5.1.15

Regimi familiari. Totalitarismo e famiglia nel 900 (Roberto Monicchia)

La Filosofia del diritto di Hegel colloca nella sfera dell’eticità la triade dialettica famiglia, società civile, stato, inaugurando un dibattito che - dalla Questione ebraica di Marx - pone la relazione tra i due ultimi termini al centro delle dottrine politiche e dell’organizzazione degli Stati moderni. La tendenza ad annullare la società civile nello stato è uno dei tratti costitutivi del concetto di totalitarismo novecentesco, coniato da Hannah Arendt per descrivere l’annullamento della vita activa, ovvero della capacità di azione politica dell’individuo-cittadino. L’analisi ha però generalmente trascurato il terzo termine della triade hegeliana, la famiglia. Considerandolo invece una chiave di lettura innovativa della dinamica di quei regimi, Paul Ginsborg prova a colmare il vuoto con un’opera singolare: Famiglia Novecento. Vita familiare, rivoluzione e dittature (Einaudi, Torino 2013), in cui con la consueta abilità di storico-sociologo traccia il profilo di alcuni regimi del XX secolo dal punto di vista della situazione e dell’evoluzione della famiglia: la Russia dal 1917 a Stalin, la repubblica turca di Kemal, l‘Italia fascista, la Spagna della guerra civile e poi di Franco, la Germania nazista.
Oltre alle consuete fonti pubblicistiche e statistiche, Ginsborg si avvale di tre angolazioni particolari. Prima di tutto l’aspetto biografico-personale: per ogni nazione ci sono “testimoni di eccezione”, come Alessandra Kollontaj, Inessa Armand, Halide Edib, Filippo Marinetti, Antonio Gramsci, Margarita Nelsen, Joseph Goebbels, e si affronta il rapporto - spesso difficile - dei dittatori
con la famiglia. In secondo luogo si narrano le vicende di famiglie normali sconvolte dalla storia: ebrei sotto Hitler, famiglie repubblicane o franchiste che capitano dalla parte sbagliata nella guerra civile, famiglie comuniste distrutte da Stalin. Infine, le politiche familiari adottate dai diversi regimi vengono misurate secondo l’incidenza sulle strutture socio-culturali preesistenti: dal dvor russo ai braccianti spagnoli, dai mezzadri toscani agli operai sradicati della Pietroburgo prerivoluzionaria. Seguendo queste piste l’analisi comparativa di Ginsborg esamina le modificazioni del diritto di famiglia, le proposte “alternative” di organizzazione familiare, il dibattito teorico sul tema.
E’ nei primi anni sovietici che si affacciano le ipotesi più rivoluzionarie di riforma degli assetti della famiglia. Anche se l’idea di libertà sessuale e di riorganizzazione su base comunitaria della Kollontaj non trovano molti riscontri, la rivoluzione agisce a fondo nel campo del diritto familiare e dell’emancipazione femminile. Le catastrofi sociali che accompagnano la guerra civile non spiegano da sole il blocco dell’evoluzione in questo senso: la contraddizione di fondo è tra il progetto di liberazione e la pretesa di realizzarlo attraverso una spasmodica mobilitazione sociale rigidamente guidata dall’alto. Lo stalinismo porta questa tendenza al parossismo, ma anche nella radicale distruzione della società civile, accompagnata dal recupero di esplicite pratiche paternalistiche, la famiglia costruisce forme di resistenza, mentre la tendenza all’emancipazione della donna appare irreversibile.
Molto interessante è l’esperimento turco. Per costruire uno stato moderno, dopo la lunga guerra esterna e interna, Kemal Ataturk annette grande importanza alla famiglia nella modernizzazione dall’alto del paese: la sua idea di sostituire le strutture familiari arcaiche con il modello nucleare occidentale raggiunge il culmine con l’adozione nel 1926 del diritto familiare in vigore in Svizzera. Esso prevede un mantenimento esplicito del ruolo dominante del padre di famiglia, ma consente opportunità prima inimmaginabili per moglie e figli.
I risultati sono contraddittori, ma il tema è affrontato con decisione, cosa che non si può certo dire per quanto riguarda la repubblica spagnola, dove a parte l’insistenza di alcune pioniere del femminismo come Margarita Nelsen, la tematica dell’emancipazione femminile e del diritto familiare non è così sentita, neppure laddove in altri ambiti prevalgono opzioni radicalmente palingenetiche: gli anarcosindacalisti, così popolari tra le masse contadine, difendono sempre a spada tratta la famiglia così com’è. Il ruolo sacrale e sociale della famiglia patriarcale sarà poi eretto a sistema da Francisco Franco, l’unico dei dittatori qui considerati ad avere una vita familiare “normale”.
Nell’esperienza contraddittoria di Marinetti, spregiatore prima e fedele sostenitore poi della famiglia, si riscontrano tutte le contraddizioni del fascismo, che come regime oscillerà tra modernizzazione e passatismo. Sul piano della riflessione teorica, agli accenni di Gentile circa la necessità, di “superare” la famiglia nello Stato, si contrappone la riflessione peculiare di Gramsci che, prima e durante il carcere, insiste nel considerare la famiglia come un decisivo “organo di vita sociale”.
Pur partendo da premesse simili e perseguendo obiettivi analoghi al fascismo, il regime nazista è molto più coerente e determinato nel inserire la famiglia nella comunità di popolo (Volksgemeinschaft). Da un lato quindi il nazismo - dopo aver discriminato gli indesiderabili su base razziale, fisica e politica - si appoggia sul modello prevalente di famiglia, a forte impronta patriarcale (per Horkheimer base essenziale del consenso al nazismo), sostenuta attraverso politiche di welfare, dall’altro cerca di integrarne i membri nelle organizzazioni di massa, cosa che comunque
non manca di creare frizioni.
In termini generali, sottoposta alla cartina di tornasole della famiglia, la categoria di totalitarismo applicata estensivamente a molti regimi della prima metà del novecento, non trova una piena conferma, e per diverse ragioni. In primo luogo sul tema, essenziale per il fine della penetrazione pervasiva nella società civile, sono carenti sia la riflessione di carattere teorico che un quadro di riferimento generale dell’azione; quasi solo in Urss, e in forma comunque marginale, vi è qualche tentativo in questo senso. Certamente tutti i regimi considerati tendono ad adottare un “doppio binario”, reprimendo determinate categorie e sostenendone altre, secondo criteri razziali, religiosi, o politici. Ma l’obiettivo comune del controllo della società civile si esplica attraverso strumenti giuridici, istituzioni e pratiche molto differenziati e non sempre coerenti anche all’interno delle stesse nazioni. Emerge che mentre nei casi dell’Urss e della Turchia l’effetto delle politiche familiari è “oggettivamente” progressista, specie nell’emancipazione femminile, fascismo, nazismo e franchismo si muovono in una direzione opposta. Il nodo contro cui tutti i tipi di regimi si dibattono è quello dell’autonomia della società civile, negata a priori (a parte la breve stagione dei soviet) e sostituita da una mobilitazione e tensione continua che confluisce nella catastrofe distruttiva della guerra. Ma questa estrema tensione, che raggiunge il parossismo forse nella Russia stalinista, non riesce mai a diventare onnicomprensiva.
Ginsborg fa notare come tutti i teorici del totalitarismo, a cominciare da Hannah Arendt, abbiano trascurato i faticosi ma spesso efficaci strumenti di resistenza messi in atto dalle famiglie contro l’eliminazione degli spazi di autonomia, rivelandosi una realtà molto più vitale e forte di quanto i teorici tanto rivoluzionari quanto reazionari si sarebbero mai aspettati. E’ questa la conclusione più convincente di un libro tanto ricco di spunti interessanti, quanto talvolta dispersivo, perché i dati specifici, già di per sé eterogenei, sono appesantiti da troppo dettagliate descrizioni di storia politica generale. Sarebbe comunque interessante estendere la comparazione ai regimi liberali coevi (e successivi); non è detto che le politiche familiari, demografiche, di welfare, si muovessero (e si muovano) su percorsi tanto dissimili da quelli prodotti dalle dittature esaminate da Ginsborg. Lo storico inglese dice giustamente che nessun totalitarismo ha raggiunto la pervasività distruttiva prevista da Orwell in 1984; possiamo aggiungere che nessuna democrazia ha fatto a meno di alcune delle forme di controllo sociale - palesi o occulte – del grande fratello.


“micropolis”, settembre 2014

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