4.5.14

Il comunista che alla radio sbeffeggiava il fascismo (Filippo Ceccarelli)


L'avventurosa vita di Luigi Polano, 
primo segretario della Fgci
Come s'intuisce dallo slogan «Dio stramaledica gli inglesi», la propaganda bellica che il commentatore Mario Appelius diffondeva ogni sera dalla radio del regime fascista era più che ridondante. Per cui al netto del dramma, anzi della tragedia, ciò che accadde il 6 ottobre 1941 dovette risuonare come un imprevisto eccezionale, ma anche come uno spasso. Perché nell'attimo in cui Appelius prendeva fiato, si udì distintamente: «Italiani, qui parla la voce della verità!». E a ogni pausa dell'arringa: «Non è vero! — diceva la voce — Tu inganni il popolo italiano!», come pure: «Basta con la guerra fascista!», e così via. Lo scherzo, che poi non era tale, ma un esperimento tecnologico di assai efficace contro-informazione, andò avanti da allora fino alla liberazione di Roma (giugno 1944).
Nel frattempo Mussolini s'imbestialiva perché le sue polizie non riuscivano a capire come diavolo fosse possibile, chi stava orchestrando lo scherzetto e soprattutto da dove provenivano quelle onde così lontane e così vicine. Per giunta, tra un'interferenza e l'altra, il disturbatore antifascista era anche lesto a scendere sul piano personale: «bugiardo!», accusava, come pure «asino!», «venduto!», «criminale!»; e insomma, se si considera che quel programma era la fonte principale per capire come stesse andando la guerra, e che l'ascolto di «Radio Londra» comportava addirittura l'arresto, tutto lascia pensare che a forza di sorprese e interruzioni per una moltitudine di italiani quel rito di consenso coatto fosse anche divenuto, o comunque fosse vissuto come un grande spettacolo.
Così, per depotenziarlo, si mise all'opera una finta voce, addomesticata, cui si poteva ribattere con facilità. Ma l'artificio non funzionò, mentre la vera voce seguitava ad annunciare e preannunciare catastrofi chiamando la popolazione alla rivolta. A un certo punto Appelius prese a rivolgersi a quella misteriosa entità con una maldestra espressione, «lo spettro», che sulla base di quanto di terribile andava accadendo proprio allora sui vari fronti, senza nemmeno rendersene conto in qualche modo restituiva la parola alle migliaia di soldati italiani mandati a morire ammazzati nel fango dei Balcani, nel deserto di Libia o nel gelo della steppa sovietica.
Ecco. A oltre 70 anni di distanza un libro, La voce della verità (Nutrimenti editore), ricostruisce in forma romanzata, ma documentatissima, la storia dell'uomo che su segretissimo mandato di Palmiro Togliatti, allora uno dei tre segretari del Komintern, svolse questa missione itinerante, tra la Serbia e il Montenegro in fiamme, caricandosi una stazione radio e con l'ausilio di due tecnici sovietici, tra mille avventure, compresa quella di procacciarsi le notizie per meglio controbattere le retoriche panzane e le fasulle vittorie dei bollettini bellici del fascismo.
L'autore di questo libro per alcuni versi appassionante, per altri sorprendente, è un giornalista sardo, Vindice Lecis; come sardo, pure di Sassari, era il formidabile personaggio, Luigi Polano, indicato nel sottotitolo come «il comunista che beffò Mussolini ». Già alla guida dei giovani socialisti, conobbe Lenin e partecipò in primo piano alla scissione di Livorno, fu al vertice del Pcd'I insieme con Bordiga e Gramsci, cinque volte arrestato in Italia, poi spedito in Russia dove in veste di sindacalista dei marittimi aveva occasione di entrare e restare in contatto con gli italiani.
In realtà, più che di un politico come lo si può immaginare al giorno d'oggi, quella di Polano è la vita di un autentico professionista della cospirazione e un girovago della rivoluzione, dal Baltico al Mar Nero, dalla Parigi infida dell'emigrazione alla Spagna della Guerra civile, fino ai corridoi puzzolenti di cipolla dell'hotel Lux. Un comunista plurischedato che Lecis racconta anche attraverso le carte di polizia e gli stizziti commenti del suo antagonista quasi personale, l'ispettore (anche lui sardo?) Porfirio Piredda.
Taciturno poliglotta, mago dei passaporti falsi e dotato di mille identità, a tal punto Polano si consegnò all'ideale da alimentare il mito della propria astuzia e inafferrabilità ben oltre i confini del partito italiano e degli altri che come lui avevano fatto base nell'Urss, Robotti, Berti, Grieco, Roasio.
Uomo d'aspetto apparentemente anonimo, di sobria eleganza, con l'hobby di suonare il violino, eppure capace come pochi di dare la caccia alle spie fasciste, ma anche così spietato nella lotta alle «deviazioni» da guadagnarsi la nomea, invero più che plausibile, di agente della terribile Ghepeù.
Come accadeva in quel clima plumbeo e oppressivo fino alla paranoia, ebbe comunque anche lui i suoi problemi, per così dire, di linea e un certo numero di sospetti che lo inseguivano riacutizzandosi di tanto in tanto. Per certi versi, lascia capire l'indagine di Lecis, la missione che Togliatti in persona affidò a Polano in un luogo destinato alla massima segretezza contribuì a tenerlo lontano dalle purghe moscovite.
Ritornato a Sassari dopo la Liberazione carico di onorificenze sovietiche, insieme con moglie, pure decorata, e figlio di nome Prometeo, Polano si adattò benissimo al tran tran della democrazia nel dopoguerra. Fu brevemente a capo del Pci in Sardegna, consigliere comunale, deputato, quindi senatore, pochi seppero delle sue imprese pazzesche in giro per il mondo e del sabotaggio radiofonico che lo aveva trasformato nientemeno che in un fantasma.
Quando nel 1982, di passaggio nella sua Sassari, Enrico Berlinguer e alcuni compagni andarono a trovarlo ormai 85enne, gli fu chiesto se la presenza del segretario poteva scioglierlo dal voto del silenzio sui dettagli e sul luogo da cui trasmetteva la voce. Ma Polano, con la calma di chi aveva subito ben altri interrogatori, rispose: «Ho promesso di non rivelarlo mai a nessuno». E restò in silenzio — virtù, ai suoi tempi, ben lungi dall'essere insidiata dal cicaleccio dei talk-show.

La Repubblica - 16 aprile 2014

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