Enzo Mazzi |
Un ricordo di Enzo Mazzi,
in occasione della sua morte. (Dom) Franzoni che ne è l'autore fu un altro prete di sinistra di primo piano: benedettino, abate di San Paolo
fuori Le Mura, ridotto dalla gerarchia allo stato laicale, fu
animatore della rivista Com-Tempi nuovi e dei Cristiani per il
socialismo. Nell'articolo egli nega che nel dissenso di Mazzi abbiano
peso questioni teologiche o dottrinali e tende a valorizzare le
differenze sul piano della prassi: Chiesa dei poveri v/s Chiesa del
potere. (S.L.L.)
Giovanni Franzoni, quand'era abate. |
Parleremo ancora a lungo
di Enzo Mazzi perché la sua testimonianza è difficilmente
riconducibile a una sola e inflessibile interpretazione. Con la
consapevolezza della possibilità di sbagliare, mi assumo perciò la
responsabilità di sciogliere la contraddizione, per me apparente,
fra Enzo degli anni ’70 e l’autore del libro Il valore
dell’eresia.
Ricordo che 40 anni or
sono Enzo raccomandava a se stesso ed alle Comunità di base di non
farsi incastrare nelle discussioni teologiche, correndo il rischio di
passare per eretiche, negando o relativizzando l’una o l’altra
delle dottrine cattoliche che passavano per opinioni comuni fra i
teologi, prossime alla fede.
La paura di Enzo ai primi
passi del movimento delle Comunità cristiane di base in Italia era
proprio quella di estenuarsi in dibattici teologici eludendo il nodo
principale che era quello di contestare alla chiesa cattolica romana,
istituzionale e gerarchica, una prassi di vita del tutto
contraddittoria con quanto appariva evidente nelle lettere di Paolo,
nei Vangeli e nella prassi delle Comunità delle origini,
prima che l’imperatore Teodosio dichiarasse il cristianesimo
religione dell’impero e prima ancora che l’imperatore Costantino,
dopo avere emesso un editto di tolleranza nei confronti dei
cristiani, si fosse preoccupato della loro identità cominciando a
promuovere l’ortodossia della “grande chiesa”.
Chi legge il libro di
Enzo sui valori dell’eresia condivide perfettamente l’appassionato
consenso con il pensiero dinamico, creativo, critico e contestuale
che la gerarchia ha condannato come eretico. Ma chi prende in
considerazione, uno per uno, gli esempi di eretici di cui parla Enzo,
scopre che in essi non ci fu mai nulla di eretico, se per eretico si
considera un pensiero che oppone all’ortodossia della Chiesa
gerarchica un’altra ortodossia. Da Origene fino a Theillard De
Chardin nessuno di questi ha voluto essere considerato eretico ma ha
sempre pensato che la propria riflessione filosofico-teologica fosse
una libera esercitazione. Origene parlava insistentemente di gymnasìa
con la quale il credente rifletteva sulla fede in Gesù crocifisso e
risorto e nel flusso creativo di grazia, che veniva dal Padre, e
attraverso il Figlio nello Spirito Santo, riconduceva i credenti
all’unità ricostituente l’armonia del creato.
Ma Giordano Bruno? Nella
ricorrenza del quarto centenario del suo martirio la chiesa cattolica
romana, aprendosi a pentimenti verso errori del suo passato, ribadiva
anche in occasione del giubileo del millennio, pur deplorando il
rogo, che fra l’altro oggi sarebbe anacronistico, che Giordano
Bruno era stato un eretico impenitente. In verità Giordano Bruno
davanti all’inquisizione di Venezia e poi anche davanti a quella di
Roma si dichiarò sempre disponibile a riconoscere come opinabili o
addirittura erronei i suoi dubbi sulla proprietà del linguaggio
teologico nel definire persone le ipostasi della Trinità, la
verginità di Maria, o la transustanziazione del pane in corpo di
Cristo. L’unico punto su cui non volle cedere, meritandosi il rogo,
fu il suo pensiero filosofico sulla infinità degli universi e quindi
sull’impossibilità che gli universi avessero un centro. Vano,
quindi, lo sforzo di Copernico di spostare i movimenti cosmici del
sistema tolemaico geocentrico a quello affermato da lui eliocentrico:
l’infinito non può avere un centro.
Certo Roma si sentì
colpita al cuore davanti all’affermazione che non essendoci un
centro dell’universo, la stessa autorità della curia veniva
scagliata in periferia, ma questa è eresia? Questo oscura la
chiarezza del messaggio evangelico?
Qual è dunque la linea
di riferimento nella mente di Enzo per trovarsi sempre al seguito di
Gesù su un cammino di salvezza dei poveri, dei senza voce, dei
diseredati e dei perseguitati? Non è un’altra ortodossia da
opporre all’ortodossia e alla sacralizzazione del pensiero, dei
gesti rituali, dei servizi e dei carismi ma una ortoprassi che giorno
per giorno veglia sulla fedeltà del discepolo nel seguire
l’Evangelo.
“il manifesto”, 25
ottobre 2011
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