5.4.14

Poveri, ma innovativi. Il peccato di Matteo Renzi (Roberto Monicchia)

Riprendo dall'ultimo "micropolis" la battaglia delle idee, scritta da Roberto Monicchia. Mi pare un testo su cui riflettere al di là dell'occasione che ne ha stimolato la redazione. (S.L.L.)
Forse è superfluo proporre una critica del nuovo capo del Pd e presidente del consiglio Matteo Renzi a partire dalle sue opzioni ideali: per giudicare l'uomo e il personaggio bastano e probabilmente avanzano gli atteggiamenti, il linguaggio, le scelte e le azioni quotidiane. Tanto più sapendo che il segretario fiorentino (absit iniuria verbis) appartiene a una cultura politica che rifiuta programmaticamente il ragionamento approfondito e le complicazioni della teoria, relegata nel buco
nero delle ideologie e sostituita dalla frase ad effetto e dallo slogan da talk-show. Ma chi come noi il vecchio vizio della giustificazione dialettica non l'ha mai perso, non poteva resistere al richiamo - rilanciato alla grande da "Repubblica" - del "Manifesto del Renzi-pensiero", ancor più se esso si presenta come introduzione alla nuova edizione del famoso saggio di Norberto Bobbio Destra e sinistra.
Il furbo Renzi non si accoda alla affermazione corrente secondo cui le categorie classiche di destra e sinistra sono prive di senso, e anzi ne rilancia la necessità, auspicando di passaggio anche per l'Italia un bipolarismo all'americana, e ritenendo addirittura poco più che un escamotage dialettico la nozione di centro-sinistra. Il problema si pone nella definizione dell'elemento discriminante. Come è noto Bobbio individuava nella rivendicazione dell'uguaglianza il tratto distintivo della sinistra, imprescindibile anche dopo le prove e le trasformazioni del '900. Per Renzi questo obiettivo - o valore, principio, idea limite che dir si voglia - non basta e non serve ad affrontare le sfide di oggi, quindi a definire una sinistra moderna. Quel principio si è inverato nelle politiche di welfare del '900, ed è stato lo strumento con cui la socialdemocrazia ha costruito le sue fortune e sconfitto... il comunismo, suo principale antagonista storico. Insomma, l'uguaglianza sociale si è già realizzata, adesso la sinistra per avere un senso deve andare oltre, e Renzi si dice convinto - la sicumera non gli manca - che Bobbio stesso avrebbe aggiornato la sua proposta.
Dunque altre dicotomie identitarie devono definire la distinzione sinistra-destra; e qui il nostro può sciorinare la nota fantasia lessicale: Blair, un gigante politico e morale della sinistra mondiale (dalla guerra in Iraq alla questione palestinese) ha parlato di aperto/chiuso, Renzi ritiene possibile anche avanti/indietro ma - forse per timore di passare dalla teoria politica al codice stradale o al kamasutra - ripiega alla fine sulla più banale coppia innovazione/conservazione. Dopo tanto girovagare, insomma, si ritorna al "nuovismo" veltroniano: non proprio una grande novità, appunto.
Ma si tocca un punto chiave. La categoria dell'innovazione, insieme a quella delle riforme, infatti, è stato lo strumento ideologico del trentennio della controffensiva capitalistica e di politiche economiche che hanno provocato la crisi e continuano ad impedirne la soluzione. E' proprio l'appello generico a "innovazione" e "riforme" che ha generato l'indistinzione tra sinistra e destra, o meglio l'assimilazione della sinistra alla destra. Thatcher e Blair, per esempio, sono entrambi considerati "innovatori", e gli esiti delle loro politiche sono analoghi; ma la distruzione del welfare era un obiettivo dichiarato solo dai conservatori. Proprio inseguendo l'innovazione come valore in sé, la sinistra ha perso la sua ragione d'essere ed è stata sconfitta in tutte le sue versioni (non solo quella comunista).
Il peccato ideologico di Renzi (ideologia come falsa coscienza) consiste nel far finta di non vedere che la diseguaglianza sociale è ancora - oggi più di venti anni fa - decisiva per capire il mondo e discriminante tra chi vuole cambiarlo e chi vuole lasciarlo com'è. Ha ragione Rossana Rossanda a dire che con queste affermazioni si abbandona definitivamente, anche sul piano simbolico, ogni richiamo al socialismo. La contemporanea adesione al Pse non va in controtendenza, semmai indica che il problema non è solo del Pd, ma dell'intera sinistra europea. Si può sorridere degli artifici retorici di Renzi, ma il riflesso concreto è piuttosto serio, se a considerare l'uguaglianza un problema risolto è il premier di un paese che ha un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 40% e in cui i redditi da lavoro portano quasi da soli il peso del fisco. La si prenda dal cielo dalla teoria o dalla terra della pratica, la conclusione è la stessa: nessuno si faccia illusioni.

“micropolis”, marzo 2014

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