19.6.14

Aprile 1961. Il primo uomo nello spazio (Lucio Lombardo Radice)

Il numero 16 di “Vie Nuove” del 22 aprile 1961 fu doppiamente monografico. Il settimanale d'area comunista era a quel tempo diretto da Maria Antonietta Maciocchi, che poco più di un decennio più tardi avrebbe rotto con il partito per un curioso dissentire che mescolava maoismo e pannellismo. Quel “Vie Nuove” era interamente dedicato alla Resistenza e al 25 Aprile, aperto da un articolo di Piero Calamandrei e basato su fotografie, spesso inedite, corredate da ampie didascalie sui momenti più importanti della lotta partigiana. Ma c'era anche un inserto: un supplemento dal titolo Il pioniere del cosmo, dedicato al primo viaggio umano nello spazio e al suo protagonista, Yury Gagarin, che il 12 aprile sulla nave spaziale “Oriente” aveva percorso un'orbita intorno alla terra e si era poi inoltrato nello spazio. L'articolo che segue, dal titolo originario I gemelli di Einstein, di Lucio Lombardo Radice, grande matematico e comunista di cuore e di testa, commenta l'impresa del cosmonauta. C'è di certo un eccesso di fiducia, un elemento religioso nel suo argomentare, ma io ho letto l'articolo con commozione e nostalgia. (S.L.L.)
Yuri Gagarin
I gemelli di Einstein
Due giorni prima della famosa mattina del primo volo dell'uomo nello spazio, volli ingannare il tempo di un lungo viaggio in treno leggendo un libretto americano di fantascienza. Me lo imprestò un amico fisico, che ne aveva scorso le prime pagine, dicendomi che lo spunto era buono. Infatti, il dato iniziale del racconto era strettamente scientifico, non fantastico. Si trattava di una singolare conseguenza della teoria della relatività di Einstein, e precisamente del fatto che, viaggiando a una velocità vicina a quella della luce, il ritmo del tempo si rallenta, poiché la misura del tempo in un sistema non è indipendente dal rapporto tra la velocità del sistema e quella della luce. Insomma, se ci sono due gemelli, diciamo il gemello A e il gemello B, ed A si imbarca su di una astronave che, a una velocità poco minore di quella della luce, compie un giro nel cosmo che dagli orologi dell'astronave è misurato con pochi anni, A al suo ritorno sulla Terra troverà il suo gemello B molto più vecchio di lui, o addirittura morto o sepolto, perché gli orologi della Terra hanno misurato il tempo intercorso tra la partenza e l'arrivo dell'astronave in decenni, se non in secoli. L'autore del libretto traeva da questa premessa scientifica (supposta realizzata tecnicamente) una penetrante deduzione psicologica e una sconcertante previsione storica. Gli uomini e le donne del «lungo viaggio», cioè coloro che avevano fatto anche un solo giro cosmico che, invecchiandoli di pochi anni, faceva però trovare loro la Terra di un secolo dopo, divenivano psicologicamente inadattabili all'epoca nuova, incapaci di fermarsi nel tempo, e perciò finivano sempre col ripartire per nuovi astri e nuovi secoli, per considerare come loro tempo quello dell'astronave vagante a una velocità vicina a quella della luce. Deduzione — lo ripetiamo — penetrante e suggestiva.
Quale umanità, quale società,quali costumi trovavano però, secondo l'autore, gli astronauti inquieti, di scalo in scalo, di secolo in secolo? Trovavano (secondo l'autore) una tecnica sempre più progredita; rapporti tra uomini, tra classi, tra Stati sempre più feroci. Nell'ultimo scalo all'« astroporto » della città che un millennio prima si chiamava Chicago, gli irrequieti vagabondi dello spazio e del tempo trovano che gli ex-Stati Uniti di America erano retti da un feroce monarca schiavista, in guerra non solo con il resto della Terra ma con i cieli, che voleva rapinare le ricchezze raccolte in lontanissimi pianeti dall'astronave e ucciderne l'equipaggio. Un re selvaggio di una società favolosamente progredita dal punto di vista tecnico. Noi crediamo che una siffatta « fantastoria » sia radicalmente falsa, e debba anzi essere respinta con sdegno, come vile pessimismo reazionario. Così non sarà certo l'avvenire, ben altro aspetto presenterà, nei millenni che verranno, la città terrestre agli ardimentosi del « lungo viaggio ». Ma il presente? Non offre forse, su scala ridotta (ma non tanto!) il drammatico contrasto tra tecnica e civiltà della favoletta di fantascienza che ha stimolato le nostre riflessioni?
Supponiamo, per un attimo, che la nave spaziale « Oriente », il 12 aprile 1961, per un qualche fantasioso incidente, fosse stata costretta ad atterrare altrove: nell'Angola, ai margini del Sahara, in Florida. Juri Alekseievich Gagarin, scendendo dalla navicella, non avrebbe più trovato il compagno colcosiano, padrone della sua terra, lavoratore libero, uomo colto, ad accoglierlo con entusiasmo e commozione ma senza stupore. Sarebbe stato adorato (o crocefisso?) come « figlio del Cielo » da tribù di uomini lacere, povere, ignoranti, mantenute colla forza nel loro stato quasi-preistorico, e insieme sfruttate secondo i canoni del moderno capitalismo, dal feroce tiranno che ancora oggi, nell'era spaziale, regna sul Portogallo e su vaste regioni africane; avrebbe visto il mostruoso fungo atomico della terza (o quarta) atomica francese, che un altro tiranno, più «civile» di modi nella madrepatria, lancia nel vano tentativo di intimidire il popolo algerino che da anni lotta e si sacrifica per uscire dalla schiavitù; sarebbe stato arrestato come spia sovietica nei campi segreti ove !a civilissima America offre l'addestramento e le armi più moderne agli ex seguaci di Batista (quello che evirava gli avversari politici) per invadere la libera isola di Cuba e restaurare nelle sue campagne e nelle sue città il privilegio feudale e capitalistico. Non per caso, certo (e lo ha osservato perfino l'onorevole Saragat), il primo uomo che abbia volato nello spazio è un cittadino sovietico. Tra civiltà e tecnica una relazione esiste, se pure complessa e non meccanica. Il fatto che l'economia capitalistica sia diretta da colossi privati per i profitti privati, e da governanti che sostengono questi interessi e li identificano con i concetti stessi di « libertà » e civiltà, il fatto che la economia sovietica sia diretta da studiosi, scienziati, tecnici nell'interesse collettivo, e da politici che hanno abbattuto il potere del profitto privato e hanno costruito una produzione socialista, questi fatti pesano, e come!, anche nel decidere la «gara spaziale». Come pesa la differente concezione della cultura nel mondo capitalistico e in quello socialistico, la completa diffusione di una cultura «disinteressata» di massa nella nuova società senza sfruttatori, il costume, le idealità, le «tavole di valori» che su queste nuove basi si sviluppano dentro l'uomo, e regolano i rapporti tra gli uomini, e indicano le mete collettive.
«Poniamo fine alla corsa degli armamenti. Accordiamoci per un disarmo universale e completo sotto uno stretto controllo internazionale. Questo sarà un contributo decisivo alla causa sacra della protezione della pace» : questo il messaggio dei dirigenti sovietici dopo il fantastico volo dell'«Oriente». Ecco cosa significa il fatto che alla testa del progresso tecnico sia oggi il mondo socialista: un messaggio di pace, un invito a una convivenza umana più civile. Come non ricordare che l'ultimo primato tecnico dello imperialismo, il monopolio atomico durato per alcuni anni significò, al contrario, un continuato ricatto? Scendendo dallo spazio per la prima volta violato dall'uomo nei campi di un colcos, Juri Alekseievich ha portato, forse inconsapevolmente, agli uomini, ai lavoratori che ancora vivono sotto l'impero del capitalismo, un messaggio rivoluzionario. Colonialismo, imperialismo, profitto privato, potere dei padroni appaiono davvero residui di un'altra era, appaiono preistoria agli occhi dell'uomo che torna sulla Terra dallo spazio. E quegli occhi, ormai, sono i nostri occhi.

“Vie Nuove”, N.16 del 22 aprile 1961

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