8.6.14

Orologi nella storia (Valerio Castronovo)

L'orologio astronomico di Praga
«Se si installa un orologio pubblico, i mercanti verranno più numerosi alle fiere, la comunità vivrà più lieta e contenta e condurrà un'esistenza più ordinata, e la città ne guadagnerà in bellezza», asseriva una petizione presentata nel 1481 al Consiglio comunale di Lione. Da «tempo della Chiesa», quando i primi rudimentali esemplari dell'orologio meccanico (comparsi alla fine del Duecento) servivano soprattutto ad avvertire i fedeli delle «ore canoniche» legate agli uffici religiosi, la giornata si era ormai secolarizzata, trasformandosi in «tempo del Mercante», per usare una felice espressione di Jacques Le Goff. E in un'epoca in cui nessuno o pochissimi possedevano un orologio portatile, era naturale che si avvertisse l'esigenza di un orologio pubblico, piazzato al centro dell'abitato, il cui suono potesse essere udito a grande distanza da tutti.
Ma l'utilità pratica non costituì l'unico motivo della crescente diffusione, fra il XIV e il XV secolo, degli orologi da torre: che, oltre a battere, cominciavano a indicare le ore incise sulla ruota oraria. C'era da soddisfare anche l'orgoglio municipale, lo spirito d'emulazione; più che della precisione ci si preoccupava della preziosità degli orologi, della ricchezza e della varietà dei loro motivi ornamentali. Ma un punto d'onore altrettanto importante per le singole municipalità era costituito dal possesso di meccanismi sempre più complessi e ingegnosi, tali da mostrare anche i movimenti celesti del sole, della luna e dei pianeti, i segni dello zodiaco, in grado perciò di soddisfare la curiosità popolare sul corso degli astri. E non importava se questi apparecchi sempre più ingombranti, venivano a costare, fra spese d'acquisto e di manutenzione, un autentico patrimonio, che le finanze comunali stentavano spesso a mettere insieme.
La storia dell'orologio, insomma, non è solo la storia della prima macchina di precisione (messa a punto nel secolo XVII con i perfezionamenti apportati alla regolazione del moto grazie al principio del pendolo), ma anche la storia di una certa evoluzione della mentalità e del costume collettivo. Nato agli esordi della civiltà urbana e mercantile per misurare le cadenze del lavoro, per «iniziare i viaggi e altre cose necessarie in questo mondo», impostosi all'immaginazione popolare con i suoi astrolabi e «calendari mobili», l'orologio contribuì ad accentuare i tratti scientifici e meccanicistici della cultura che l'aveva espresso: anche se, entrato nell'uso privato a cominciare dal secolo XVI, conservò a lungo un'importanza più decorativa che funzionale, quale suppellettile delle dimore aristocratiche o come ornamento della persona.
In un saggio tanto lineare quanto piacevole (Le macchine del tempo, II Mulino, pagg. 141, lire 8.000) Carlo Maria Cipolla attribuisce alla concezione meccanicistica dell'universo, di cui l'orologio fu una delle espressioni più tangibili (al punto che Domineddio fu sovente raffigurato come un orologiaio d'eccezione), il primato conquistato dall'Occidente europeo sul resto del mondo nel corso dell'età moderna. Non soltanto perché la scoperta e l'applicazione di strumenti scientifici sempre più efficaci permisero l'espansione del commercio su grandi distanzee e lo sviluppo della navigazione oceanica, ma anche perché l'introduzione di ogni macchina concorse a creare le condizioni sociali e culturali per la sua stessa diffusione e per la produzione di altre macchine. In sostanza, furono il gusto per le innovazioni, la vocazione al cambiamento, l'assiduità nell'esperienza pratica a porre le basi della continua accumulazione di nuove cognizioni e opportunità che consentirono all'Europa di annullare prima la sua inferiorità scientifica nei confronti del mondo arabo e, successivamente di far valere la propria supremazia tecnologica sull'Oriente e sull'Asia.
E' significativo a questo riguardo il genere di reazioni suscitate dalla comparsa dell'orologio in un paese come la Cina, che pure era stato sempre affascinato dai problemi del tempo e dell'astronomia. Ancora alle soglie dell'Ottocento, dopo quasi tre secoli dalla sua prima introduzione ad opera dei Gesuiti (che se ne erano serviti per accedere al Palazzo imperiale di Pechino), l'orologio continuava ad essere generalmente considerato come un giocattolo, una divertente stranezza, non molto dissimile da altre bizzarre novità meccaniche piovute casualmente dal cielo con l'arrivo degli europei. In Cina non era il mondo cittadino del commercio e degli affari a scandire il tono e gli sviluppi della cultura, ma un'élite di letterati e mandarini nutriti all'arte e alla filosofia, mentre i contadini misuravano il tempo in termini di giorni e di anni, non di minuti o di ore.
Ma anche in Europa le vicende connesse all'evoluzione dell'orologio recano il segno di precise cadenze culturali, politiche e sociali. Nel tardo Medioevo e nel primo Rinascimento, lo sviluppo dell'orologeria meccanica era avvenuto soprattutto in Italia, nelle Fiandre, in alcune città francesi e tedesche, di pari passo con l'affermazione della società comunale, con l'espansione dei traffici commerciali e delle corporazioni di mestiere. Più tardi, la decadenza politica della penisola, le guerre di religione e la controriforma contribuirono a spostare altrove l'epicentro della produzione. Dalla seconda metà del Cinquecento, una folta schiera di artigiani e imprenditori che avevano aderito alla Riforma protestante prese la via dell'Olanda, dell'Inghilterra e della Svizzera, e da questa diaspora politica e religiosa ebbero origine le fortune di Ginevra; ma per lungo tempo anche Londra riuscì ad annoverare, grazie all'insediamento di numerosi rifugiati ugonotti, un numero importante di manifatture specializzate nella produzione di orologi e congegni di misurazione d'ogni genere.
Lo sviluppo di una fiorente orologeria meccanica nel corso del Sei e del Settecento non dipese soltanto dalla formazione di nuclei artigianali stabili (a differenza che nei secoli precedenti quand'era la manodopera, più che la merce, a spostarsi di luogo in luogo), ma anche dai progressi della cultura scientifica, dall'affermarsi di un clima e di un ambiente sociale permeato di empirismo e di spirito utilitarista. Di fatto, il crescente interesse per le macchine che si era diffuso nelle Accademie e in vari cenacoli di studiosi, preannunciò (non meno della produzione in serie di orologi composti di pezzi intercambiabili per più ampie fasce di pubblico) 1'avvento della rivoluzione industriale. t
In altre parti d'Europa — in Francia e in Germania — fu l'iniziativa dei sovrani riformatori e di alcuni scienziati e filosofi illuministi a riportare in auge, nella seconda metà del Settecento, l'industria dell'orologio, che nel frattempo era divenuta una delle poste più vantaggiose dell'attività commerciale. Nel 1770, aprendo una propria fabbrica di orologi a Verney, dove s'era ritirato a continuare la sua lotta contro l'assolutismo e l'intolleranza, Voltaire si trovò ad avvalorare, in modo emblematico, la vicenda di tanti altri «horlogers» che in seguito all'Editto di Nantes del 1685 avevano dovuto abbandonare il loro paese in cerca della libertà religiosa.


“la Repubblica”, ritaglio senza data, ma 1981

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