28.1.15

Le radici arabo-islamiche della civiltà europea (Eros Barone)

Dall'amico e compagno Eros Barone ricevo la nota che segue, preziosa, di cui lo ringrazio e che, autorizzato, "posto". (S.L.L.)
Era la Grande Moschea di Cordoba, di cui ha mantenuto la struttura. 
Oggi è la Cattedrale della Nostra Signora dell'Immacolata.
“Spesso, la mattina, troviamo faticoso staccarci dal materasso, toglierci il pigiama, lavarci e vestirci. Tuttavia, ci riprendiamo facendo colazione con un caffè o anche con un’arancia. Dopodiché, guardiamo, alzando gli occhi verso lo zenit, se il cielo sia nuvoloso o azzurro e ci avviamo verso quel magazzino del sapere che è la scuola. Lì, se siamo ragazzi poco studiosi, dovremo giocare una specie di partita a scacchi, per non pagare il dazio agli insegnanti. Questi faranno di tutto per accertarsi se abbiamo pagato la gabella alla loro materia e, se scopriranno che siamo impreparati, non esiteranno a darci uno zero…”.
Questo ‘exemplum fictum’, di sapore un po’ goliardico, che ho escogitato al fine di porre in risalto le parole di derivazione araba (ma anche persiana), dovrebbe essere sufficiente per comprendere il profondo influsso che la civiltà islamica ha esercitato sul lessico italiano, molte parole del quale, da noi usate correntemente, rivelano, anche ad una sommaria indagine etimologica, le tracce di una plurisecolare vicenda di rapporti fra i paesi europei e l’islàm, fatta non solo di conflitti e di ripulse, ma anche di scambi e di attrazioni (scambi e attrazioni la cui frequenza e intensità vanno poste in relazione con il radicamento dell’islàm nella stessa Europa, dalla Sicilia e dalla Puglia, dove tale radicamento è durato circa 200 anni, alla penisola iberica, dove è durato per 800 anni).
In effetti, contrariamente a ciò che fanno pensare certe dichiarazioni di impronta piononista e neoguelfa sulla estraneità e sulla incompatibilità fra musulmani e italiani, solo una piramidale ignoranza storica o una pregiudiziale avversione antisemita possono spiegare perché gli odierni crociati siano inetti a riconoscere che la civiltà europea non ha soltanto due radici, quella greco-romana e quella ebraico-cristiana, ma anche una terza radice: quella arabo-islamica.
Eppure, oltre ad un buon numero di parole, l’Europa ha mutuato dalla civiltà arabo-islamica (che il celebre antropologo Lévi-Strauss ha definito, con grande acume, come “l’Occidente dell’Oriente”) il sistema di numerazione, l’algebra, l’astronomia, la chimica e la medicina, per tacere dei fondamentali apporti filosofici e letterari medievali (Alberto Magno, Sigieri di Brabante e Tommaso di Aquino non sarebbero mai fioriti senza Avicenna e Averroè, mentre Dante non avrebbe mai raccontato nella “Divina Commedia” il suo viaggio ultraterreno, se non avesse desunto tale idea dalla tradizione islamica, che gliene offrì il modello con la descrizione del viaggio del Profeta nei regni dell’aldilà).
Inoltre, per quanto concerne il fondamentalismo islamico, mi permetto di ricordare, a chi contrappone i campanili alle moschee, che non meno temibili e nefasti sono, per l’atteggiamento settario e per lo spirito esclusivistico che caratterizza tutti i detentori di ‘verità rivelate’, oltre al fondamentalismo cattolico di cui si è già fatto cenno, quello protestante (che giustifica su basi bibliche il capitalismo più selvaggio, il razzismo e la pena di morte) e quello ebraico (autore, fra l’altro, della provocatoria e intenzionale trasformazione del conflitto fra palestinesi e israeliani in conflitto fra musulmani ed ebrei). Ricordo infine un fondamentalismo che, grazie alla reificazione che ne occulta la natura sociale e l’origine storica, nonché grazie alle ideologie liberaldemocratiche con cui viene trasfigurato, non viene mai riconosciuto come tale, anche se è quello più micidiale: il fondamentalismo del ‘pensiero unico’, espressione di quel dominio onnipervasivo e totalizzante della forma-denaro che determina il cinismo di massa, ossia l’atteggiamento di chi insegna – e di chi viene educato – a conoscere solo il prezzo, ma non il valore, di ogni cosa, il fondamentalismo che, nel celebrare la forma-denaro come un confine ontologico invalicabile, tende a cancellare ogni alternativa e a vanificare ogni critica.

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