16.2.15

A colloquio con Maometto (Giancarlo Marmori)

Maometto nell'Inferno dantesco. Miniatura medievale
Molti anni fa, prima della rivoluzione khomeinista e prima che il fondamentalismo islamico venisse individuato come un pericolo per la pace e la tranquillità mondiale, ci si occupava poco della religione musulmana e del suo padre fondatore Maometto. Pertanto si segnalò come un'eccezione, negli anni Settanta del Novecento, il settimanale “l'Espresso” che dedicò uno speciale al Profeta dell'Islam nella sua parte a colori (allora il periodico constava di una parte più propriamente politica in bianco e nero, con il formato lenzuolo dei quotidiani dell'epoca, e di un rotocalco di varietà, “l'Espresso colore”, che di regola conteneva una sezione monografica). Il testo che qui riprendo ha carattere divulgativo e taglio giornalistico, ma è opera di un intellettuale di valore, buon conoscitore delle culture del Vicino Oriente. (S.L.L)
Maometto a colloquio con l'arcangelo Gabriele. Antica miniatura araba
Una notte d'estate del 610, in una grotta del monte Hirà, vicino alla Mecca, fu rivelato a Maometto d'essere il profeta di Allah. Un lume ad olio gettava luce su quell'arabo di trenta o quarant'anni, balzato in piedi nell'udire una voce ultraterrena. Egli era di statura media. Aveva barba rigogliosa ed occhi grandi neri. La grossa testa, con guance scavate, posava su spalle robuste. Vicino a lui, come ad un eremita cristiano del deserto, posavano forse una brocca d'acqua e qualche dattero. Attorno, nel buio, sorgeva la cresta scoscesa del colle. Si era sul fare dell'alba, quando le stelle declinano. Una voce gli aveva sussurrato: «Sei l'inviato di Dio!». L'uomo cadde in ginocchio, scosso da tremiti. Pensò per un attimo di buttarsi nel vuoto, tanto aveva paura, ma riuscì a trascinarsi all'aperto ed a scendere a valle. Andò con quel suo passo strano, gettando i piedi in avanti, come scalciasse. A parte lo spavento, lo angustiava il dubbio che quella voce non fosse divina, bensì satanica oppure frutto della sua immaginazione. Arrivato in casa, si confidò a Khadigia, la prima moglie diletta, poi ad un cugino della sposa, il saggio Waraqa Ibn Nawfal. Il vegliardo non nutrì dubbi sul significato e la natura del bisbiglio. Quelle parole provenivano da un labbro celeste. Le aveva pronunciate l'arcangelo Gabriele, staffetta di Allah.

GABRIELE PORTA UN MESSAGGIO CONFUSO
Non è dato stabilire con certezza se il messo di Dio apparve per la prima volta a Maometto sul monte o altrove, nei paraggi. Comunque in quei giorni, egli vide Gabriele librato in aria, alla distanza di appena due archi, quindi ai piedi di un loto, nel settimo cielo, infine nel corso di un viaggio notturno, dalla Mecca al tempio di Gerusalemme. Benché Allah gli si manifestasse agli inizi con balbettii e frasi pressappoco indecifrabili per cui l'apostolo registrava il verbo a gran pena, e quasi non ne penetrava il senso, in quelle notti febbrili nacque l'Islam, ultima religione profetica trasmessa agli arabi da un arabo, correttivo e palingenesi d'ogni profezia anteriore. Nacque il credo islamico, raccolto nel Corano (testo da recitarsi salmodiando), trascritto in origine in caratteri cufici su brindelli di cuoio, foglie di palma, ossa di cammello, cocci di vaso ed altro di effimero. Consiste in 114 capitoli detti "sure", ciascuna intitolata secondo alcune particolarità del contenuto (la sura della vacca e del tuono, di Noè e di Maria, dell'ora avvolgente e dell'inganno reciproco).

L'ANGELO FA ORARIO UNICO
Credere in Allah, Dio unico, e nel suo profeta Maometto, è il primo articolo di fede musulmana. E' certo una divinità analoga allo Javeh ebraico, anche perché singolarmente collerica. Ma, a differenza del Dio cristiano, che a volte si lagna della cattiva condotta degli uomini, Allah, appare refrattario ai sentimenti. Si limita a prescrivere, a promettere premi e castighi. Comunque, sulla scorta della Genesi, egli ha creato gli uomini a sua immagine: opera imperfetta se, a proposito, il Corano sembra un mesto repertorio di criminali e di malati di nervi. Gli uomini vi figurano instabili ed avidi, deboli e frettolosi, gelosi ed ingrati al sommo grado. Tale turba di peccatori, Allah ha alloggiato sulla terra, circondata da una montagna a foggia di anello, 1' inaccessibile Kaf. Lui abita in cielo, diviso in sette sfere e, da lassù, sentenzia.
Creature intermedie, angeli e demoni vanno e vengono tra cielo e terra. I primi, come risulta dall'escatologia cristiana, son fatti di luce e non dispongono d'organi sessuali. I quattro arcangeli ebraici, filtrati dal Corano, diventano Gibrail (Gabriele), Mikail (Michele), Isfrail (Asrafil) e Asrail (Asraele). A differenza di quel che hanno trasmesso le Scritture, Allah ha posto due angeli custodi a fianco delle sue creature, ognuno assicurando un turno di vigilanza di dodici ore. Succede allora che nell'attimo del cambio di guardia al tramonto, il credente rischia di cadere in tentazione perché, in quel momento, i demoni si affollano nei pressi. Sono gli angeli precipitati la cui legione è comandata da Iblis (corruzione del greco "Diabolos"), spiritelli o "ginn" fatti di vapore e fiamma pura. Oltre a questi due tipi di geni» benigni e maligni, il musulmano è invitato a credere ai santi profeti, ovvero a Maometto e ai suoi predecessori. I sei principali precursori sono Adamo, Noè (Nuh), Abramo (Ibrahim), Mosè (Musa) , Gesù ed in ultimo il "sigillo" di tutti loro, Maometto appunto. Naturalmente, manipolando quel poco che gli era arrivato alle orecchie della tradizione giudeo-cristiana, o aveva letto sui testi a Medina, il profeta incorre in errori. Cioè, a volte confonde luoghi, tempi e personaggi. Noè lo fa disputare, ad esempio, con certi idolatri" del sesto secolo e promuove l'Amano della Bibbia, ministro di Asuero, in plenipotenziario di faraone. Maria, sorella di Noè, è nel contempo la vergine madre di Cristo.
Come non bastasse, egli introduce nel Corano brandelli di leggende arabo-pagane e cristiano-orientali, le prime ispirate ai carovanieri dallo spettacolo di ruderi sparsi nel deserto. Storie di popoli e metropoli polverizzati da varie divinità si intrecciano perciò nei versetti. Fianco a fianco, vi si stagliano le rovine di Thamud e di Sodoma e Gomorra, ed i resti di campagne devastate dalle acque, dopo il diluvio dei tempi di Noè. Sempre in materia di dogma, l'ultimo comandamento di Allah impone di credere nella vita futura ed eterna e, in ordine cronologico, nel giudizio universale il cui avvento si configura in prodigi e cataclismi.
E' dunque dopo il giudizio che i buoni saliranno in paradiso ed i cattivi scenderanno all'inferno. Nulla di nuovo rispetto alle Scritture, tranne la morfologia e lo statuto degli aldilà. L'inferno maomettano (giahannan o gèhenna) è sovrastato da un albero terrificante, il "zaqum", la cui particolarità consiste nell'avere teste di demoni al posto di fiori. Vi sono disposti poi una .caldaia di pece bollente ed un pozzo senza fondo. Angeli torturatori si adoperano di continuo a suppliziare i dannati in ceppi. Li aspergono di bronzo fuso, li straziano con getti di fuoco o li costringono a bere acqua fetida. Questo l'inferno, non più orrendo di quello dantesco. Da qui, geograficamente, si va al piano superiore, limbo su cui l'apostolo sorvola, anticamera del paradiso promesso ai timorati di Allah.
E' a questo punto che la visione maomettana procede a sostanziali interpolazieni della Bibbia, Vangelo e testi apocrifi pur ispirandovisi abbondantemente. Questo Eden, tra i più voluttuosi dell'escatologia universale, è sì un riflesso diretto dei mosaici, miniature e descrizioni dei giardini paradisiaci dell'era della patristica, specie di certe paginette di santo Efremio, ma risulta affatto privo di santa, fanciullesca ingenuità. In altri termini, commosso da quei paesaggi bucolici, abitati da angeli ricciuti e beati in estasi, Maometto formula l'ipotesi che nel paradiso di Javeh i buoni si divertono alquanto, invece di passare tutto il giorno ad adorare il Signore ed a cantare in sua lode. Ai beati islamici egli riserva ben altra sorte. Quelli non fanno che languire tra le braccia delle "urì", ragazze immacolate i cui tratti fisici caratteriali, ed il loro enigmatico possesso, contribuiscono non poco alla virtù dei maschi in terra, onde meritarle in cielo.
Il vocabolo urì indica che quelle spose hanno il nero e il chiaro degli occhi molto pronunciati, occhioni cerchiati di bistro, grandi e luminosi, come di gazzella. Che siano stupende, oltre che umili, non vi è dubbio. Maometto le paragona a rubini e coralli e, adeguandosi al gusto arabo per le opulente rotondità, a «uova di struzzo protette da polvere». Queste cortigiane celesti accolgono i beati nelle loro tende ed a loro si concedono riverse su giacigli di broccato, cuscini verdi e tappeti mirabili. Gli amori hanno luogo in gruppo, intanto che efebi simili a perle offrono melagrane, carni deliziose e bevande. Attorno è il paradiso. Fiumi d'acqua limpida, latte, vino e miele, piante ed ombra a profusione.
La parte dogmatica, nel caso cattivante, termina con questa fantasmagoria. Resta da osservare che la religione musulmana è concepita non solo come un giudaismo spogliato dal cerimoniale mosaico e un cristianesimo liberato dal concetto di trinità ma, innanzitutto, dalla nozione e possibilità di espiazione. Novità di estrema importanza, perché connessa al dogma della predestinazione. Ne deriva l'inutilità di dimenarsi, volere il bene e pentirsi del male, elucubrare, struggersi e fare alcunché. Nulla esiste ed è esistito senza che Allah lo abbia deciso. Le azioni degli uomini, tutte, sono incise in partenza in certa «tavola ben custodita», prima ancora che Dio creasse il mondo. Di qui certa sclerosi razionale islamica, la sovrana saggezza, certi collassi fatalistici.
Quanto alle leggi canoniche, è evidente che Maometto rompe con la morale ed usanze a lui contemporanee. A quei tempi, in Arabia, al vertice della scala di valori erano situati l'alterigia, l'ardimento e prodigalità inconsulta, attitudine d'uomini (gli unici esseri umani dotati di intelligenza) che non si curavano delle conseguenze, del domani proprio ed altrui, dei beni ed affetti, specie delle necessità familiari e tribali. A nessuno, prima del profeta, sarebbe venuto in mente di bollare il disprezzo per i miserabili. Etica barbarica cavalleresca cui Maometto oppone la provvida autorità divina, di colui che tutela le sue creature, anche gli umili, esige la carità, la ponderatezza e l'ordine operante. Non vale la pena soffermarsi sui precetti rituali, di cui esiste dovizia di particolari in qualsiasi romanzo d'appendice turchesco. E' noto che il musulmano deve purificarsi (abluzione con acqua e sabbia), pregare sei volte al giorno, digiunare durante il mese del ramadam e compiere almeno una volta nella vita il pellegrinaggio alla Mecca.
Della regola canonica è piuttosto interessante indicare quelle norme e istruzioni intimamente legate al temperamento ed alle tumultuose vicende dell'apostolo, talché alcune "sure" rivelano gli intrighi e rovelli d'un uomo vivo, più che la presenza spettrale d'un messaggero divino. Soffi e correnti contrari scompigliano a volte i versetti, li mutano in giambo, epopea, addirittura in epigramma. Da un lato il Verbo, dall'altro il fiato umano, l'affanno e 1' astuzia. E' quando Allah, ridotto a confidente e fiduciario di Maometto, anche a redattore di bollettini di guerra, sorvola il Corano come una tormentata e ragionata autobiografia del suo profeta. Si tratta di voci distinte, oppure fuse o in contrappunto, reperibili nei due stili del libro. La prima è celeste, espressa con precipitazione ellittica, frasi aspre, d'un tratto sonore, comunque martellate da rime. La seconda, meno concitata, ma sempre incisiva si snoda più esplicita, porta il marchio della ragion politica, sociale e psicologica dell'autore. Sono le pagine del codice, delle esortazioni, delle proteste e pure delle scuse.
Non va dimenticato che Maometto fu capitano intrepido oltre che un mistico, predone e statista. Quando subisce una sconfitta, assaltando popoli e tribù, Allah subentra l'indomani per giustificare la pochezza strategica del profeta. Asserisce di aver voluto lui stesso la rotta, per contare i fuggiaschi, i disertori ed i denigratori della nuova religione. Comunque, non stigmatizza il massacro di Medina, dove 800 giudei sono fatti decapitare da Maometto e centinaia di donne e fanciulli vengono tradotti schiavi.

UN PROFETA MOLTO ARMATO
Maometto è ombroso e spietato. A differenza di Gesù, non porge l'altra guancia, dopo uno schiaffo. In uno degli scontri tra le sue bande e i qursciti, trovandosi accerchiato, scocca frecce e mulina la lancia. Una pietra gli spacca un dente ed un'altra gli ammacca l'elmo, prima che un colpo d'asta lo lasci tramortito. A quest'uomo immerso nella guerra, negli amori e nei dilemmi governativi Allah porta sempre soccorso.
Per rendersi conto della grandezza di quest'uomo, prendiamo il precetto coranico dell'elemosina, obbligata e volontaria, senza di che un musulmano è empio e destinato all'inferno. Questo genere di predicazione la formula un miliardario che vede affluire nei suoi forzieri dinari, gemme ed altro d'inestimabile. Oltre ai proventi delle tasse ed ai doni personali, egli preleva un quinto del bottino preso al nemico sul campo di battaglia ed il totale se questo viene ottenuto in seguito a negoziati. Tuttavia, contro il suo interesse e la cupidigia, definisce impuri i beni della terra ed ordina di purificarli, distribuendoli ai bisognosi. Maometto risulta rivoluzionario là dove si scaglia contro i potenti e ricorda loro che sono nulla e meno di nulla: «Possa l'uomo perire! Quanto egli è ingrato! Di che cosa lo creò Dio? D'una goccia di sperma!».

UN' ECCEZIONE PER ZAINAB
E' il momento di considerare che parte della sua legislazione circa il destino delle donne deriva dai casi amatorii del profeta, oltre che da un'insolita generosità virile nei confronti delle arabe del sesto secolo, ritenute indegne di intrattenere rapporti con Dio, anzi neppure da lui create. Maometto fu molestato dai sensi, condottiero senz'altro rapinoso quando si trattava di cogliere una femmina tolta ai vinti o qualsiasi altra gli desse il capogiro. Ebbe circa dieci mogli e svariate concubine, ognuna alloggiata in padiglioni, intorno alla sua dimora medinense. Fra le concubine, Jowayria, catturata assieme a 2.000 cammelli, 5.000 capi di bestiame ed altre 200 schiave, Rayahana, vedova d'un nemico massacrato a Medina, Cafiya, strappata al consorte sul punto di farlo uccidere, dopo l'assedio di Khaybar, Zainab, di cui si appropria dopo lo stesso fatto d'arme e che serbò e godette, benché la bella gli avesse arrostito un agnello avvelenato, infine Maria, la copta, da cui ebbe l'unico figlio maschio.
Tribolato da tanto appetito sessuale e posto sovente davanti a intoppi sentimentali, l'apostolo comincia a mischiare il divino con l'umano, 1'universale col particolare. Impone ad esempio al suo popolo il divieto di sposare una consanguinea, ma procura di fare un'eccezione. Permette cioè le nozze con la moglie ripudiata dal figlio adottivo. Regola stravagante se non avesse risolto lì per lì, dopo una opportuna trance mistica, un problema di Maometto che appunto aveva sposato Zainab (da non confondersi con la concubina), moglie ripudiata dal figlio adottivo Said. L'aveva intravista una sera, attraverso la fessura della tenda, assente Said. Colpito da tanta bellezza, ché la nuora era discinta e lo fissava, subì poco dopo la visione di Allah che gli ingiungeva di farla sua. Deriva dalla radice autobiografica anche la relativa clemenza coranica riguardo alle adultere, prima lapidate. Vengono certo fustigale (cento frustate) e recluse in casa sino alla morte, ma solo se la colpa è provata da ben quattro testimoni oculari. Con ciò, il profeta volle evitare il supplizio alla moglie amatissima Aisha, sposata quando aveva sei anni. Sembra lo abbia tradito con un suo ufficiale, durante una sosta della marcia su Medina. Nascostasi tra i palmizi e atteso che la carovana partisse senza di lei, Aisha commise forse adulterio in perfetta solitudine, sicché al marito ed alle male lingue non restarono che il sospetto e la maldicenza.
Maometto è comunque femminista, se lo si inquadra in quel mondo e in quel secolo. Si erige contro quanti padri rimangono fulminati dal dolore alla nascita d'una femmina e, peggio, la seppelliscono viva. Agevola poi le vedove, cui è dato risposarsi, quindi le ripudiate che possono rimaritarsi, trascorsi tre mestrui, periodo durante il quale il ripudiatore può riprendersele e, eventualmente, ripudiarle per l'ultima volta. Servito come un re, a tratti dispostico, Maometto raccomanda tuttavia di trattare gli schiavi con bontà, disponendo che parte degli oboli obbligatori vengano impiegati al loro riscatto. In definitiva, egli conserva degli usi arabi arcaici la poligamia e la schiavitù. Però limita la prima (quattro mogli e concubine a volontà) ed allevia la seconda. Sebbene frammentaria e rozza, anche la legge penale è più moderata rispetto alla precedente. Autorizza il taglione, ma stabilisce soluzioni di compromesso per le pene riservate agli omicidi.

L'ULTIMO VIAGGIO COL COMPAGNO PIÙ' ALTO
Illuminato e terrestre, questo rude condottiero ebbe una morte che lo ritrae perfettamente. Si ammala dopo aver lanciato a settentrione una nuova spedizione militare, per una razzia in Transgiordania, oltre che per vendicare il figlio adottivo Said, caduto in quella regione. Il profeta comincia a deperire. Gli duole la testa, la febbre gli dà i brividi. Avvertendo la fine, chiede alle sue spose l'autorizzazione di dormire nel padiglione di Aisha, dove lo trascinano alcuni fedeli, lui con le gambe tremanti e la fronte fasciata da una benda. Prima crede di patire un attacco di Satana, poi le conseguenze di quell'agnello avvelenato, propinatogli dalla perfida ma incantevole Zainab.
Sino all'ultimo si rifiuta di credere che Allah lo abbia sottoposto a una umana malattia. Ma le emicranie e la febbre lo prostrano. Spira con la testa poggiata sul vasto grembo di Aisha. Morendo, con l'occhio nero appuntato al soffitto, borbotta: «II compagno più alto!».
Si dice abbia rivisto allora l'arcangelo Gabriele, per l'ultima volta. Seguono le strida ed i singhiozzi di tutto il suo harem, irrotto nella tenda.


L'Espresso Colore, 25 febbraio 1973

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