Uno degli ultimi articoli
per “il manifesto” di Enzo Mazzi (morto nel 2011), il prete
ribelle dell'Isolotto di Firenze, che, dopo la rottura con la
gerarchia cattolica, si impegnò soprattutto nelle comunità di base
e rivalutò, fino ad elogiarla, l'eresia. (S.L.L.)
La pedofilia del clero è
un fenomeno antico, come del resto la pedofilia intra-familiare. Se
oggi emerge e fa scandalo non è necessariamente perché tale
fenomeno si sia aggravato ma perché le vittime e i loro genitori
hanno il coraggio di denunciare gli abusi. Si conferma ancora una
volta il paradigma storico che da sempre anima i movimenti dal basso,
le comunità di base e questo stesso giornale: la salvezza del mondo
viene dalla forza delle vittime.
È grazie a loro, alle
vittime coraggiose, che finalmente si è rivelata la fallibilità,
reale umana, dell’«infallibile» supremo pontefice, il quale ha
dovuto scusarsi, in qualche modo e mai abbastanza, firmando una
lettera che riconosce la necessità di cambiare strada. È grazie a
loro che molti vescovi, maestri, padri e dottori, hanno dovuto
chinare il capo, perfino dimettersi e imparare a tornare uomini
fragili scendendo dal piedistallo della sacralità. È grazie a loro
che la Chiesa cattolica tutta, la quale si autodefinisce
«indefettibile», ha mostrato il suo volto intimo più vero, di
realtà defettibile, precaria, umana, ispirata dal messaggio e dalla
testimonianza di un uomo che ha detto «se il seme non muore non
porta frutto».
La pedofilia è un
crimine e quella dei preti lo è a un livello di gravità e
pericolosità particolarmente pesante. Il «sacro», cose sacre,
persone sacre, luoghi e tempi sacri, proprio in quanto realtà
separata tende ad annullare la sacralità dell’esistenza normale,
esclude la sacralità del tutto e quindi è implicitamente e
intrinsecamente fonte di violenza. Ma se il sacro si rende
responsabile di esplicite forme di violenza, come nella pedofilia dei
preti, allora la violenza esplicita e quella implicita si potenziano
reciprocamente.
Il colpevole di
turno
Gli episodi di pedofilia
che stanno emergendo in tutto il mondo evidenziano contraddizioni e
deficienze strutturali dell’istituzione Chiesa. È fuorviante
scaricare tutto e solo sul colpevole di turno. Ognuno è responsabile
delle proprie azioni e ne deve rispondere verso le vittime e verso la
giustizia; ma la responsabilità individuale non assolve affatto le
responsabilità dell’istituzione. Vari analisti del fenomeno della
pedofilia nella Chiesa e lo stesso Benedetto XVI arrivano a parlare
di tolleranza zero, utilizzando acriticamente il linguaggio della
destra estrema, ma si guardano bene dal cercarne le radici nella
struttura istituzionale ecclesiastica. Sarebbe invece proprio lì,
nella struttura del sacro che andrebbe applicata la tolleranza zero.
È nota ormai la
relazione che c’è fra il sesso e il potere. Già per i greci ed i
romani il fallo era simbolo di potere. Nell’antica Roma non di rado
le dimensioni e la forma del pene agevolavano la carriera politica e
militare. Tutto ciò che si erige sembra essere un riferimento
fallico. Gli obelischi, i campanili, le torri, il bastone del
comando, lo scettro regale, il pastorale, la stessa mitria vescovile,
che cosa sono se non simboli fallici? Non a caso nella Chiesa il
potere è riservato rigidamente a chi possiede il sesso maschile e
negato in assoluto alla donna. La pedofilia è interna a questo
rapporto fra sesso e potere. Chi cerca il bambino o la bambina per
soddisfare l’appetito sessuale lo fa per esprimere la propria sete
di dominio verso una creatura fragile. È la sete di dominio la
radice più profonda della pedofilia. Per cui combattere la pedofilia
senza porre la scure alla radice non dico che è inutile ma certo è
insufficiente. Ed è la sete di dominio che andrebbe sradicata dalla
struttura del sacro.
I fedeli, perenni
bambini
Fa ancora parte di una
pastorale «normale», che avrebbe dovuto essere superata nel
dopoconcilio ma non lo è affatto, il condizionamento di coscienze
infantili attraverso l’imposizione di sensi di colpa che
s’insinuano nel profondo e si trascinano inconsapevolmente per
tutta la vita. Per non parlare degli indottrinamenti di un certo modo
di fare catechesi e di insegnare religione nelle scuole, che è
ancora purtroppo largamente maggioritario. Il Compendio del
Catechismo pubblicato di recente dal Vaticano, a domande e
risposte preconfezionate, da cui non emerge nemmeno un minimo di
senso di ricerca, di autonomia, di coscienza critica, non è esso
stesso un invito all’indottrinamento?
Come una madre
possessiva, sembra che Madre Chiesa voglia mantenere in una perenne
condizione infantile i suoi figli, tanto li ama. Se non rischiasse di
essere male interpretato, verrebbe voglia di chiamare tutto questo
«pedofilia strutturale» della Chiesa, nel senso appunto di amore
verso gli uomini e donne perennemente bambini. E la sacralizzazione
del potere ecclesiastico, la teologia e la pastorale del disprezzo
verso il corpo, il sesso e il piacere, la condanna di ogni forma di
rapporto fra sessi che non sia consacrato dal matrimonio, non è
tutto questo dominio violento?
C’è in questo momento
la tendenza a puntare sulla concessione del matrimonio ai preti
rendendo il celibato una scelta facoltativa e non definitiva. Ma è
il sacerdozio in sé come casta sacrale detentrice di un potere
derivante direttamente da Dio da porre in discussione. È tempo che
si crei un grande movimento per restituire al cristianesimo il senso
della liberazione dal sacro, in quanto realtà separata, liberazione
non solo dalle oppressioni economiche e politiche, ma anche
psicologiche, etiche-morali, simboliche. Forse non sparirà la
pedofilia ma certo verrà colpita a fondo e non solo quella dei
preti.
(il manifesto, 20 marzo
2010)
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