12.8.14

Nel frattempo. Un racconto di Héctor Abad Faciolince

Una delle letture estive proposte dal “manifesto” nel 2011, fu una serie di racconti di autori latino-americani, nuovi e meno nuovi, più o meno conosciuti in Italia. Nel secondo dei racconti della serie dedicata alla narrativa dell'America latina, Héctor Abad Faciolince evoca con grande efficacia il clima di violenza e paura che tormenta il suo paese, la Colombia: «Al mio funerale parleranno il sindaco e un viceministro e diranno che non sono morto invano, un martire della libertà, un difensore dei diritti dell'uomo...».
Hector Abad Faciolince è nato nel 1958 a Medellín, in Colombia, e ha vissuto e studiato in Messico e in Italia, dove nel 1986 si è laureato in lingue e letteratura contemporanea all'Università di Torino. Dopo l'assassinio di suo padre (medico, intellettuale e uomo politico assai noto in Colombia) da parte di un gruppo paramilitare, è stato costretto all'esilio prima in Spagna e poi in Italia, dove ha insegnato all'Università di Verona fino al 1992. Attualmente vive in Colombia, dove lavora per quotidiani e riviste (nel 1998 e nel 2007 ha ricevuto il premio Simón Bolívar per il giornalismo) e per diverse case editrici. Traduttore di Sciascia, Calvino, Tomasi di Lampedusa, Bufalino, Eco, è autore di saggi, ma soprattutto di romanzi e racconti tradotti in molti paesi. In Italia sono apparsi: Trattato di culinaria per donne tristi (Sellerio 1997/ 2007), Scarti (Bollati Boringhieri, 2008), L'oblio che saremo (Einaudi 2009).
Il racconto pubblicato dal “manifesto” per concessione dell'autore è tratto e qui ripreso è tratto da El amancer de un marido (2008), ancora inedito in Italia.
Héctor Abad Faciolince
Presto o tardi verranno anche per me. Butteranno giù la porta con una mazza, come al vicino del piano di sotto, butteranno giù la porta a colpi di mazza mentre mi rado in bagno e non avrò neanche il tempo di infilarmi i pantaloni. Così, io con l'asciugamano intorno alla vita, verranno con i loro occhiali scuri, lo sguardo torbido, le dita nervose, e scaricheranno sul mio corpo umido una pioggia di pallottole. E poi se ne torneranno da dove sono venuti, senza neanche correre, quasi con calma risaliranno sulle loro enormi jeep, vetri blindati e fari accesi, con calma svolteranno l'angolo e si perderanno nel viale e nessuno saprà chi fossero, se la guerriglia, i paramilitari, la polizia, i Pepes, i majacas, i delinquenti comuni, le milizie, i narcos, l'esercito, gli sgherri di qualche politico, i latifondisti, i commercianti, i contrabbandieri, chiunque e chicchessia, questi e quelli, tutti insieme, transfughi da una parte all'altra, sicari, mercenari, sgherri al soldo dei molti terrori che ci danno ordini e ci uccidono. 
Fa lo stesso. Magari non soffrirò neanche troppo. Il cuore batterà disperato nel petto per qualche secondo, riuscirò a gridare che per favore non lo facciano, spaventato come ci spaventiamo tutti davanti alla morte, attaccati come siamo al dolce aroma dell'esistenza, desiderosi di continuare a respirare finché qualche malattia non ci rubi il fiato nel letto, ma le parole mi resteranno in gola e sarò solamente un rivolo di sangue accanto al mio corpo umido e quando mia figlia verrà a vedermi e quando verrà mio figlio e tutti e due piangeranno di dolore e di paura, quando verranno a vedermi le mie sorelle, sarò così bianco, così livido e freddo che non vorranno vedermi più e diranno seppellitelo, seppellitelo in fretta, o crematelo, crematelo al più presto, e se ne andranno a vivere in un altro paese. Cercheranno di dimenticare, si difenderanno dal ricordo della mia morte come da un incubo che li perseguita notte dopo notte, non vorranno ricordare il mio corpo rigido né i fori violacei delle pallottole. 
Venderanno al miglior offerente tutto quello che hanno e che lascerò loro, riscuoteranno la mia miserabile assicurazione e se ne andranno a vivere in un paese dove uomini con o senza cappuccio non ti entrino in casa di notte o a mezzogiorno e non ti uccidano perché sì o perché no, perché hai scritto un articolo o perché non lo hai scritto, perché ti hanno visto con tizio o con caio, perché ti hanno sentito dire che i latifondisti sono assassini e i guerriglieri anche, e la polizia una muta di assassini, e i poveri una turba di assassini e i ricchi un branco di assassini e il politici dei ladri assassini e i preti complici piagnucolosi degli assassini, e i mafiosi altri assassini che hanno perfezionato l'arte di assassinare, e i militari altri assassini ancora, e solo per aver detto la verità, e cioè che questo paese è abitato da una folle orda di assassini che non sanno cosa siano il dolore e la compassione, solo per averlo detto, verranno ad assassinarti come assassineranno me per averlo detto o scritto, verranno per me nella casa di città o in quella di campagna, non so quando, di giorno o di notte, a un certo momento, in una data qualsiasi, presto o tardi, come accade a tutti in questo orribile posto. E nel frattempo scrivo il mio terrore. Posso farlo, nessuno me lo impedisce, me lo pubblicano addirittura e mi dicono è proprio il tuo ritratto, sempre lo stesso paranoico, mi diranno, indifferenti, sorridenti come il cielo con i loro occhi di cielo, il loro sguardo di cielo, il cielo è azzurro, di un azzurro profondo e indifferente come solo la bellezza può esserlo, altero nella sua azzurra grazia, un azzurro da cartolina, e il clima così perfetto, si sta bene in camicia e senza camicia, si sta bene con la giacca e senza giacca, posso andare in giro col cane e passeggiare per viottoli di campagna e vedere mucche Holstein come se fossimo in Svizzera e giardini ben curati e alberi frondosi, tutto sembra così placido e tranquillo (le nuvole bianche, il cielo azzurrissimo, l'aria così limpida) da far pensare che qui vada tutto bene, qui non mi succederà mai nulla, questo paese è bellissimo, queste montagne andine sono bellissime e la gente è amabile, ti saluta sempre, buongiorno, buongiorno signore, mentre continuano a mungere, e passano in bicicletta schivando le pozzanghere perché di notte piove e di giorno c'è il sole, tutto perfetto, perfetto il clima, il verde intenso quanto l'azzurro, acqua pulita che di notte cade come un'immensa doccia su tutta la pianura, a Llanogrande, in questo paradiso dove niente può succedermi, in questa casa che fu del mio bisnonno ed è stata di mia nonna ed era di mia madre e adesso è mia non può succedermi niente, l'erba cresce, il sole sorge e tramonta, tutto è così perfetto, le pareti imbiancate a calce, le verdure dell'orto, ma verranno, loro verranno, i fari accesi, i vetri polarizzati, veniamo per lei, ma non si preoccupi, la portiamo qui vicino a fare due chiacchiere con il capo e la riporteremo indietro, salga tranquillo, e mi portano in una boscaglia, in un campo di stoppie, e appena oltrepassate le griglie metalliche che impediscono al bestiame di uscire dalla proprietà mi diranno ora sì che sei morto figlio di puttana, pezzo di merda, coglione, ora sì che sei morto, e prima di uccidermi mi prenderanno a calci in culo e negli stinchi, mi toglieranno gli occhiali con un pugno e tutto mi si annebbierà davanti agli occhi, mi faranno saltare i denti dandomi una gran botta col revolver, spegneranno una sigaretta nella cavità del mio orecchio come fosse un portacenere, guardate che portacenere, guardate come butta fumo questo portacenere, ora sì che sei morto, figlio di puttana, dì addio a questa vita, dì addio, rospo immondo, ora sì che starai zitto per sempre vediamo se scriverai ancora sul capo, e io non saprò mai chi è il capo, se il capo del fronte guerrigliero numero tale, se il capo dei gruppi paramilitari di una certa parte, se il capo politico di El Retiro o di Rionegro o della Ceja o di Sonsón o di El Carmen, se il colonnello nonsochi, se il comandante X, non saprò chi sono, e quando si stancheranno di picchiarmi e martoriarmi, quando vedranno che ho i pantaloni bagnati e mi sono cagato addosso dalla paura, solo allora una scarica di pallottole mi pioverà sul petto, in testa, sulle gambe, riducetelo a un colabrodo così tutti sapranno chi comanda qui, e impareranno. E chi è che comanda qui, chi? 
Al mio funerale parleranno il sindaco e un viceministro e diranno che non sono morto invano, un martire della libertà e della stampa, un esponente di spicco del pensiero libero, un infaticabile difensore dei diritti dell'uomo, uno scrittore irreprensibile, così diranno anche se non è vero perché ai funerali tutto è permesso, e che troveranno immancabilmente i colpevoli, che puniranno i codardi assassini, ma il giorno dopo avranno già dimenticato queste compunte promesse, la carezza sulla testa dei bambini, le parole di incoraggiamento alle mie sorelle, parole ormai imparate a memoria a forza di ripeterle, il giorno dopo già si occuperanno d'altro, qualche sostanzioso affare di terreni, un nuovo appalto, un peculato, dimenticheranno tutto anche se era in prima pagina, «El Colombiano» dirà: «Cessi la barbarie!», «El Espectador» dirà «Terrorismo a Rionegro, assassinato lo scrittore...», «El Tiempo» dirà che si sospetta di un certo fronte guerrigliero, «Cromos» pubblicherà una mia vecchia foto scattata a un cocktail, sorridente, con un bicchiere di vino in mano, e «Semana» tirerà fuori qualche ipotesi in esclusiva sulla mia morte, da fonti degne di fede che per sicurezza preferiscono mantenere l'anonimato, ma pronte a dichiarare con conoscenza di causa che a quanto sembra c'è di mezzo una faccenda di riciclaggio in cui sarei stato coinvolto insieme a un cugino del mio ex suocero, e così tutto si spiega. 
Oltre a putrefarsi, il mio cuore verrà infangato, su di me aleggerà il sospetto, di certo non mi avranno ucciso senza motivo, la gente dirà: «Ah, una ragione c'era, nessuno viene ucciso per nulla, c'era una ragione, era implicato in qualcosa, non hai letto "Semana"?». I miei figli e le mie sorelle si indigneranno inutilmente, piangeranno di rabbia inutilmente, manderanno inutilmente una lettera di rettifica perché questa versione indurrà a dubitare perfino parenti e amici, non tutti, ma alcuni dubiteranno, era così solitario, se ne stava nella casa di campagna ad ascoltare Bach e non parlava con nessuno, andava in giro per i viottoli e tutti lo vedevano muovere le labbra e parlare da solo, perché preferiva parlare da solo che con noi, era un egoista e aveva in bel conto in banca a Miami, e altri diranno no, non parlava da solo, recitava semplicemente poesie di De Greiff che sapeva a memoria e diceva che lo tranquillizzavano come succede ai credenti con le preghiere al Signore e il rosario, non aveva un conto a Miami e non sapeva come si riciclano i dollari. Sì, anche quando mi porteranno via sulla jeep della mia morte, per strada, cercherò di recitare tra me e me León De Greiff, desidero star solo compagnia non ne voglio gustare vo' il silenzio il minimo bisbiglio mi affligge e mi importuna, e se la sotterranea voce di una canzone all'orecchio mi giunge meglio che sia in sordina il fragore del canto col mio tacere oltraggio se poi troppa è la musica che risuoni nell'Ade o in qualsiasi regione al nero Ade vicina taci rumore cessa grido di malauspicio desidero star solo non voglio compagnia vo' gustare il silenzio sola ghiottoneria. 
E loro rideranno, diranno, guarda un po', non diceva di essere ateo, guarda come prega il figlio di puttana, ora sì che lo stronzo si caga addosso dalla paura e con una pinza mi strapperanno un pezzo di carne dal fianco per farmi strillare come un maiale, ma non avrò fiato per gridare, il terrore mi avrà fatto ammutolire per sempre, già morto

prima che mi uccidano, e le mie mani non smetteranno di tremare e un sudore freddo di bagnarmi la camicia e dal fianco il sangue della ferita gocciolerà sui pantaloni. Anche al cane spareranno un colpo prima di portarmi via, uscirà con la coda tra le gambe, si avvicinerà per annusarmi e come per congedarsi, scodinzolerà, riuscirà a tirar su coda, mi leccherà le scarpe e in quel momento un colpo gli attraverserà la testa e io saprò che tra poco un altro colpo attraverserà la mia. Tutto è malato di odio in questo luogo, anche io sono malato di terrore e non mi fido di nessuno, giro per casa con la mia ombra mentre Emma mi serve la colazione, Emma, Emma che quando mi porteranno via griderà «Non portatelo via, non portatelo via, non ha fatto niente di male!» e loro diranno stai zitta vecchia troia, stai zitta se non vuoi che portiamo via anche te.

Tutto questo accadrà, o forse no, forse lo scrivo perché non mi succeda, per scongiurare la paura e le immagini che notte dopo notte mi perseguitano, immagini che sono immaginazione, immagini che sono calcolo e paura, ma soprattutto ricordo, ricordo dei tanti che sono stati inghiottiti dalla morte, ricordo di pallottole che hanno martirizzato il sangue di quelli che amavo di più, ricordo di torture, sequestri, furti, omicidi, rapine, stupri, ricordo di tutti noi che continuiamo a soffrire senza capire perché tutto questo accada. 
Forse verranno semplicemente a rubare, una notte, e mi legheranno a una sedia e mi metteranno un fazzoletto in bocca dopo avermi chiesto il codice della carta di credito, e se ce lo dai sbagliato te ne pentirai, gran figlio di puttana, uno di noi resta a fare la guardia e torniamo subito, se il codice è giusto non ti succede niente, stronzo, meglio per te se non cerchi di imbrogliarci. E allora sarà più facile sopportarlo, starò col cuore in gola per qualche ora, ma potrò ancora raccontarla. 
In ogni caso quando arriveranno non saprò chi sono, se gli assassini venuti per uccidermi o i ladri per derubarmi, o i guerriglieri per sequestrarmi o i paramilitari per assassinarmi o quelli della chiacchierata con il capo, e così a volte penso perché non andare piuttosto alla Cuarta Brigada a comprarmi una pistola e chiedere il porto d'armi, venderò cara la pelle, non mi lascerò uccidere come un cane, prima lotterò, forse sarò capace di ferire almeno uno di loro, sparerò da sotto il letto, da dietro l'angolo del corridoio, come una spia o un detective da film, ma poi so che non sono capace, non ho mai sparato e neppure voglio imparare, e allora che mi uccidano, ma prima che mi uccidano lo scriverò. Perché? Per nulla, per lasciarlo scritto, perché altrove si sappia che questo meraviglioso luogo della Terra è abitato da persone immonde che ormai hanno perso ogni compassione, che vogliono solo uccidere, uccidere, che vivono come in una corrida e si credono toreri mentre noialtri siamo tori e viviamo in un immenso continuo sacrificio e sembra che tutto questo non finirà mai, un sacrificio dietro l'altro, una famiglia distrutta dopo l'altra, un morto dopo l'altro, una macelleria, un inferno e tutto sotto l'azzurro intenso del cielo, così profondo, così dolce, tutto in questo clima ideale del tropico in alta montagna, tra donne devote e tranquille, uomini simpatici e lavoratori, tra messe e apparizioni della Vergine, tra piogge benefiche e sole forte e terra nera, tra il mais, i pomodori, il caffè, le patate, i cavoli, le fragole, la coca, i fichi, gli asparagi, in questa terra che restituisce quel che si semina, fiori o spine, odio o amore, erbacce o mele, e anche quello che non si semina: vento e tempesta.


traduzione di Francesca Lazzarato - il manifesto, 20 luglio 2011

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