26.6.14

Il patto di Venere. Serres rilegge la fisica di Lucrezio (Mario Porro)

Nel 1977, l'anno in cui Prigogine vinse il Nobel, nel tempo delle catastrofi, delle strutture dissipative e dei frattali, Michel Serres, un filosofo francese, che la distanza segnala come tra i maggiori del Novecento, rilegge Lucrezio. Del suo sapere fornisce un'immagine più convincente e attendibile, oltre che attuale, questo articolo di Porro sul “manifesto”, recensione della traduzione italiana del suo libro per l'editore Sellerio. In quella scelta, controcorrente, mi pare di riconoscere lo zampino di Leonardo Sciascia. In ogni caso il Lucrezio di Serres (come il Leopardi di Walter Binni e Sebastiano Timpanaro) lo vedo tra i maestri della sinistra che verrà. (S.L.L.)
Roma. Il busto di Lucrezio al Pincio
La fisica moderna nasce all'epoca di Galileo: assunzione ormai consolidata, punto fermo in appartenenza indubitabile. Un libro di Michel Serres, Lucrezio e l'origine della fisica» (Sellerio editore, traduzione, accurata, di Paolo Cruciani e Anna Jeronimidis) ci forza invece a rivedere i nostri schemi abituali, che pongono la fisica greca nell'ambito del prescientifico, del metafisico, in particolare a ripensare la validità e la funzione storica dell'atomismo antico; ed ancor più ci induce a leggere un'opera di poesia, il De rerum natura di Lucrezio, come genuino trattato di fisica.
Lucrezio nel primo secolo a.C. ripropone l'insegnamento filosofico di Epicuro e la teoria del formarsi dei mondi a partire da un caos, da un disordine atomico, del «clinamen» (declinazione) produce uno scarto angolare minimale, infinitesimo, nel moto equilibrato cioè disordinato degli atomi, provoca la formazione di un turbine, di un vortice che temporaneamente riesce a vincere l'irreversibile «declinare» della cose verso la morte; nel clinamen fattore di nascita è già iscritta la dissoluzione. Dal disordine, dalla turbolenza (turba) che costituisce lo stato regolare della natura si genera un vortice (turbo), forma costitutiva primaria, relativamente stabile ed ordinata; l'ordine non è che la possibilità improbabile, «miracolosa», che si produce grazie al clinamen all'interno di un universo profondamente e normalmente instabile. Ma tutto ciò resterebbe al livello di intuizione prescientifica se non ricevesse la legittimazione dell'apparato matematico: ed infatti questo modello, viene matematizzato da Archimede. Le sue opere, solitamente ritenute un insieme disorganico di studi, appaiono invece di una coerenza estrema se lette come sistematica spiegazione dei problemi posti dal modello epicureo, vale a dire i problemi del calcolo infinitesimale, dei grandi numeri, dell'idrostatica, della geometria delle figure di rivoluzione ecc.
Ma per quale motivo la storia della scienza ha rimosso questa indicazione originaria di cui la scienza rinascimentale non è che «ritaglio», ripresa e rinascita? Per quale motivo si è esclusa a priori la possibilità di una fisica matematica greca? Perché, risponde Serres, il modello atomistico è stato sempre interpretato all'interno di una meccanica del solidi, di corpi rigidi, il cui canone è la riconduzione all'equilibrio, muoventesi in un sistema con funzionamento deterministicamente prevedibile; ed invece tale modello va letto come schema teorico di una meccanica dei fluidi, in cui si raggiunge una sintesi tra statica e dinamica, tra imprevedibilità locale (formazione dei vortici) e previsione globale (il procedere del flusso). In altri termini Lucrezio già si pone lungo il sentiero che conduce ai temi posti dal sorgere della termodinamica, costituisce il punto di riferimento genealogico dei dibattiti attuali su locale-globale, ordine-disordine, reversibilità-irreversibilità ecc.: «Di qui... Prigogine, lo scarto, i sistemi aperti, i turbini ripresi, le strutture dissipative, di qui Thom e la matematizzazione del modello. Thom, nuovo Leibniz e nuovo Archimede, rispetto a questi nuovi epicurei».
Il clinamen, si è visto, rappresenta l'operatore locale di trasformazione, è il responsabile della comparsa di oggetti che vincono temporaneamente il declino generalizzato verso l'entropia; nell'universo degli atomisti non è possibile formulare leggi invarianti e generali che regolino e ordinino ogni singolo momento di sviluppo del sistema, come invece avviene nella scienza classica (di Newton e Laplace), scienza in cui gli stessi fenomeni si ripetono identici, in cui obbediscono a regole necessitanti, in cui in fondo nulla di nuovo può nascere. «Il sapere così concatenato, infinitamente iterativo, non è che scienza di morte. Scienza delle cose morte e strategia della messa a morte. L'ordine delle ragioni è marziale... Le leggi sono le stesse dappertutto, esse sono tanatocratiche». Dall'universo cartesiano e newtoniano in cui lo spazio è omogeneo, spazio euclideo misurabile e dominabile, la natura è scomparsa, è scomparso il caso fortuito responsabile dell'origine stessa delle cose; lo spazio dell'atomismo è molteplice, differenziato, leggibile solo per mezzo di specificazioni topologiche, e l'universo si apre alla eccezione, è un universo plurale che può dunque essere espresso solo attraverso spiegazioni multiple, fallibili e non coercitive.
Il nuovo sapere di Epicuro e Lucrezio in tal senso, non si pone in guerra contro la natura, «non prova l'odio che fa inventare un soggetto né l'avversione nei confronti del corpo», ma stringe una «nuova alleanza» con la natura. Una volta stretto il «nuovo patto di Venere», una volta superata la «fisica di Marte» retta dalla violenza, dallo spirito del duello, il sapere stesso si esplica come un prendere diretto contatto con le cose, un sapere le cui leggi di formazione e di evoluzione non sono differenti dalle cose stesse. La storia della scienza si esprime in tal senso attraverso un modello complesso, che sfugge ai semplicismi, alle logiche a due valori (vero-falso, continuità-discontinuità, ecc.): esiste uno strato, «un quasi invariante», un flusso di fondo su cui avvengono sconvolgimenti locali, fratture o collegamenti, ma di ciò «il miglior modello è la cosa stessa», ogni oggetto in quanto resiste all'entropia, in quanto realizza un tempo reversibile nella caduta irreversibile verso il disordine. Il nuovo patto delinea così un «materialismo pacificato» che non progetta politiche di dominio e conquista; un materialismo che di fatto coincide con il fisicalismo. «Il soggetto che percepisce è un oggetto del mondo, immerso nelle fluenze oggettive... L'anima è corpo materiale, il corpo è una cosa, il soggetto non è che oggetto, la fisiologia o la psicologia è soltanto una fisica. E di conseguenza i sensi sono fedeli». Ogni disciplina obbedisce alle stesse leggi della fisica: «la metafisica è una fisica metaforica», la storia naturale e umana è anch'essa una fisica, e la morale non è che «una fisica intesa correttamente».
La storia umana, storia di lotte, di agitazioni, di turbolenze appare in questa luce iscritta fin dall'inizio nell'orizzonte della sconfitta, risulta persa in partenza: essa infatti per Lucrezio (e Serres), non fa che costruire eventi e avvenimenti che finiranno col disfarsi e dissolversi lungo il flusso inarrestabile della natura verso l'entropia; e ogni struttura organizzata che gli uomini sviluppano per arrestare e tenere in scacco l'irrevocabile non fa altro che aumentare la degradazione ed il declino. Il saggio, che comprende la fisica, evita la politica e la storia, luoghi del turbamento, delle nevrosi marziali, ricerca l'imperturbabilità (l'atarassia), sfugge alle relazioni umane, ritorna agli oggetti, lascia la natura com'è, cerca di riprodurne la condizione originaria che precede il formarsi dei turbini: ma realmente questa morale è un «vivere secondo natura» visto che la natura stessa è turbamento, continuo scarto all'equilibrio?
Il patto di Venere che il saggio epicureo stringe con la natura appare quasi segnato da un dominio opposto a quello classico: l'uomo è fagocitato dal mondo, non c'è distanza, non c'è scarto tra uomo e natura, tra pensiero ed essere, tra parole e cose. Se la cultura moderna, basata sulla totalizzazione e il dominio è «la continuazione della barbarie con altri mezzi», realmente l'unica pratica di pace è la «dissidenza, il ritiro, la secessione» del saggio epicureo? In una natura che si svela sempre più come molteplicità di sistemi aperti, che cosa, se non fattori storico-sociali, induce il saggio a rifugiarsi nel chiuso del Giardino di Epicuro? In realtà ora che la natura ci mostra un paesaggio differenziato, localmente poliforme e su cui si succedono nuove forme-forze, il vivere (e pensare) secondo la natura può finalmente assumere valenze che sfuggano alla ripetizione dell'identico, del già dato e del già detto, può divenire un vivere nelle contraddizioni di una natura che per l'uomo è anche, storia e cultura.

“il manifesto”, 13 marzo 1981

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