La moda consuma
rapidamente i miti che rilancia. E forse così è accaduto anche per
Lincoln, la cui immagine variamente rivisitata impazzava negli USA
tra la fine del 2012 e il 2013. E tuttavia l'elzeviro che segue è
ottimamente esemplificativo delle modalità di consumo dei miti e
merita una lettura preferibilmente attenta. (S.L.L.)
Negli Stati Uniti è
Lincoln-Renaissance. Questa «mania» di massa è alimentata, in
primo luogo, dalla cinematografia, dalla monumentale biografia per
immagini di Steven Spielberg al film «gotico» (prodotto da Tim
Burton) con il presidente nelle vesti di un cacciatore dei vampiri
alleati con i sudisti schiavisti. E certo ha anche a che fare con la
predilezione che nutre nei suoi confronti il suo ultimo successore
Barack Obama, avido lettore di Team of Rivals (al pari del
regista di ET), lo studio sul «genio politico» di Abramo
Lincoln scritto dalla storica (e già assistente di Lyndon Johnson)
Doris Kearns Goodwin.
Ma il «paradigma
Lincoln» si rivela tanto contagioso da unire la cultura pop a quella
del management, apparentemente di nicchia, ma in verità altrettanto
(se non più) decisiva nell'orientare l'aria e lo spirito di
un'epoca.
Donald Phillips - uno dei
capiscuola dello studio sulle esperienze e gli stili di comando nella
storia - ha suggerito, nel suo Lincoln on Leadership
(sottotitolo «strategie esecutive per tempi difficili»), una serie
di tecniche e virtù che i manager possono mutuare dal comportamento
del vincitore della Guerra di Secessione,
come la ricerca della concentrazione mediante le passeggiate (il
presidente era solito camminare avanti e indietro per ore lungo i
terreni che erano stati teatro di battaglie). Mentre Gautam Mukunda
della Harvard Business School usa la «lincolnologia» per
intervenire in uno dei dibattiti per antonomasia del management
moderno, ovvero se per una grande impresa sia meglio avvalersi di
insiders (opinione prevalente prima della crisi finanziaria) o di
outsiders. E opta, decisamente, per la seconda figura, di cui Lincoln
fu idealtipo (come, in un altro secolo e contesto, Winston
Churchill). L'insider, già testato ampiamente e che ha percorso
tutta la gerarchia all'interno dell'azienda, si comporterà in
maniera prevedibile e, se costretto al cambiamento, lo introdurrà in
percentuale modesta e in maniera graduale. Mentre l'outsider è un
enigma, e si rivela propenso a mutamenti radicali, come quelli, dice
Mukunda, di cui ha un gran bisogno l'economia odierna.
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