributo sulle conseguenze della “rivoluzione psivanalitica” nell'uso linguistico. Ne venne fuori questo breve a saggio, a mio avviso magnifico. (S.L.L.)
Il naso di Edoardo Sanguineti
Nel 1938 Marcel Mauss in uno splendido saggio sul concetto di “io” ne tracciava a grandi linee la storia «da un semplice mascheramento alla maschera, da un personaggio a una persona, a un nome, a un individuo, da questo a un essere di valore metafisico e morale da una coscienza morale a un essere sacro, da questo a una forma fondamentale del pensiero e dell'azione». Il punto d'approdo era segnato dalla nascita dell'«io» (das Ich) come «cate goria» poiché da quel momento «la rivoluzione delle menti è un fatto compiuto ciascuno di noi ha il proprio io, eco delle Dichiarazioni dei diritti che avevano preceduto Kant e Fichte».
Pochi anni prima però, nel 1932, rielabo rando alcuni passi di L'Io e l'Es (1922) nella lezione 31 della sua Introduzione alla psicoanalisi Freud innalzava a titolo La scomposizione della personalità psichica, scrivendo tra l'altro, a superamento dell'uso impreciso di «inconscio» (e di «sistema Ubw» Unbewussf): «Adeguandoci all'uso linguistico di Nietzsche e seguendo un suggerimento di Georg Groddeck, lo chiameremo d'ora in poi Es. Questo pronome impersonale sembra particolarmente adatto a esprimere il carattere precipuo di questa provincia psichica, la sua estraneità all'Io»
E aggiungeva: «Super-io, Io ed Es sono dunque i tre regni, terrritori, province, in cui noi scomponiamo l'apparato psichico della persona». Per quella storia delineata da Mauss così veniva a definirsi un determinante capitolo nuovo, più che abbozzato in piena fine di secolo e destinato ormai a reagire retrospettivamente anche sopra tutti i precedenti paragrafi.
L'esempio addotto, inoltre, illumina bene con un caso cruciale come il freudese sia stata lingua complessa e stratificata dinamica e problematica, il che è troppo nolo e troppo evidente né occorrerebbe ripeterlo, se non fosse utile aggiungere che Freud per primo ebbe a preoccuparsi degli abusi a cui il nascente psicanalese si trovava anche troppo facilmente esposto. Valga anche per questo un singolo documento nella Storia del movimento psicoanalitico edita nel '14 Freud polemizza con la dottrina dei «complessi» di Jung quale era nata «dai suoi studi sull'associazione verbale degli anni 1906-1909, e oserva che se la dottrina appare inaccoglibile «la parola complesso invece ha acquistato diritto di cittadinanza nella psicoanalisi come termine adeguato e spesso indispensabile per la descrizione riassuntiva di uno stato di fatto psicologico. Nessun altro fra i nomi e le designazioni coniati per le esigenze della psicoanalisi ha raggiunto popolarità così grande né è incorso così spesso in applicazioni abusive a detrimento di formazioni concettuali più precise. Nel gergo degli psicoanalisti si è incominciato a parlare di ritorno del complesso quando ci si riferiva al ritorno del rimosso oppure si è presa l'abitudine di dire ho un complesso contro di lui quando l'unica espressione corretta sarebbe stata ho una resistenza contro di lui».
Oggi in una situazione in cui parliamo tutti psicanalese come tanti gentiluomini borghesi in prosa senza nemmeno avvedercene, rigori concettuali e coscienza filologica sono fatalmente anche più rilassati se non fatalmente accantonati. Del resto a discorrere di psicanalese al minimo si incominciò nel 78 (A Milano si parla in 'psicanalese' era un titolo sul Corriere del 29 settembre per un articolo di Cesare Medail che riferiva tuttavia di studi e di convegni) e Luca Goldoni qualche anno dopo (su quel medesimo giornale, 12 giugno 1982) rispondendo a una lettrice si domandava Lo psicanalese è lessico familiare? E lamentava che sopra i periodici come nel discorso quotidiano si affollassero ogni giorno nuove «sindromi (della cinquantenne, della casalinga, dell'adolescente represso. della femmina castrata ecc.)» mentre una liceale «non riesce più a ingranare col suo boy» perché quello "ha un Edipo pazzesco” e la massaia spiega al professore dei figlio nel debito colloquio che costui «ha dei problemi» avendo avuto «una crisi di identità alla nascita della sorellina» o nutrendo un invincibile «rifiuto del padre».
La verità è che in quel grande decorso che muovendo da Freud diramò dapprima, con elementare scarto, tra Adler e Jung si sono immessi ormai, dal kleinese al lacanese, tanti e tali immissari che usi e abusi diventano sempre più difficilmente discernibili, proprio come avviene necessariamente ogni volta che una lingua speciale dilatandosi e facendosi sempre più infrenabilmente pervasiva, viene a colorare di sé un po' tutto il nostro vocabolario. Il problema di fondo a questo punto non è con quanta frequenza e con quanta distorsione oggi si possa discorrere, per attenerci al freudese, di libido e di latenza, di scena primaria e di pulsione di morte, di fase orale e di fase anale, di transfert e di controtransfert, di regressione e di proiezione, di sublimazione e di invidia del pene, anche perché c'è sempre un Laplanche-Pontalis, volendo, a portata di mano e di stretto controllo. Il nodo vero, piuttosto, nella coscienza collettiva o, se vogliamo, nell'inconscio collettivo, rispecchiato fedelmente nel lessico e nei colori verbali, riposa sintomaticamente in una crisi irreversibile della «categoria dell'io» (dell'«io come categoria») in favore per un verso di un “io diviso” e per altro verso di un “io minimo”, secondo il valore anche più traslato che tecnico delle due denotazioni.
Così, se non rischiasse di apparire un motto di spirito degno di analisi, esplodono congiunti da un po' di anni a questa parte un «ego fragile» e un «ego inflazionato», un «ego debole» e un «ego narcissico».
E il narcisismo (una parola, sia detto per inciso, che Freud non sapeva nemmeno più se restituire a Nacke o a Ellis, ma che dai tempi della freudiana Introduzione al narcisismo ad ogni modo ha compiuto non poco cammino e attraversato non lievi metamorfosi) ci piove intanto da ogni parte.
Ma lo psicanalese, conviene ancora rilevare, non è soltanto psicanalese e cioè un fenomeno lessicale e concettuale. È anche un fenomeno grammaticale. È una struttura sintattica. Le due grandi forme del «lavoro onirico», la «condensazione» e lo «spostamento», due categorie che sono penetrate in tutte le scienze umane, dall'antropologia alla linguistica, anche in veste tradizionale di «metafora» e di «metonimia», hanno fornito, con nuovi codici comunicativi, nuovi costrutti mentali nuove forme di organizzazione all'immaginario e al vissuto insinuandosi tra principio del piacere e principio della realtà. Le sperimentazioni pionieristiche di «scrittura automatica» nell'attività surrealista non possono affatto ridursi a una sezione chiusa negli archivi dell'avanguardia storica. Una pratica dell'inconscio, in un certo senso, ha portato davvero l'immaginazione al potere ben oltre i recinti ormai classici dei Champs magnétiques, del Chien andalou, della Femme 100 tétes. Non parlo di estetica pura, ma del fenomeno sociale verificabile in videoclip come in videospot. Così intorno al potere dell'immaginario e ai meccanismi della persuasione occulti e alla sintassi dell'inconscio in genere non sarà male ritornare un po' a meditare, di questi tempi.


“l'Unità”, 23 settembre 1989

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