12.6.14

"Pigliare le facce". I ritratti di Tullio Pericoli (Cesare Cases)

Tullio Pericoli, Ritratto di Gabriele D'Annunzio
Recensione a TULLIO PERICOLI, Ritratti arbitrari, introd. di Umberto Eco, Einaudi, Torino 1990

Il lettore dell"'Indice" qui si trova a casa sua. Molti di questi ritratti sono approdati dal giornale al libro o viceversa. Come avverte giustamente Eco, si possono chiamare caricature solo a patto di far rientrare anche Daumier e Grosz in questa categoria. La deformazione non serve a cambiare i connotati per sottolineare le caratteristiche individuali, ma per estrarre dall'individuo ciò che egli rappresenta anche senza che i suoi connotati lo sappiano, e che quindi lo sappiamo anche noi, se non da testi che non sono necessariamente quelli che Pericoli ha trascelto e messo nella pagina a fronte. Come spiega Pericoli nell'intervista con Giorgio Dell'Arti ("Wimbledon", febbraio 1991), egli si è fatto la mano "pigliando le facce" a quindici in mezz'ora per la pagina locale di un quotidiano di Ascoli Piceno, sua città natale: una volta toccava ai camerieri, una volta ai bancari ecc. "In ogni faccia c'è un particolare che la caratterizza. Se lo prendi, puoi fare del viso tutto quello che vuoi. Mettergli un naso finto, tre orecchie, baffi, barba. Non importa, la faccia è quella e quella resterà".
Dunque "ritratti arbitrari". Anche costruiti con una serie di cloni, come capita a Umberto Eco sul cui naso piroetta un altro Eco e così via in una specie di piramide acrobatica. O a Pessoa che sorseggia una bibita mentre le sue varie incarnazioni girano sullo sfondo. Per quanto troneggi e si moltiplichi l'individuo, l'appartenenza alla categoria viene sempre accennata. Immagino che i camerieri ascolani fossero raffigurati tutti con un tovagliolo sotto il braccio. Qui c'è molto spesso una penna, i ritratti sono membri di un ideale pen club. Borges sta seduto in cima a una stilografica, Canetti ne impugna addirittura una per mano, Natalia Ginzburg ne ha una magrissima e interminabile a cui quasi si appoggia, perfino Einstein ne ha una che sporge dal maglione e Queneau è l'unico ad avere una penna col calamaio e una collezione di pennini fissati con gli spilli come farfalle. Anche le penne sono dunque arbitrarie e accordate al personaggio: Tom Wolfe ha una penna-cannone, Musil una penna-temperino, Virginia Woolf fuma una penna-sigaretta lunga quanto quella di Natalia.
Del resto il requisito della penna, oltre che non usato pedantescamente, non è nemmeno indispensabile. Il gusto rinascimentale di Pericoli, riaffermato nell'intervista succitata, può alludere alla professione attraverso cataste di libri o tappeti e cascate di cartigli, o evocare il mondo dello scrittore con le colline delle Langhe (per Pavese), con le torri di Urbino (per Volponi) con lettere e segni esoterici (per Fritz Saxl, per Zanzotto, per Franz Rosenzweig). Tra i requisiti di vestiario sono da notare la sciarpa libertaria o irresponsabile di Enzensberger, quella invernale di Zanzotto e quella primaverile di Pavese, che contribuisce a creare il fascino di questo ritratto, certo tra i più riusciti. Su di esso non grava in alcun modo l'ombra della morte, per cui Pericoli ha conservato la sana estraneità che doveva avere il ragazzo di Ascoli. In generale lo sguardo di Pericoli è molto benevolo, schiarisce i tenebrosi, ringiovanisce i vecchi, scorge nelle barbe e nei baffi più dei segni di vitalità che delle coperture di elementi irrisolti. 
Forse l'unico che può lamentarsi del trattamento subito è Gabriele D'Annunzio, gonfiato con il silicone. Ma in fondo anche questo è un modo per esprimere la sua essenza: l'estetismo.

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