7.7.14

La frittura ed altre cotture (S.L.L.)

“Siamo fritti!”. E' l'esclamazione di va in malora, cade in rovina. Il modo di dire intero è, secondo Lapucci (Dizionario dei modi di dire, Garzanti – Vallecchi, 1969): “Siamo fritti, disse la tinca ai tincolini”. Ma v'è un'altra tradizione rintracciabile in rete, anch'essa da ricondurre al mondo dei pescatori, che inserisce il detto all'interno di un dialogo tra il merluzzo e il cefalo. “Siamo fritti!” – dice il primo al secondo, quando si accorge che entrambi erano caduti nella rete del pescatore. “Non credo, – risponde il cefalo, spiritoso – io sarò arrostito e farò testamento sulla graticola; tu sarai lessato e nuoterai nell’olio, incoronato di prezzemolo!”.
Il modo di dire fornì lo spunto a una barzelletta di gran moda negli anni Settanta, che raccontava come nelle caserme dell'Arma vigesse un modo economico di preparare i pesci di paranza. La trasformò in una “striscia” - quella qui ripresa - il disegnatore francese Bertéllier per un fortunato libello di Samonà e Savelli (Carabinieri, 1977). 



Da tutto ciò è facile desumere che l'esser fritti è una tremenda iattura. Ma non vale lo stesso per ogni cottura. Per esempio non è male essere “un furbo di tre cotte”, come recita un altro modo di dire. Spiega Lapucci che vuol dire “essere d'una furbizia sopraffina”, giacché tre cotture (o cotte) sono quelle necessarie per la raffinazione dello zucchero. Talvolta se ne fanno perfino sei.

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