25.8.14

Eraclito, il melanconico: “Metti giù il mondo, Atlante” (Luca Canali)

Nel testo c'è un errore, evidente, che non è di copiatura: quel "Callimaco" d'età alessandrina che di Eraclìto fu postero. Immagino che a Canali sia scappato (chissà perché) in luogo di un "Esiodo" e che nessuno poi lo abbia corretto. (S.L.L.)
Sua patria fu Efeso, sua epoca approssimativa il 500 a.c., suo problema centrale la coincidenza degli opposti, dopo la drammatica separazione di essere e non-essere operata da Parmenide. Democratico per eccesso di aristocrazia, giocava ad astragali con i bambini per disprezzo degli adulti; infine si ritirò tra i monti, a vivere con le bestie. Morì coperto di letame sotto il sole per curarsi l'idropisia di sua iniziativa, in ispregio dei medici.
Eraclito, che voleva espellere dagli agoni Omero e Callimaco, e non curava i miti dei poeti, era in realtà un grande filosofo-poeta: scrisse Sulla natura in tre libri, sull'universo, sullo Stato, sulla divinità — secondo la testimonianza di Diogene Laerzio —, con la tensione fantastica e intellettuale dei pensatori greci che per primi indagarono i misteri dell'universo nato dal caos, dell'ordine dei cicli scaturito dal casuale, della mente ordinatrice di tutte le gerarchie cosmiche.
Da Eraclito questa Mente è chiamata Zeus, ma è più propriamente Logos, Discorso, Intelletto. Il vero dio di Eraclito è l'intelligenza; la buona condizione umana è l'amicizia, dei semplici o dei saggi, e, paradossalmente per un orgoglioso, l'umiltà che si trasforma in superbia solo con gli ignoranti insuperbiti; la legge dell'esistenza, universale e individuale, intellettuale e fisiologica è la guerra, « madre e regina di tutte le cose », non in senso marziale, ma in condizione di mutamento assiduo non pacifico, non mite, non indolore.
Nella mente e nel cuore di Eraclito, questo solitario per eccesso di amore per una umanità bene ordinata, questo asceta gelido e rovente nei suoi apoftegmi, doveva celarsi un dramma doloroso, la coincidenza degli opposti per antonomasia: una suprema saggezza mutata in coscienza di totale ignoranza, la friabilità di una marmorea solidità teoretica ed esistenziale. Senza lasciarci ingannare dal "fascino del frammento", possiamo tuttavia alacremente abbandonarci alla lettura di questi frammenti rimasti dell'opera, in-
castonandoli -all'oscuro fondale di una più vasta affabulazione speculativa, espressione di un'epoca d'oro della storia del pensiero: ne trarranno maggior risalto, come messaggi di un'oscurità che tende continuamente verso la luce della ragione.
Il "melanconico" Eraclito rinunziò ad onori regali, di retaggio familiare, per cercare un altro spazio da dominare, quello della speculazione filosofica: questa lo portò a risultati ambivalenti; da una parte egli superò il primitivo dualismo cosmico, ad esempio di "alto" e "basso", e spazzò via il mito di Atlante, che sorreggerebbe il mondo sulle sue spalle per impedirgli di precipitare in un "basso" che ha ancora altri "bassi" all'infinito sotto di sé; dall'altra, con il rovesciamento e la "coincidentia" degli opposti, ad esempio del "basso" che può tramutarsi in "alto" e viceversa, in una sorta di una fluida perenne relatività, aprì il varco alle giostre intellettuali dei sofisti. «La via in su e la via in giù sono una e la medesima»; «Nel circolo principio e fine fanno uno». Sembrano appunto ovvietà o sofismi, ma sottendono formulazioni più emblematiche e sostanziali: « Connessioni: intero e non intero, convergente divergente, consonante dissonante: e da tutte le cose l'uno e dall'uno tutte le cose».
Ma in questo mistero di conciliazione, in tale divergere e convergere di punte dell'eterno dilemma, esistono affermazioni univoche: «Lo stolido stupisce ad ogni parola»; «L'io credo è morbo sacro»; «L'uomo ha nome d' infante al cospetto di dio come il bimbo al cospetto dell'uomo»; «Uno solo è per me diecimila se ottimo»; « Massima virtù è aver senno, e sapienza è dire il vero e operarlo da uomo che conosce e che segue la natura delle cose »; «Il popolo deve combattere per la legge come per le mura della città».
Sembrerebbero assiomi autoritari, ma li corregge un forte senso della individualità umana: «Demone a ciascuno è il suo modo di essere»; «E' difficile combattere contro il proprio animo: quello che vuole lo compra a prezzo della vita»; «Non bisogna comportarsi come figli dei padri»; «A tutti gli uomini è dato conoscere se stessi e non andare oltre il limite ».
Vi sono anche spunti di fatalità deistica: «Per la divinità tutte le cose sono belle e buone e giuste: gli uomini alcune le considerano giuste, altre ingiuste».
In126 brani i rilievi di un'intera opera perduta, e forse mai composta per intero. Il recente volume dei frammenti di Eraclito e delle testimonianze sul filosofo è opera di Carlo Diano, professore nell'università di Padova, scomparso nel 1974: eccezionali la traduzione e il commento, continuato da Giuseppe Serra, suo assistente e successore nella cattedra, che ha completato la fatica del maestro con nota biografica, bibliografia, indici. Un libro fra i migliori della collana di classici latini e greci della Fondazione Lorenzo Valla – Mondadori. (Eraclito, I frammenti e le testimonianze, a cura di Carlo Diano e Giuseppe Serra).

L'Espresso, ritaglio senza data, ma 1980.


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