4.5.14

Processi agli animali: rondini scomunicate, maiali al rogo (Alfonso M. Di Nola)

Ancora ai principi dello scorso secolo in Lombardia e in Abruzzo venivano istruiti lunghi processi contro i bruchi che danneggiavano i terreni, si comminava loro l'anatema canonico e la condanna civile, soprattutto il bando e l'espulsione sotto minaccia di pene più gravi. Il costume, che a noi sembra insensato, ha una sua vetusta e ben documentata tradizione medioevale.
Egberto, vescovo di Treviri, scomunicò le rondini che con il loro pigolio disturbavano la devozione dei fedeli nel duomo della città e con gli escrementi gli insozzavano le vesti e l'altare. Fra il 1685 e il 1770 fu più volte portato in processione il bastone pastorale di San Magno, che aveva il potere di allontanare i topi, ratti, scarabei e insetti vari. Nel 1487 i gran vicari del cardinale vescovo di Autun ingiungevano ai lumaconi, che avevano invaso la campagna, di abbandonarla in un determinato tempo sotto minaccia di maledizione. Nel 1519 il comune di Stelvio, in Tirolo, aprì un processo penale contro certi topi di campagna che, scavando gallerie, danneggiavano le messi. Ma perché i sorci potessero dar conto della loro condotta, furono affidati alla difesa di un procuratore. L'avvocato dell'accusa presentò una lunga lista di testimoni che attestavano come i danni prodotti dai topi avessero rovinato i terreni fino al punto che i mezzadri non avevano potuto pagare gli affitti. La difesa dimostrò quali benefici avessero portato, invece, rimuovendo il suolo e distruggendo vermi e altri animali nocivi, e ottenne dal giudice che la sentenza di bando perpetuo fosse mitigata, concedendosi una moratoria di quattordici giorni e un salvacondotto ai sorci con figli piccoli.
Un abbondante incartamento, che manca della sentenza finale, ci consente di seguire le laboriose tappe di un processo che nel 1659 il comune di Chiavenna intentò contro i bruchi, con regolari citazioni, notifiche, bandi attraverso i pubblici cursori, udienze, dichiarazioni di contumacia, condanne ed appelli.
Tali usi vennero a svilupparsi in antiche comunità contadine europee, più raramente cittadine, anche se la storia celebre del pifferaio di Hamelin dimostra come nei paesi nordici, intorno al XVI secolo, nelle città era corrente l'idea che gli animali, dannosi o domestici, avessero capacità di intendere l'uomo, di obbedirgli o di danneggiarlo.
L'aggressione di cavallette, di bruchi, di topi, di bestie selvatiche era considerata normalmente un'intenzionale opera del demonio che in essi si incarnava: e perciò la chiesa creò un'intera rete di difese rituali contro di essi, rappresentata da anatemi e scongiuri, o anche da processi e discussioni giuridiche. Talvolta del processo non v'era bisogno trattandosi di crimine patente, come nei casi di animali, in particolare porci, che aggredivano uomini e bambini.
Al rogo venne mandato nel 1266 presso Parigi un maiale che aveva divorato un bambino, mentre il tribunale di Falaise nel 1386 condannò all'impiccagione una scrofa, rea dello stesso delitto.
Frequentissimi sono i processi fondati su accuse di bestialità, fino ad epoca relativamente recente: al rogo vengono destinato a Montpellier un mulo e un uomo correi di sodomia; al rogo un mulo e una vacca in Slesia nel 1681; un uomo e una cagna a Chartres nel 1606, mentre ancora nel 1750 a Vanvres un sodomita confesso viene mandato a morte e l'asina correa viene assolta sulla base del certificato di buona condotta del parroco.
Queste storie di tempi trascorsi, con tutte le loro implicazioni giuridiche, teologiche e ideologiche, sono rievocate nel breve, ma eccezionale saggio Animali al rogo. Storie di processi e condanne contro gli animali nel Medioevo e nell'Ottocento di Evans (Editori Riuniti, 1989), un erudito americano morto nel 1917, che studiò in particolare la storia dei rapporti fra uomo e animale negli anni del suo soggiorno in Germania.

Evans offre una sintesi puntuale e vivace, che era stata preceduta in Italia da un dimenticato libro di Carlo D'Addosio (Bestie delinquenti, Napoli, 1892), mentre, circa un decennio prima, nel 1881, Cesare Lombroso, in un suo saggio su II delitto degli animali, pubblicato sull'Archivio di Psichiatria, esponeva la sua particolare teoria di una tendenza a delinquere ereditaria in alcuni animali che operano con premeditazione e violenza.

"talpalibri - il manifesto", 29 dicembre 1989

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