Vito Teti è un
antropologo di grande valore e la ricostruzione che qui fa di un
pellegrinaggio festivo in Calabria, del mutare nel tempo dei suoi
significati è rigorosa e suggestiva. Le cronache degli anni
successivi a questo testo si sono tuttavia incaricate di smentire una
illusione dello studioso: che la ndrangheta,
diventata una grande holding criminale, abbia mollato la presa sulle
feste religiose. E' verosimile che le 'ndrine utilizzino
altre sedi e altre forme di incontro per le decisioni mafiose, ma
nelle feste popolari vogliono continuare ad esserci e vogliono farlo
vedere. (S.L.L.)
Il viaggio dei Bronzi e
il viaggio di Ulisse, il viaggio dei greci, di Annibale, di Spartaco
e poi i viaggi dei conquistatori, il viaggio dei santi protettori e
degli eroi fondatori, il viaggio mitico di Cristo che «girava il
mondo»: la storia, reale e inventata (ma anche le invenzioni sono
reali), passata e recente, della Calabria è una storia di viaggi.
Alluvioni, acque violente
e inarrestabili, torrenti secchi, d'estate, e travolgenti, d'inverno,
frane, smottamenti, terremoti, paesi che si muovono e che si
trasferiscono, popolazioni che dalle coste arretrano sui monti e dopo
secoli dai monti scendono verso le marine: natura e storia, geografia
e cultura, necessità e caso, hanno congiurato per fare della
Calabria, della Calabria reale e della Calabria immagine, una terra
mobile, appesa, sospesa, pericolante, ambigua, incerta, pronta a
spostarsi.
Da qualche parte (nelle
stelle o nel sole? nella geografia o nella storia? nel clima o nelle
forme?) forse era previsto che il popolo calabrese, come diceva
Alvaro, sarebbe diventato un «popolo in fuga» e che, una volta
fuggito, si sarebbe trasformato in «popolo in viaggio».
Dal 1876 al 1905, quasi
cinquecentomila calabresi, un terzo dell'intera popolazione, hanno
lasciato la regione. Un nuovo esodo biblico. E ancora oggi il viaggio
religioso, il pellegrinaggio, ha un'importanza fondamentale nella
società e nella cultura calabrese. Il pellegrinaggio, come il
viaggio, è elemento costitutivo della mentalità del calabrese. Il
monte Pollino (Località Timpa del demonio, Festa della Madonna del
Pollino, 5-6 luglio), il Pettoruto (San Sostene, in provincia di
Cosenza, festa della madonna del Pettoruto, 7-8 settembre), Torre di
Ruggiero (provincia di Catan-zaro, festa della Madonna delle grazie,
2 luglio), Riace (provincia di Reggio Calabria, festa dei Santi Cosma
e Damiano, 25-26 settembre) e altre località in varie parti della
Calabria rappresentano luoghi di affluenza di migliaia di pellegrini
che rinnovano antichi culti e inventano nuove forme di devozione e di
aggregazione, mettono in atto nuovi modi di essere e di porsi appresi
in Calabria o altrove.
Il viaggio religioso, più
noto e denso di significati, è quello che si svolge a Polsi, nel
cuore dell'Aspromonte, durante il mese di agosto e culminante nella
notte tra il primo e il 2 settembre. Il culto della Madonna della
Montagna (il luogo è tipico: l'accesso difficile in mezzo a monti e
a boschi, le acque, la grotta) è segnalato già sotto i Normanni nel
secolo XI.
A Polsi si arriva dopo un
lungo viaggio, partendo da Gambarie o da San Luca, il paese di
Alvaro, attraverso strade impervie e scoscese che aprono su paesaggi
suggestivi e di grande fascino. Soltanto da qualche anno la strada è
parzialmente asfaltata. A piedi, con le macchine, con i pulmann, con
i camion, vi arrivano migliaia di pellegrini a gruppi di amici, di
parenti, di paesani. Arrivano dai paesi lontani della provincia di
Reggio, del resto della Calabria e dalla Sicilia. La notte della
vigilia, aspettando l'alba e la processione, le donne pregano e
cantano dentro il Santuario.
Fuori, tra sentieri
scoscesi, in piccoli spiazzi, uomini e donne, al suono
dell'organetto, ballano la tarantella, cantano e mangiano la carne di
capra. Le abbuffate alimentari hanno perso l'antico significato
sacrificale, né costituiscono rottura di un'alimentazione monotona e
carente. Il cibo consente il legame con i tempi andati. Il clima è
conviviale e gioioso: ancora oggi intuiscono di trasgressioni di
ordine sessuale. Le interminabili tarantelle sono gare di agilità e
destrezza, di forza e capacità.
Il ballo un tempo veniva
regolato dal un maestro. Si esibivano giovani e donne, e anche gli
ndranghetisti che qui tenevano il loro raduno annuale (oggi le
decisioni mafiose vengono prese altrove e non da questi protagonisti
di un antico rito). I devoti dormono, sonnecchiano, pregano
(sopravvivenze evidenti dell'incubatio) nelle stanze del
Santuario e di case adiacenti.
E' la notte dell'1
settembre 1980. Due giovani ballano per ore la tarantella. Sono agili
e belli. Studiano e partecipano a gare di danza in molte località di
mare. L'indomani, prima della processione, osservo in chiesa
l'interminabile offerta di ex-voto in cera, di soldi, di ori. Un bue
viene portato davanti all'altare e s'inginocchia tra la commozione
dei presenti. Tutto è rumore e tensione, anche se molti scritti
invitano al silenzio e a «comportamenti dignitosi». La Chiesa
controlla le forme di devozione popolare in maniera violenta, dopo
che per secoli le ha incoraggiate e sostenute.
Dal fondo della chiesa
parte piangente una donna vestita di nero. Piange e si batte il
petto. S'inginocchia, abbassa la testa per terra, in ginocchio
cammina strisciando con la lingua fino all'altare. Sono testimone
involontario della strusciata, che molti folkloristi davano
per scomparsa già a fine Ottocento.
La donna ha il volto
sporco e sudato, una Mater Dolorosa che ha fatto il voto per
il figlio colpito da male incurabile. Ultimi fuochi di riti arcaici.
Forse. Certo se le forme della devozione popolare sono mutate, mutato
non è il bisogno di sacro, almeno per questa gente. La festa (quanto
dolore e sofferenza nella festa!) è viva. E' una nuova festa. Già
Norman Douglas, un attento viaggiatore straniero, a inizio Novecento,
descrivendo la festa della Madonna del Pollino segnalava come lo
spirito imprenditoriale e mondano degli emigrati, la nuova mentalità
degli americani, avrebbe mutato nel giro di pochi anni l'antico senso
della festa.
E in effetti l'erosione
della festa e della cultura folklorica comincia in quel periodo. Il
viaggio degli emigrati segna la fine del viaggio, del pellegrinaggio,
e la fine di un mondo. Francesco Ferri ambienta la scena finale del
suo romanzo Emigranti del 1928 a Polsi. Pietro Blefari, un
protagonista del romanzo, torna distrutto dall'America, è deluso e
sconfitto. A Polsi, durante la festa, incontra la donna amata, ormai
sposata. I due hanno una fugace colloquio: Pietro viene ucciso a
coltellate dal marito della donna. La morte di Pietro è una sorta di
espiazione per la fuga compiuta. Il pellegrinaggio un tempo regolava
e confermava rapporti antichi e nuovi. Il pellegrinaggio costituiva
spostamento in un altrove economico, culturale, esistenziale.
Con l'emigrazione, il
pellegrinaggio diventa viaggio di pentimento, di impossibile ricerca
del mondo perduto. Le migliaia di Pietro Blefari non trovano più
pace, sono irrequieti, non sono in alcun posto. Il pellegrinaggio è
viaggio illusorio di annullamento di un viaggio compiuto senza
possibilità di ricostruire il «punto di partenza».
Nella notte si sentono i
suoni degli organetti, si vede il sangue delle capre sgozzate e i
passi dei bravi ballerini, il rumore dei brindisi, le discese delle
fiumare, le luci delle macchine che si allontanano. I canti religiosi
salgono lungo la Montagna, più in alto sembrano andare gli spari dei
fucili. Si intuiscono baci, preghiere, speranze, delusioni, attese.
“il manifesto”,
ritaglio senza data, ma quasi certamente agosto 1986
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