2.7.14

Droghe. Legalizzazione di là da venire? Mai dire mai (Ethan Nadelmann)

L'autore di questo testo è direttore di Drug Policy Alliance, una associazione antiproibizionista radicata negli Usa. L'articolo era apparso originariamente su “Foreign Policy”, September/October 2007 con il titolo Think Again: Drugs. Una versione ridotta, quella qui ripresa è apparsa su “Fuoriluogo” mensile dell'ottobre 2007. Si tratta, dunque, di un articolo vecchiotto, che a me sembra tuttavia non aver nulla perso della sua attualità, anzi..

COME ANDARE OLTRE LA GUERRA ALLA DROGA.
GUIDA RAGIONATA AD UN NUOVO REGIME MONDIALE DI CONTROLLO SUGLI STUPEFACENTI.

La guerra globale alla droga si può vincere”
No, non si può. Un “mondo libero dalla droga”, definito dalle Nazioni Unite un obiettivo realistico, è tanto raggiungibile quanto un “mondo libero dall’alcol”, cosa di cui nessuno più parla seriamente da quando la proibizione è stata abrogata negli Stati Uniti, nel 1933. Tuttavia persiste una futile retorica sul vincere la “guerra alla droga”, nonostante le montagne di evidenze che ne documentano la bancarotta morale e ideologica. Nel 1998, la Sessione speciale dell’assemblea generale dell’Onu sulle droghe si era impegnata a «eliminare o ridurre significativamente la coltivazione illecita della foglia di coca, della pianta di cannabis e del papavero da oppio entro l’anno 2008» e a «raggiungere risultati significativi e misurabili nel campo della riduzione della domanda». Ma oggi la produzione e il consumo globali di queste droghe sono all’incirca uguali a un decennio fa; nel frattempo, molti produttori sono diventati più efficienti, e la cocaina e l’eroina sono diventate più pure e il loro prezzo è sceso.
È sempre pericoloso, quando è la retorica a guidare la politica – e in modo particolare, quando la retorica sulla “guerra alla droga” porta l’opinione pubblica ad accettare danni collaterali che non sarebbero mai ammissibili nella gestione dell’ordine pubblico, figurarsi della salute pubblica. I politici parlano ancora di eliminare le droghe dalla faccia della terra, come se il consumo di esse fosse un’epidemia dell’umanità. Ma il controllo sulle droghe non è come il controllo sulle malattie, per la semplice ragione che non vi è una domanda dal basso di vaiolo o polio. La cannabis e l’oppio vengono coltivati da millenni in quasi tutto il mondo. Lo stesso è vero per la coca in America latina.
Le metamfetamine ed altre droghe sintetiche possono essere prodotte ovunque. La domanda di particolari droghe illecite sale e scende a seconda non solo della disponibilità ma anche di mode, usi, culture e della concorrenza rappresentata da altri mezzi di stimolo e di svago. La relativa asprezza delle leggi sulle droghe e l’intensità della repressione contano incredibilmente poco, eccezion fatta per gli stati totalitari. Dopo tutto, i tassi di consumo di droghe illegali negli Stati Uniti sono uguali o maggiori rispetto a quelli europei, nonostante le politiche dell’America siano molto più punitive.

Possiamo ridurre la domanda di droghe”
Buona fortuna. Ridurre la domanda di droghe illegali sembra un proposito sensato. Ma il desiderio di alterare il proprio stato di coscienza, e di usare droghe psicoattive a questo scopo, è quasi universale – e, in larga misura, non è un problema. Una società libera dalle droghe non è virtualmente mai esistita, e ogni anno vengono scoperte e messe a punto nuove droghe. Gli sforzi di ridurre la domanda sono utili se puntano su una prevenzione onesta e su alternative positive all’uso di droghe, ma non quando si traducono in politiche irrealistiche di “tolleranza zero”.
Come per il sesso, l’astinenza dalle droghe è il modo migliore per evitare guai, ma serve sempre una strategia di riserva per coloro che non riescono ad astenersi, o non vogliono farlo. Le politiche di “tolleranza zero” dissuadono alcune persone, ma fanno anche aumentare in modo drammatico i danni e i costi per coloro che non resistono.
Le droghe diventano più potenti, l’uso di droghe diventa più azzardato, e chi consuma droghe è marginalizzato in modi che non servono a nessuno.
Il miglior approccio non è la riduzione della domanda, ma la “riduzione del danno”. Ridurre l’uso di droghe va bene, ma non è così importante come ridurre la morte, la malattia, il crimine e le sofferenze legate sia all’abuso di droghe che alle fallimentari politiche proibizioniste.
Rispetto alle droghe legali, come l’alcol e le sigarette, riduzione del danno significa promuovere un uso responsabile dell’alcol, o prevedere il guidatore designato, oppure persuadere le persone a passare ai cerotti alla nicotina, alle gomme da masticare, e al tabacco “senza fumo” (cioè da fiuto o da masticare, ndr). Rispetto alle droghe illegali, essa significa ridurre la trasmissione di malattie infettive attraverso i programmi di scambio siringhe, ridurre i casi di overdose rendendo disponibili gli antidoti, e consentire alle persone dipendenti da eroina ed altri oppiacei illegali di ottenere il metadone dai medici e persino l’eroina farmaceutica dalle cliniche. La Gran Bretagna, il Canada, la Germania, l’Olanda e la Svizzera hanno già fatto propria quest’ultima opzione. Non c’è più alcun dubbio sul fatto che queste strategie facciano diminuire i danni correlati alle droghe senza far aumentare il loro consumo.
Ciò che blocca l’espansione di questi programmi non è il costo; essi tipicamente fanno risparmiare il denaro dei contribuenti, denaro che altrimenti andrebbe al circuito penale e all’assistenza sanitaria. No, gli impedimenti sono costituiti dagli ideologi dell’astinenza totale e da una crudele indifferenza alla vita e al benessere delle persone che consumano droghe.

La risposta è ridurre l’offerta di droghe”
No, se la storia ha qualcosa da insegnarci. Ridurre l’offerta ha senso tanto quanto ridurre la domanda; dopo tutto, se nessuno piantasse cannabis, coca, e oppio, non ci sarebbero eroina, cocaina o marijuana da vendere o consumare. Ma la carota e il bastone delle eradicazioni e delle colture alternative sono stati tentati per mezzo secolo e, con rare eccezioni, hanno fallito. Questi metodi possono avere successo in alcuni contesti ma di solito, semplicemente, la produzione si sposta da una regione all’altra: la produzione di oppio migra dal Pakistan all’Afghanistan; quella di coca dal Perú alla Colombia; e quella di cannabis dal Messico agli Stati Uniti, mentre la produzione globale totale resta relativamente costante o, addirittura, aumenta.
La carota, sotto forma di sviluppo economico e assistenza nel passaggio alle colture legali, è tipicamente tardiva e inadeguata. Il bastone, spesso sotto forma di eradicazioni forzate, comprese le fumigazioni aeree, spazza via sia le colture illegali che quelle legali, e può essere pericoloso sia per le persone che per l’ambiente in cui esse vivono. La cosa migliore che si possa dire sulla riduzione dell’offerta è che essa fornisce un criterio alle nazioni più ricche per investire un po’ di soldi sullo sviluppo economico dei paesi più poveri. Ma nella maggior parte dei casi l’eradicazione delle colture e la loro sostituzione generano caos tra i contadini impoveriti senza ridurre l’offerta globale totale.
I mercati globali dei prodotti a base di cannabis, coca e oppio operano essenzialmente nello stesso modo dei mercati globali di altre merci: se una fonte è compromessa a causa del cattivo tempo, dell’aumento dei costi di produzione, o di difficoltà politiche, un’altra prende il suo posto. Se i circoli dell’“antidroga” internazionale volessero pensare strategicamente, la questione chiave non sarebbe più come ridurre l’offerta globale, ma piuttosto: dov’è che la produzione illecita causa meno problemi (e più benefici)? Si pensi a questo come ad una sfida globale per il controllo del vizio. Nessuno pretende di sradicarlo, ma deve essere efficacemente circoscritto e regolato – anche se è illegale.

La legalizzazione è l’approccio migliore”
È possibile. La proibizione globale delle droghe è chiaramente un disastro pagato a caro prezzo. L’Onu ha stimato il valore del mercato globale delle droghe illecite in 400 miliardi di dollari, o nel 6% del commercio globale. Gli straordinari profitti a disposizione di coloro che sono disposti ad assumersene i rischi arricchiscono criminali, terroristi, gruppi di insurrezione armata, nonché politici e governi corrotti. Innumerevoli città, stati, e persino paesi, in America latina, nei Caraibi e in Asia, ricordano la Chicago dei tempi di Al Capone. Portando allo scoperto il mercato delle droghe, la legalizzazione migliorerebbe radicalmente tutto questo.
Cosa ancor più importante, la legalizzazione metterebbe a nudo la tossicodipendenza per ciò che essa realmente è: una questione di natura sanitaria. La maggior parte delle persone che utilizzano droghe sono come i consumatori di alcol responsabili, e non causano danno a se stesse o a terzi. Non sarebbero più una questione che interessa lo stato. Ma la legalizzazione avvantaggerebbe anche coloro che con le droghe ci combattono, riducendo i rischi di overdose e malattie legati a prodotti non regolati, eliminando la necessità di ottenere le droghe dai pericolosi mercati in mano alla criminalità, e consentendo che i problemi di tossicodipendenza siano trattati come problemi sanitari piuttosto che penali.
Nessuno sa quanto i governi spendano collettivamente per le fallimentari politiche di guerra alla droga, ma probabilmente si tratta almeno di 100 miliardi di dollari all’anno; quasi la metà della cifra totale è spesa dall’amministrazione federale e da quelle statali e locali negli Usa. Si aggiungano a questo le decine di miliardi di dollari che la vendita delle droghe legalizzate frutterebbe annualmente in tasse. Ora immaginate cosa succederebbe se solo un terzo di quella cifra totale fosse utilizzato per ridurre la tossicodipendenza e le malattie legate alle droghe. Virtualmente tutti ne avrebbero un vantaggio, eccetto coloro che traggono profitto dal sistema attuale guadagnando politicamente.
Alcuni sostengono che la legalizzazione sarebbe immorale. Questo non ha senso, a meno che non si creda che ci sia un motivo per discriminare le persone solo sulla base di cosa introducono nel proprio corpo, senza arrecare danno a terzi. Altri sostengono invece che la legalizzazione aprirebbe la strada ad un enorme aumento dell’abuso di droghe. Costoro dimenticano che viviamo in un mondo in cui sono già in circolazione droghe psicoattive di tutti i tipi – e in cui persone troppo povere per acquistare le droghe finiscono per sniffare benzina, colla ed altri prodotti industriali, prodotti che possono essere più nocivi di qualunque droga.
No, la principale obiezione della legalizzazione potrebbe essere il fatto che i mercati legali cadrebbero nelle mani delle potenti compagnie che commercializzano alcol, tabacco e farmaci. Nonostante questo, la legalizzazione è una opzione molto più pragmatica della convivenza con la corruzione, la violenza e il crimine organizzato del sistema attuale.

La legalizzazione non avverrà mai”
Mai dire mai. È possibile che una legalizzazione totale sia molto lontana – ma una legalizzazione parziale non lo è. Se c’è una droga che ha una chance di essere legalizzata, questa è la cannabis. Centinaia di milioni di persone l’hanno usata e, nella grande maggioranza dei casi, senza subire alcun danno né essere passate a consumare droghe “più pesanti”. In Svizzera, ad esempio, la legalizzazione della cannabis è stata approvata due volte da un ramo del Parlamento, e rigettata dall’altro ramo con un margine esiguo di voti.
In altri paesi europei, il consenso alla criminalizzazione della cannabis sta svanendo. Negli Stati Uniti – dove all’incirca il 40% degli arresti per droga, ossia 1,8 milioni all’anno, sono per possesso di cannabis, tipicamente per piccole quantità – il 40% degli americani dichiara che questa droga dovrebbe essere tassata, controllata e regolata come l’alcol.
Grazie all’incoraggiamento del presidente boliviano Evo Morales, in America latina e in Europa sta crescendo il consenso per la rimozione della coca dalle convenzioni internazionali antidroga, data l’assenza di qualunque ragione sanitaria credibile perché sia lasciata lì. I coltivatori tradizionali ne avrebbero un vantaggio economico, e c’è una certa possibilità che simili prodotti possano fare concorrenza con successo a sostanze più problematiche, tra cui l’alcol.
La guerra globale alle droghe persiste anche perché tante persone non distinguono tra i danni dell’abuso di sostanze e i danni della proibizione. La legalizzazione ci obbliga a mettere questa distinzione in primo piano.
Il problema dell’oppio in Afghanistan è principalmente un problema di proibizione, non un problema di droga. Lo stesso è vero per la violenza legata al narcotraffico e per la corruzione, che affligge l’America latina e i Caraibi da quasi tre decenni – e che ora minaccia l’Africa. I governi possono arrestare e uccidere un signore della droga dopo l’altro, ma la soluzione definitiva è una soluzione strutturale, non giudiziaria. Poche persone hanno ancora dubbi sul fatto che la guerra alla droga sia persa, ma servono coraggio e capacità di visione per superare l’ignoranza, la paura e gli interessi acquisiti che la sostengono.

“Fuoriluogo – il manifesto”, 28/10/2007
Traduzione a cura di Marina Impallomeni

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