La
parabola di Ignác Fülöp Semmelweis,
il medico
ungherese che scoprì,
nel
policlinico della Vienna imperiale,
la causa
dell'epidemia di morti post partum.
Erano i
medici a diffondere
la febbre
puerperale,
da donna a
donna,
con le loro
mani infette.
Non
accettarono
la prova
inconfutabile
della loro
colpa
e «lo
straniero» fu rimandato a casa
a morire di
incomprensione e follia.
Ignác Fülöp Semmelweis |
Vienna, una domenica del
1847. Una bella ragazza ormai prossima al parto varca la soglia del
Policlinico («Allgemeines Krankenhaus») di Vienna per essere
ricoverata nel reparto di ostetricia. E' angosciata. Ha tutte le
ragioni per esserlo. Si è concessa su un bel prato a uno studente di
filosofia e quando, dopo ripetuti incontri, ha scoperto di essere
incinta e glielo ha detto, il ragazzo, accusandola di essere una
sciocca sprovveduta, l'ha piantata. La giovane è messa male anche
con suo padre. Il vecchio, tra l'altro dolorante per una vedovanza
mal sopportata, ha accolto la notizia con una terribile sfuriata e,
al suo rifiuto di rivelare il nome dello studente, l'ha scacciata. E'
sola, è spaventata - un parto è, all'epoca, una faccenda difficile
- ma continua ad essere assetata di una tenerezza che, d'altronde,
continua ad essere disposta a donare per prima. Graziosa com'è, la
povera figliola fa pensare alle parole di un lied in voga: «tu
sei un foglio, un foglio bianco sul quale scrivono gli dei». Non
sa che sul foglio non sarà scritta la sicura promessa di una vita
felice, che ha tutto il diritto di attendersi, ma una sentenza di
morte.
Comincia
il calvario
Il
reparto del Policlinico ha due settori, la I e la II Divisione; la
seconda divisione è gestita da ostetriche e infermiere, la prima
divisione dai medici ed è affollata da studenti di medicina che
fanno pratica, frastornando le pazienti con domande imbarazzanti e
frugando indiscretamente nelle loro parti intime. Insomma, la I
Divisione ha una brutta fama e non solo per l'oggettiva brutalità
con cui sono trattate le pazienti, ma anche per l'altissimo numero di
decessi. Anche per quanto le ha detto Lisl, sua intima amica, la
fanciulla lo sa e chiede d'essere accettata nella II Divisione.
Niente da fare. Per una delle regole bislacche - che da sempre
governano gli ospedali - viene accolta singhiozzante nella I
Divisione. Comincia il calvario. Le prime ore sono occupate da visite
ginecologiche, che le procurano una forte sofferenza fisica e la
mettono a disagio, presto seguite dalle doglie. Finalmente il parto.
Viene alla luce un bel maschietto che lei chiama Ferdinando, lo
stesso nome del nonno e dell'imperatore. La sua felicità dura poco.
Il decorso è talmente negativo da trasformarsi rapidamente in stato
terminale. Muore infatti tre giorni dopo la nascita del bambino.
Causa della morte: febbre puerperale.
Semmelweis
alla I Divisione
Comincia
così Il morbo dei dottori. La strana
storia di Ignác Semmelweis, un libro
straordinario di Sherwin B. Nuland, clinico americano della Yale
University dove insegna storia della medicina e bioetica, assai noto
anche in Italia - ha svolto diverse conferenze nell'ambito di
Spoletoscienza, nel 1996 e nel 1998, e a Roma nell'Università
Cattolica (2002), dove è atteso per un seminario (Leonardo,
l'arte e la medicina») l'8 e il 9
novembre prossimo - soprattutto per una penetrante indagine sulla
terminalità (Come moriamo: riflessioni
sull'ultimo capitolo della vita, Mondadori
1994). Per molti versi, Il morbo dei
dottori è una storia, tessuta con grande
precisione e narrata con un'intensa partecipazione emotiva, di tre
protagonisti, una sindrome morbosa, la febbre puerperale, la
medicina, dilacerata tra ossequio alla tradizione e fermenti
innovativi, e un medico, Semmelweis.
In tutti
gli ospedali europei della metà dell'800, la mortalità tra le
partorienti è elevatissima. Il sintomo caratteristico è una febbre
talmente alta da dare il suo nome alla patologia, definita per
l'appunto «febbre delle puerpere». Le procedure diagnostiche non
riescono a identificarla con una malattia vera e propria come il tifo
o la tubercolosi perché non è ancora accertata con sicurezza la
causa. La ricerca delle cause (eziologia)
oscilla tra almeno tre diverse ipotesi: a) i fluidi provenienti
dall'utero dopo il parto possono non avere una libera fuoriuscita, ma
stagnare, andando così incontro a putrefazione e, risalendo poi nei
tessuti e nel sangue, provocare dolore, febbre e infine la morte; b)
durante la gravidanza l'utero ingrossato, premendo sull'intestino,
determina una stasi fecale con conseguente immissione nelle vene di
veleni provenienti dalle feci; c) un agente esterno, con ogni
probabilità identificabile nell'aria impura circolante nelle corsie
in cui sono ospitate le donne, provoca un'epidemia che colpisce le
partorienti all'utero, determinando la lochioschesi
(ritenzione dei flussi). Le prime due
ipotesi hanno qualche elemento di attendibilità e traggono origine
da una messe di osservazioni che risalgono addirittura alla
tradizione ippocratica, la terza è totalmente errata e nasce da un
fraintendimento evidente. La febbre puerperale, comunque riconosciuta
come un male infettivo, ha in effetti alcuni dei caratteri tipici
dell'epidemia, come il grande numero dei soggetti colpiti e l'alto
tasso di letalità, ma non ha quello più significativo, vale a dire
il contagio,
poiché le puerpere sono troppo isolate per venire a contatto diretto
e infettarsi a vicenda. Resta l'incubo del morbo che, con le fantasie
associate ai miasmi, fa della febbre puerperale una maligna e
costante compagna delle partorienti ricoverate, tanto da chiamare in
causa l'istituzione stessa e rendere la sindrome quella che oggi si
direbbe una malattia iatrogena. La medicina pencola nel buio ed è
essa stessa, per il dogmatismo e le passioni dei medici, una presenza
incombente e perniciosa.
E' questa
la situazione del reparto maternità del Policlinico di Vienna quando
nel marzo del 1847 vi fa il suo ingresso il terzo protagonista, Ignác
Semmelweis (1818-1865), con l'incarico biennale (eventualmente
rinnovabile) di assistente di ostetricia del professor Klein. Nato a
Pest (allora non ancora unificata con Buda), dove ha completato la
formazione accademica, dopo esser stato per un anno a Vienna,
Semmelweis si fa notare per il suo carattere aperto e il serissimo
impegno professionale. Operativo nella I Divisione, alterna la corsia
con lunghe ore nella sala anatomica dove compie perfette dissezioni
delle donne decedute per febbre puerperale, studiando con attenzione
i reperti del processo infettivo. Ossessionato dalla ricerca della
causa, comincia a pensare che questa vada ricercata nel reparto
stesso. E' rimasto colpito dal fatto che il numero dei decessi della
II Divisione è decisamente inferiore a quello della I Divisione
affidata ai dottori. Che siano proprio i medici, lui stesso compreso,
a infettare le donne? Ma quale mai infezione trasmetterebbero? E'
semplice: medici e studenti frugano nel corpo delle degenti con le
stesse mani con cui hanno toccato i cadaveri delle donne morte di
febbre puerperale. A poco a poco mette a punto una precisa teoria
eziologica ed escogita un mezzo assai semplice per prevenire il
male.Odore mortale
Ecco in
sintesi la teoria: l'infezione è una contaminazione del sangue
causata dalle particelle di cadavere, riconoscibili dall'odore che
conferiscono ad ogni cosa cui si attaccano; il mezzo di trasmissione
le mani dei dottori e degli studenti reduci dalla sala anatomica. Ed
ecco la prevenzione: l'obbligo per chiunque - medici, studenti e
infermiere - di lavarsi con cura le mani con una soluzione di cloro
(già nel maggio del 1847 una bacinella con il disinfettante viene
collocata, per ordine di Semmelweis, all'ingresso della I Divisione).
Non sono però soltanto i cadaveri a costituire una fonte di
infezione, ma qualsiasi altro materiale infetto. Nel novembre del
1847 la I Divisione accoglie una donna sotto doglie con
l'articolazione del ginocchio infetta. Poco dopo, diverse pazienti
muoiono colpite da febbre puerperale. L'infezione è stata trasmessa
dalle infermiere che, prima di entrare in contatto con le altre
pazienti, si erano occupate della puerpera con il ginocchio malato e,
completato il bendaggio, avevano trascurato di lavarsi le mani.
Finalmente tutta la verità, poi precisata assai più tardi, quando,
a seguito della scoperta dei batteri da parte di Pasteur, comincia la
grande stagione della batteriologia. L'agente patogeno isolato è uno
streptococco. In definitiva la febbre del puerperio è: a) un comune
processo infettivo (sepsi)
evitabile con banali procedure antisettiche; b) non è una malattia
specifica e, meno che mai, epidemica.
La
verità e il potere
A Vienna
l'importanza di queste ricerche cruciali non viene riconosciuta. Al
contrario Semmelweis entra in rotta di collisione con il suo capo. Le
ragioni sono molte. Semmelweis è in fondo un elemento estraneo.
L'ungherese, impetuoso e indisciplinato come il pregiudizio viennese
vede tutti i suoi connazionali, è avvertito come uno «straniero fra
noi». Come se non bastasse, oltre a considerarne esplicitamente come
sciocchezze le teorie eziologiche, il giovane medico offende Klein
anche per le posizioni politiche assunte (Semmelweis è un
nazionalista magiaro che partecipa con entusiasmo ai moti del
Quarantotto, trascurando del tutto il fatto che Klein è un pupillo
dell'onnipotente Metternich), ma, soprattutto, entra troppo
direttamente nella gestione dell'ospedale: il lavaggio delle mani è
considerata una novità offensiva, il cambio frequente e l'acquisto
di lenzuola per le puerpere uno spreco intollerabile. L'incarico non
gli viene rinnovato e Semmelweis è costretto a tornare a Pest dove
lavorerà nella maternità dell'ospedale di San Rocco. Ma anche qui
le cose non vanno bene: è considerato un «viennese» e la sua
teoria incontra forti resistenze, aggravate dallo scarso tatto con
cui impone le sue per altro correttissime regole.
A Pest,
nel 1855, ottiene il posto di professore di ostetricia nella locale
università, ma la cattedra gli viene sottratta e data a un suo
rivale nel 1857. Nel frattempo, a 38 anni (un'età avanzata per quei
tempi) si è sposato. Dopo il matrimonio comincia a pensare
seriamente a pubblicare un libro sulla sua teoria. Esce così nel
1861 L'eziologia, il concetto e la
profilassi della febbre puerperale.
L'opera, sterminata, prolissa e ripetitiva, talvolta confusa, non
giova affatto al suo autore, tanto più che lo stile fastidiosamente
trionfalistico è accompagnato da un tono inopportunamente polemico.
Di fatto il grande ricercatore aumenta la schiera dei suoi detrattori
e assottiglia quella dei suoi estimatori. La sua salute comincia a
declinare. Nei primi mesi del 1865, l'ultimo anno della sua vita,
mostra evidenti segni di squilibrio mentale: fa discorsi
sconclusionati, si masturba dopo un normale rapporto con la moglie,
si mette a frequentare apertamente una prostituta. Dopo un episodio
particolarmente sconcertante, avvenuto il 21 luglio, i familiari
decidono di ricoverarlo in una casa di cura per alienati. Gli viene
detto che verrà portato a Grafenburg dove gli saranno praticate cure
termali. Il 29 luglio, accompagnato dallo zio materno parte col
treno, ma giunto a Vienna il mattino successivo viene indotto a
scendere alla stazione dove lo aspetta Hebra, uno dei suoi rari
amici. Con una scusa Hebra e lo zio lo portano in un'istituzione
psichiatrica. Ricoverato vi muore il 13 agosto. Causa ufficiale del
decesso: una grave sepsi provocata dal taglio di un dito. Nuland,
sulla scorta della sua ricostruzione, allude a un probabile trauma da
colpi infertigli dagli infermieri e accenna al fatto che Semmelweis
soffriva di una demenza presenile, probabilmente Alzheimer.
Questa la
triste vicenda di uno scienziato eccezionale. Ma che cosa lo portò a
questa fine? Le cause imputabili, il dolore per la scomparsa precoce
dei genitori, l'ostilità dell'ambiente medico, l'isolamento a Vienna
e in patria, sono tutte attendibili. Ma forse c'è qualcosa di più.
Proprio in forza della suggestione in noi suscitata dalla lettura di
Nuland, ci azzarderemmo a fare un'ipotesi: l'uomo che amava tanto le
donne ed esaltava lo splendore della maternità (un sentimento forte
in lui suscitato dal tenero affetto per la madre) si ammalò sino a
morirne di un'infelicità scatenata dai sensi di colpa per la
scomparsa di tante giovani madri. Dopo tutto, sino a quando non trovò
la profilassi adeguata per la febbre puerperale, non aveva forse
contribuito con i suoi colleghi della famigerata I Divisione I a
trasmettere l'infezione fatale?
Il
manifesto, 9 ottobre 2004
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