16.5.14

Garcia Marquez, il cineasta che diventò scrittore (Roberto Silvestri)

"Tra il 1953 e il 1955 noi quattro, che ora ci siamo messi al comando di questa impresa, abbiamo studiato insieme al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma: il regista cubano Julio Garcia Espinosa, poi vice ministro della cultura a Cuba, il regista argentino Fernando Birri, padre del nuovo cinema latinoamericano, l’altro regista cubano Tomas Gutierrez Alea, uno dei nostri più pregiati gioielli e io, che sebbene desiderassi diventare, sopra ogni altra cosa, un regista di cinema, non lo sono mai diventato". Queste parole sono tratte dal discorso inaugurale della “Fondazione Nuevo Cinema Latinoamericano” all’Avana, il 4 dicembre 1985, dal titolo Si accettano donazioni.
Chi parla è Gabriel Garcia Marquez, detto Gabo, scrittore, giornalista, professore e intellettuale colombiano, leggenda della cultura latinoamericana (o meglio trilateral-americana: ispanica, portoghese e caraibica) e autore del best seller Cento anni di solitudine, premio Nobel per la letteratura nel 1982, morto a Città del Messico giovedì 18 aprile, dopo una lungo e duro combattimento contro il cancro. Ma Gabo è stato anche un importante cineasta, per quanto piuttosto frustrato, come abbiamo letto. E più di Vargas Llosa, Octavio Paz, Nestor Almendros e Jorge Semprun, compagni di strada via via sempre più disillusi da aspetti discutibili del socialismo di Fidel Castro, gli è sempre stato amico e si è voluto ‘sporcare le mani’ con la rivoluzione, impegnandosi in prima persona per concretizzare un grande utopia, altrove impensabile. La nascita di un cinema autonomo dei tre mondi.
Senza cultura, niente crescita. E senza riflessione complessa sulla propria storia non c’è cultura. Altro che realismo magico: tutta la sua opera non è che ‘un documentario’, come amava dire. Non si può comprendere la sua scrittura senza collegarla profondamente alla storia politica della Colombia e dintorni, dal massacro dei contadini ad opera della multinazionale americana United Fruit del 1929 all’assassinio del leader liberale colombiano Jorge Gaitan e di Omar Torrijos, militare progressista e uomo politico forte di Panama dal 1968 al 1981, colpevole di essere ‘ostile agli interessi Usa’ e dunque eliminato dalla Cia.
Un progetto incompiuto di Marquez era proprio quello di realizzare un documentario sul nazionalista panamense. La magia è stata proprio la capacità di far diventare questa storia e questi orrori un romanzo, Cento anni di solitudine, di immenso successo popolare. Il sogno trentennale dei quattro giovani cineasti sudamericani, innamorati ed eredi di Rossellini e Zavattini, era infatti quello di difendere il diritto all’auto-rappresentazione, di creare un ‘luogo di fusione’ tra differenti culture e generazioni del continente e dare continuità e spessore teorico all’altro cinema mondiale (“una cinepresa in mano una idea in testa”) si era finalmente realizzato con la Fondazione: “una prova in più della forza costituente che ha una idea indistruttibile”, aggiunse Marquez in quel discorso.
La vita da studenti in Italia, nella capitale neorealista, dei quattro amici non era certo stata facile. Titon Alea mi ricordava la grande umiliazione dell’orgoglio patriottico provato, da lui e da Espinosa, leggendo sul “Messaggero”, a proposito del dilagare in occidente del cha cha cha , di quella magnifica e contagiante “danza di origine argentina”. “No. Era un ballo cubano”. Adoravano, però, Cinecittà e la città eterna, quel gesticolare barocco dei romani, il loro vivere pienamente la ‘terza dimensione’, contagiando di teatro e ‘cinema’ tragico, comico e melodrammatico la vita delle strade e delle piazze (lo sradicato Pasolini viveva quelle stesse emozioni, e negli stessi mesi), anche se, nella loro qualità di uditori al Csc, ebbero non poche difficoltà a lavorare sui set professionali.
L’unica avventura di Marquez fu di partecipare, come terzo assistente alla regia, a un film di Alessandro Blasetti (deve trattarsi di Peccato che sia una canaglia, 1955 o di La fortuna di essere donna, 1956). “La cosa mi provocò grande allegria. Non tanto per una questione di prestigio personale, quanto per il fatto di conoscere la protagonista del film, Sophia Loren. In realtà il mio lavoro consistette più che altro nel reggere una corda e impedire a passanti e curiosi di disturbare le riprese”.
Tra le iniziative più importanti e ambiziose della Fondazione ci fu la storica creazione della “Escuela Internacional de cine y tv di San Antonio de los Banos” a Cuba (a 30 km dall’Avana), aperta il 15 dicembre 1986 e affidata inizialmente a Fernando Birri. Spartana per i mezzi (era oltretutto il ‘periodo speciale’, tutto razionato, la grande crisi succeduta al crollo del socialismo reale, con lunghe file ai distributori di benzina, tranne per chi possedesse dollari), ma ricchissima per competenza dei professori ed entusiasmo virale degli allievi. L’ho visitata nel 1990 proprio su invito di Birri, allora direttore, per presentare una rassegna internazionale di film politici, visionare i saggi di laurea, di alto livello professionale (uno era piuttosto ‘scottante’ e non fu facile vederlo. Era un reportage su cosa succederà a Cuba quando muore Fidel… e tutti rispondevano terrorizzati dall’incubo di una successione del fratello, il ‘secchione’ e più dogmatico Raul…) e per raccontare ai ragazzi qualcosa sul nuovo cinema e sulla nuova televisione italiana (allora andava forte la ‘tv verità’ di Guglielmi/Ghezzi) ed europea. Si toccava con mano l’emergere di una generazione, colta, spregiudicata e originale, capace di rompere con i padri solo lì dove si doveva, ma ambiziosa, tanto che aggredì presto perfino Hollywood, e dalla porta principale, da egemoni unghiuti (Inarritu, Roberto Rodriguez, Guillermo Del Toro, Walter Salles, Cuaron, Lucretia Martel, Meirelles…stavano per esplodere).
Ho conosciuto Espinosa, il teorico del cinema ‘imperfetto’, tuttora coinvolto nella definizione di un terzo cinema, strumento in mano alle moltitudini in lotta, né per assopire le masse (il cinema commerciale) né per divertire le sole élites colte (il cinema d’autore), il regista brasiliano Orlando Senna, che sarebbe diventato il direttore della scuola dopo Birri, e giovani talentuosi come Bartolomeo Mariano e Alice de Andrade, la figlia di Joaquim Pedro, una colonna del cinema novo brasiliano. Il costo di iscrizione alla scuola (per tre anni, vitto e alloggio a spese della Fondazione) è, oggi, di 15 mila euro (ma copre solo il 15% delle spese, il resto proviene dalla cooperazione internazionale). Purtroppo le iscrizioni sono state sospese dall’attuale direttore, Rafael Rosal, nel settembre del 2013, per gravi problemi finanziari e dopo uno scandalo che ha coinvolto tre dipendenti della scuola, accusati di appropriazione indebita. 810, finora, gli allievi diplomati.
Chi conosce bene gli scritti di Marquez sa che il cinema è sempre stato presente, in campo, o nel fuori campo, nella sua prosa. Per il montaggio ‘magico’ della sua prosa, non in senso orientalista e esotico, ma proprio per la sua inarrestabile potenza, realisticamente multi-stratificata; per l’attività di rigoroso critico cinematografico svolta nel suo periodo giornalistico; perché ha seguito nel 1985 Miguel Littin, regista esiliato, nel suo viaggio-reportage clandestino nel Cile di Pinochet, e perché, per esempio in Un giornalista felice e sconosciuto, (Feltrinellli, 1974), non c’è pagina che non ricordi film, star e avvenimenti cinematografici: la morte di Bogart, le ‘nozze strane’ di Loren, la Lollo, Grace Kelly trasformata in principessa, lo scandalo Rossellini & Ingrid Bergman, la James-Dean-mania, Brigitte Bardot, Un re a new York di Chaplin…
Gabriel Garcia Marquez, nei suoi 87 anni, in realtà non solo ha diretto un cortometraggio, La langusta azul, saggio scolastico a 8 mani del 1954. Ma ha scritto, a parte racconti e romanzi saccheggiati da registi, oltre 50 tra soggetti, sceneggiature originali che sono diventati film e serie televisive dirette da Francesco Rosi (Cronaca di una morte annunciata), Ruy Guerra (Erendira), Luiz Arcoriza (Pressagio), Arturo Ripstein (Tiempo de morir e Nessuno scrive al colonnello), Shuji Terayama (Cent’anni di solitudine), Jaime Humberto Hermosillo (Maria de mi corazon), Miguel Littin (A viuva Montiel). Fernando Birri (Un hombre muy viejo con unas alas enormes) e Titon Alea (Cartas del parque) hanno collaborato nel 1988-1989 a una serie di sei film per la tv tratti da Marquez e realizzati anche da Chavarri, Hermosillo, Naranjo e Guerra). L’amore al tempo del colera di Mike Newell, 2007, è solo uno dei più recenti…
Non solo ha recitato come attore in quattro pellicole e ovviamente è stato intervistato in numerosi documentari, ma nel 1985, per dare impulso al cinema latinoamericano, e come emanazione del Festival del Nuovo Cinema dell’Avana partecipò attivamente, attraverso la creazione della Fondazione del Nuovo Cinema Latino-Americano (con sede nei sobborghi dell’Avana, a Finca Santa Barbara), con l’aiuto e lo sprone di intellettuali legati o simpatizzanti con la settima arte, come Alfredo Guevara, e di governi non reazionari, come quello messicano, a un progetto globale di sviluppo cinematografico (leggi protezionistiche, banca dati, cine-annuario, dizionario dei termini cinematografici in castigliano, rete di sale cinematografiche destinate allo studio dei classici latinoamericani)… Cineasta ‘frustrato’, ma in prima fila nel recupero, archivio e restauro di pellicole (al suo fianco Alquimia Pena, nata a Mayari, privincia di Holguin, figlia di un combattente dell’Esercito Rebelde) nel contribuire ad accordi di coproduzione, e nella creazione ed edificazione (la maggior parte dei fondi proveniva dai suoi diritti d’autore), in soli otto mesi, della Scuola di San Antonio de los Banos che ha presieduto dal 1986 fino alla morte. E che resta, nonostante le difficoltà attuali, la più grande e rinomata accademia di cinema dei tre mondi (Asia, Africa e America Latina). Centinaia di ragazzi, selezionati in Burkina Faso o in Bolivia, in Vietnam o in Mozambico, scelti in base al merito, anche se poverissimi, hanno coronato il loro sogno. Diventare registi o professionisti del cinema. Che era anche il sogno di Gabriel Garcia Marquez.

Ps. Il 4 dicembre 1985, giorno di Santa Barbara, Gabriel Garcia Marquez iniziava il suo discorso ricordando che tutto il progetto della Fondazione, sita nel quartiere di Santa Barbara, era nato da un incidente … ‘ecologico’. La villa, che ospiterà l’istituzione, era dominata da due enormi e orribili torri di alta tensione, “che un funzionario senza cuore aveva deciso di piantare proprio nel giardino di fronte all’edificio” e che trasportavano una micidiale corrente (e un altrettanto pericolosissimo inquinamento elettromagnetico) per 110 milioni di watts, una potenza sufficiente a tenere accesi migliaia di televisori e 23 mila proiettori 35mm. Fidel Castro viene avvisato del problema, arriva e cerca di mascherare l’orribile “mostro” con palme o altre piante, e proprio in quella occasione ha l’idea di fare di quell’edificio la sede della Fondazione. In quel luogo Alea aveva girato, nel 1979, un film storico/metaforico sulla rivoluzione cubana, Os Sobreviventes. E sarebbe morto di cancro nel 1996, a soli 67 anni.


Pagina 99, 20 aprile 2014

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