23.1.15

Archeologia. Harriet Boyd, una bostoniana a Creta (Giovanna Bandini)

Da un vecchio "manifesto" la rievocazione di una figura assai importante nella storia delle ricerche archeologiche. (S.L.L.) 
Dea Madre con serpenti, Museo archeologico di Hiraklion
Scoperta Gournià, sito miceneo: strade, case, ceramica, bronzi, vasi di pietra». È il maggio del 1901 quando la American Exploration Society di Philadelphia riceve questo concitato telegramma proveniente da Creta: a spedirlo è quella Livingstone in gonnella di nome Harriett Boyd. L'eccentrica bostoniana ce l'ha fatta, finalmente ha trovato quel che cercava da due anni con fiducia incrollabile a dispetto dell'incredulità degli archeologi di chiara fama: un insediamento minoico nel cuore della Creta orientale, una vera e propria cittadella perfettamente conservata come una piccola Pompei. D'altra parte non c'era da aspettarsi nulla di meno che clamoroso da un'archeologa che, ancora studentessa si era arruolata volontaria nell'esercito greco!

In bicicletta ad Atene
Pochi armi prima, infatti — è il 1897 — Boyd è ad Atene, all'American School of Classical Stu-dies, per dedicarsi in full immersion alla cultura greca che è la sua passione e. tra una lezione e l'altra, si diverte a stupire gli ateniesi girando sola in bicicletta per la città. Quando scoppia l'ennesimo episodio della guerra greco-turca, l'emancipata americana non esita un attimo: anche lei vuole prendere parte alla difesa della civiltà che tanto ama e va a offrire la sua opera di crocerossina sul versante tessalico del conflitto; i suoi resoconti dal fronte le meritano anche una decorazione al valore da parte della regina di Grecia.
La guerra finisce, Boyd toma ad Atene e riprende gli studi all'American School; ma le ricerche di biblioteca non le bastano più, anche attraverso l'esperienza della militanza si è misurata con gli spazi aperti: ora sogna Creta e gli scavi archeologici. Fino a poco tempo prima l'isola era terra incognita per l'archeologia, ma allo scadere del secolo i ricercatori europei ne hanno avviato un'esplorazione quasi a tappeto nella metà occidentale: gli italiani con Federico Halbherr hanno trovato prima i resti di una città di età classica, Cortina, poi il sito del palazzo minoico di Festòs; gli inglesi di Arthur Evans hanno scoperto le vestigia del palazzo di Cnosso. I ritrovamenti che si susseguono sono straordinari, pare che il suolo fiorisca di antichità non appena il piccone lo sfiora: Boyd è rapita dal miraggio di Creta e pensa che anche gli americani debbano avere parte nelle ricerche. Con lo stesso slancio che l'aveva portata ad arruolarsi, chiede al direttore dell'American School che le lasci usare la sua borsa di studio per andare nell'isola a compiere un sopralluogo (e magari aprire uno scavo). Com'era prevedibile, la proposta viene respinta, ma non basta certo un no a fermare Boyd: ormai il sogno è diventato un progetto; grazie anche a una fortunata coincidenza, l'intraprendente studentessa riesce a metterne al corrente gli archeologi inglesi di passaggio ad Atene, prima Hogarth poi il grande Evans. È lei stessa a raccontare l'incontro in un suo breve memoriale (Memoirs of a Pioneer Excavator in Crete, pubblicato postumo sulla rivista “Ar-chaeology”): «Una domenica mattina indugiavo a letto in uno di quei deliziosi sogni ad occhi aperti in cui tutto sembra possibile. Mr. Hogarth era ad Atene in vista di imbarcarsi per andare a scavare a Creta. Il piano prendeva forma. Quel pomeriggio andai ad incontrarlo da sola e gli dissi che anche io volevo scavare a Creta. Con mia grande sorpresa non cacciò un urlo a quell'idea, ma mi disse: 'Vada a fare un sopralluogo'. Una settimana più tardi, per mia grande fortuna, anche Mr. Evans passò in città. Lo incontrai alla British School e anche lui fu incoraggiante».
Ricevuta l'approvazione dell'illustre scopritore di Cnosso, a quel punto Boyd riesce a strappare anche il consenso del direttore e a partire a spese della American School. Così, nella primavera del 1900, s'imbarca per Creta una singolare spedizione: due studentesse (a Boyd si è unita un'amica di Boston, Jane Patten, biologa naturalista che vuole studiare la vegetazione cretese), una guida (l'epi-rota Aristides Papadias) e la madre della guida come governante e cuoca. Il giorno stesso dello sbarco una Boyd incontenibile è subito sullo scavo di Cnosso ad ammirare l'immenso palazzo che Evans, con 140 uomini, sta portando alla luce: proprio davanti ai suoi occhi l'inglese apre la cosiddetta «stanza del trono» e la splendida scoperta le sembra quasi il segno della sorte che toccherà anche a lei.
Dopo essere piombata anche sugli scavi italiani a Cortina, ottenendo l'ospitalità dello stesso Halbherr (che pure era rimasto molto turbato dall'arrivo di quelle che chiama con una punta di sospetto «due signorine archeologhesse»), Boyd inizia finalmente la sua ricerca indipendente. Assume una guida cretese, Kostantìnos, lascia a Candia la signora Papadias, perché le strade che s'inoltrano nell'interno non sono che mulattiere e il viaggio sarà disagevole, e parte a dorso di mulo con gli altri tre e un equipaggiamento ridotto all'essenziale: due lettini da campo, biancheria, coperte, una macchina fotografica, mappe, quaderni e un cesto con i viveri. La meta è Kavousi, suggerita da Evans che anni prima vi ha scavato una tomba protogeometrica databile circa al 1000 a.C. (e che forse pensa, così, di confinare ad un punto preciso di Creta l'attività dell'intraprendente Boyd).
Per decidere da dove iniziare, Boyd segue le indicazioni degli abitanti dei villaggi, anche se nutre una comprensibile perplessità, come racconta lei stessa: «Avevo visitato la maggior parte dei più importanti scavi in Grecia, ma un conto è andare, dopo che il lavoro è stato fatto, a studiare e verificare disegni e resoconti altrui; ben altra cosa è trovare per sé un luogo dove scavare. Quello splendido mattino che partimmo per la piana» della Messerà, mi offuscava la mente l'incredulità in ogni possibile successo: come potevo essere sicura che guardando avrei visto e sentendo avrei capito! I miei consiglieri mi avevano detto di imparare il più possibile dalla gente del luogo, ma nei racconti dei locali non è facile discernere tra dicerie senza valore e verità preziose».

Il villaggio di Kavousi
II «braccio» della spedizione, però, Aristìdes Papadias, si adopera per intrattenere rapporti amichevoli con i locali e cerca di individuare le informazioni veritiere, compie escursioni da un'altura all'altra attraverso la pianura e prepara ovunque una onorevole accoglienza per la spedizione, facendo un ingresso solenne nei paesi vestito con il costume greco dei patrioti del 1821. E finalmente arriva la segnalazione giusta. Si presenta a Boyd uno dei decani del villaggio di Kavousi, un uomo vecchissimo che sembra un'apparizione del passato in persona; porta con sé tre oggetti di bronzo e indica i luoghi dove sono stati trovati. Dopo una rapida esplorazione, è facile per Boyd individuare in quei tre siti i tre insediamenti di una comunità arcaica: il santuario con la necropoli, il centro politico, la zona commerciale. Euforica, sale in groppa al mulo con la sella di legno e in soli due giorni raggiunge Candia, capitale dell'isola, per ottenere i permessi per aprire uno scavo. Due settimane dopo è di nuovo a Kavousi ad assumere operai, a cominciare i lavori e a raccoglierne presto i frutti: una quantità di ceramica, una casa di tredici stanze e una tomba con il corredo intatto, appartenenti all'età del ferro. Alla fine della fortunata campagna di scavo, Boyd torna in America dove, grazie al materiale raccolto, scrive la sua tesi di laurea, e ottiene dall'American Exploration Society di Philadelphia l'incarico ufficiale di tornare a esplorare Creta.

I resti minoici
Se il primo viaggio nell'isola greca è stato per Boyd il «battesimo» dell'archeologia militante, il secondo è la conferma del suo straordinario fiuto di scopritrice. Anche questa volta si fa accompagnare da un'amica americana, Bianche E. Wheeler, e da Aristides Papadias con la madre. Questa volta però, a differenza della prima, non parte per una ricerca «alla cieca», ma ha già chiaro in mente quel che pensa di trovare: i grandiosi ritrovamenti minoici di Halbherr e di Evans le fanno sperare di poter scoprire anche lei un insediamento databile all'età del bronzo (3000-1200 a.C.).
La meta è di nuovo Kavousi dove, sulla collina di Sant'Antonio, durante la campagna dell'anno prima aveva ritrovato anche cocci di ceramica del tipo «egeo» che le avevano fatto ipotizzare l'esistenza di un sito minoico in quei pressi. I luminari dell'archeologia, però, la guardano con compassione: è altamente improbabile che nella Creta orientale ci siano resti minoici, tutto quel che potrà trovare sono manufatti del periodo geometrico (1000-800 a.C.), dovrebbe già essere paga della scoperta dell'anno prima. Cosa cerca ancora questa americana a Creta? Lungi dal lasciarsi scoraggiare, Boyd si rimette in cammino e torna là dove tutto era cominciato: Kavousi. Seguendo la traccia dei cocci «egei» si sposta verso la valle di Avgo e la bellezza del paesaggio cretese di orti, vigneti a terrazze, oliveta e alberi da frutta, la ripaga delle fatiche del viaggio e della sfiducia degli uomini. Le ricerche lì non danno però i risultati sperati, sembra che non ci sia nulla; ma nei giorni di sospensione dello scavo Boyd insiste convinta nell'esplorazione dei luoghi circostanti. Così lo racconta lei stessa nel memoriale: «Nei giorni di vacanza e in quelli in cui non si poteva scavare perché il terreno era gonfio delle recenti piogge, giravamo a cavallo da un campo all'altro per la pianura di Kavousi e le vicine alture costiere, cercando insediamenti dell'Età del Bronzo che io ero certa dovessero esserci in quelle pianure vicino al mare. Era un lavoro scoraggiante perché i miei occhi vedevano subito mura e sommità di tombe 'ad alveare' in ogni mucchio di pietre buttate a caso, e troppe volte un rigonfiamento del terreno che da lontano sembrava proprio un sito d'altura miceneo, si rivelava poi essere rutta roccia».
Ancora una volta è la gente del luogo a venirle in aiuto indicando la giusta direzione: Perakis, l'antiquario del vicino villaggio di Vasiliki, al corrente delle ricerche di Boyd, va a riferirle le parole del maestro della scuola: «In un luogo chiamato Gournià, all'interno del territorio di Kavousi ma quattro miglia ad ovest del villaggio, c'è una collina sul mare dove si trovano cocci di ceramica e vecchie mura».
Il 19 maggio del 1901 Boyd parte con l'antiquario per la nuova esplorazione: dopo un lungo percorso attraverso un bosco di carrubi selvatici, il ritrovamento dei primi cocci sulla collina e la vista della sommità delle antiche mura, le riaccende la speranza. Anche se il giorno seguente è bloccata dall'ennesimo temporale, il giorno dopo ancora manda alcuni uomini in avanscoperta e nel pomeriggio può gioire dei primi risultati: un operaio dopo l'altro la chiama a vedere cocci di ceramica e frammenti di vasi in pietra, uno ha portato allo scoperto addirittura una strada pavimentata, la soglia di una casa e una piccola grondaia d'argilla.
Tutto indica un insediamento preistorico di una certa importanza. Entusiasta, Boyd scrive: «Nel giro di tre giorni avevamo aperto case e seguito la via lastricata e avevamo nelle nostre mani abbastanza vasi e frammenti con polipi, foglie d'edera, doppie asce e altri disegni inconfondibilmente minoici —come anche utensili di bronzo, impronte di sigilli e vasi di pietra — per essere certi di aver trovato quello che stavamo cercando: un insediamento di Età del Bronzo del più bel periodo della civiltà cretese». Così manda Aristides a Candia a telegrafare della eccezionale scoperta all'Ameri-can Exploration Society, in dieci parole riassume tutta la ricerca; e la fatica, la speranza, la soddisfazione.

La boulè degli scavatori
Ottenuti i permessi dal governo greco, apre i lavori in grande stile con 96 operai più 9 ragazze solo per lavare le ceramiche: il ritorno serale dallo scavo a cavallo fino a Kavousi in mezzo a quella folla le pare una processione trionfale. Grazie alla familiarità acquisita con la lingua — e con la gente — greca, tratta personalmente con tutti i dipendenti, occupandosi anche dei pagamenti, e sottopone loro ogni decisione importante: quasi nel desiderio di rivivere la più antica espressione della democrazia là dove essa era nata, li divide in Boulè (il «senato», costituito dai vecchi operai) e Ecclesìa (l'«assemblea», composta dai nuovi), e prende una risoluzione solo quando i due gruppi concordano. Con altre due sole campagne (nel 1903 e nel 1904) riporta completamente alla luce la cittadella minoica di Gournià, talmente ben conservata da far credere che gli abitanti l'abbiano appena lasciata.

La ex studentessa che aveva attraversato la Creta orientale in elegante abito da pomeriggio tra lo stupore e la compassione degli studiosi illustri, ha conquistato notorietà internazionale e, cosa che le stava più a cuore, «uno scavo tutto per sé». A Virginia Woolf. qualche decennio più tardi, basterà una stanza.

"il manifesto, 29 luglio 1999

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