8.2.15

Le due facce di Costantino (Paolo Rumiz)

A diciassette secoli dall'editto di Costantino (Milano, febbraio 313) la Chiesa nella tempesta ha il coraggio di guardare in faccia l'imperatore che con quell'atto diede libertà ai cristiani, ma pose anche le basi delle tentazioni “temporali” del papato, delle origini fino alle laceranti divisioni dei giorni nostri. Un'operazione coraggiosa, che cerca la verità di un personaggio più complesso di quanto non dicano gli schemi scolastici, e non teme di rileggerne le trasfigurazioni mitiche e le manipolazioni interessate.
È il senso della monumentale Enciclopedia costantiniana della Treccani che sarà tra breve in libreria e vedrà una solenne presentazione ecumenica il 21 marzo all'Ambrosiana di Milano. Voluta dal cardinale Angelo Scola e portata a termine da 53 autori coordinati dalla Scuola di scienze religiose di Bologna, l'enciclopedia fa il punto sugli ultimi anni di studi e mostra, dice il curatore Alberto Melloni, «un uomo intelligente e crudele, che con gli anni diventa sempre più monoteista e cristiano; uno che dà alla Chiesa più libertà e alla fine mette mano al portafoglio restituendo e detassando i beni confiscati».
Figura inquietante e bifronte, l'uomo che nel 331 fa di Costantinopoli la nuova capitale della romanità, si mostra giusto verso ebrei e cristiani, ma orrendamente crudele verso figli e parenti stretti, e la statua in piazza della Vetra a Milano, copia fedele di un marmo antico, conferma l'immagine di un dominatore imponente, magnetico e carico di astuzia barbarica (era un balcanico), ma anche impregnato di romanità. In quel carisma, che si ripete nei busti sparsi nelle terre dell'impero, è già leggibile la trasfigurazione che ne faranno i pagani e i cristiani.
Egli è prima di tutto estetica, cerimoniale. Il bianco-panna del Papa e la porpora dei cardinali in conclave nascono da colori imperiali, imitano dunque la potenza terrena di Costantino. Quando l'algido Putin sulla porta del Cremlino si fa fotografare in posizione devota davanti al capo della chiesa moscovita, ricalca di proposito la postura di lui nelle icone. E persino il turco Erdogan, quando consegna al patriarca di Istanbul-Costantinopoli l'atto di restituzione dei luoghi di culto ortodosso, reinterpreta la politica del pacificatore religioso erga omnes che i sultani ereditarono dalla città di Costantino.
L'enciclopedia penetra il mito, a partire dalla battaglia di Ponte Milvio - in hoc signo vinces - dove probabilmente a trionfare non fu la Croce ma un'analoga insegna legionaria; rilegge l'antico falso della “donazione” dei territori imperiali alla Chiesa; evidenzia come forzata persino la lettura del clamoroso evento del 313. Ormai lo si sa: l'editto non fu tale, ma semplice lettera agli amministratori dell'impero; non fu di Milano, perché l'epistola fu vergata a Nicomedia, l'attuale città serba di Nis; e non fu nemmeno di Costantino, perché a emanarlo fu il suo omologo d'Oriente, l'imperatore Licinio.
Cosa sono allora le solenni parole di libertà riprodotte sulla prima delle cinque porte di bronzo del duomo di Milano? In quella città i due cesari effettivamente si vedono in febbraio, e lì Costantino, da poco padrone dell'Occidente, ordina a Licinio (che undici anni dopo avrebbe tolto di mezzo per diventare cesare di un impero riunificato) di diffondere la libertà di culto in generale, e non solo ai cristiani, anche nelle provincie orientali. La decisione viene ufficializzata a giugno, e solo per i territori dell'Est. L'Ovest non ne ha bisogno, perché la libertà di culto è già stata adottata; e non da Costantino, ma dal predecessore Galerio.
Don Federico Gallo, studioso dell'Ambrosiana, si attiene ai fatti. «Costantino fa costruire basiliche a Roma, a Gerusalemme e Betlemme. Convoca un concilio, quello di Nicea che condanna Ario come eretico, e persino lo presiede. Rende festiva la domenica, svolta decisamente epocale, e dà spazio ai cristiani. Ma attenzione: non fa lui stesso il devoto. Il suo primo interesse è la pax deorum, e cioè che le diverse fedi dell'impero coabitino sotto lo stesso pantheon». Assiste alla condanna di Ario, ma si fa battezzare in punto di morte da un vescovo ariano.
Resta imperatore prima di tutto, anche se dai cristiani riceve il titolo di epìscopos, e non somiglia affatto a Teodosio, che nel 380 renderà il cristianesimo religione obbligatoria di Stato, portando a termine la metamorfosi dei cristiani da perseguitati a persecutori. Nel suo epistolario con sant'Ambrogio per esempio, dopo aver protestato per alcune sinagoghe bruciate dai cristiani, Teodosio finirà per farsi convincere dal vescovo di Milano della giustezza sacrosanta di quell'infamia. Mai l'uomo di Ponte Milvio avrebbe ceduto su questo punto.
È peraltro Costantino a gettare le basi di quell'inciucio fra politica e religione che spingerà la Chiesa a influire sul potere civile e persino a chiedere e ottenere esenzioni fiscali sulle sue proprietà (Imu). Ed è da Costantino che la Chiesa vive il rischio di «derive cesaropapiste e antisemite», come spiega l'esperto di ebraismo monsignor Piefrancesco Fumagalli. «L'imperatore che ci perseguitava con la spada oggi ci accarezza il ventre», ammoniva già nel quarto secolo Ilario di Poitiers. Da lì vennero il gran rifiuto degli anacoreti, la protesta ereticale, la rivolta di Dolcino, l'anatema dell'Alighieri, la protesta di Melantone, lo scisma luterano.
In Oriente è diverso. L'impero dura un millennio in più, riluce di ori e mosaici da Ravenna alla Persia, affascina con le sue liturgie i principi pagani della Russia e l'Islam delle origini. Fu scoprendo la lupa scolpita, spiega Andrea Piras nell'enciclopedia, che i khan dell'Asia centrale scoprirono affinità totemiche con Roma. Paradossalmente, la tolleranza costantiniana sopravvisse meglio a Istanbul che a Madrid: mentre Isabella la Cattolica espelleva gli Ebrei, il sultano li accoglieva e si dichiarava primo imperatore di “Rum”, la romanità. Le cancellerie di Costantino e del sultano, ricorda Anna Calia nell'Enciclopedia, erano entrambe «poliglotte e multiconfessionali». E non esiste città, ricorda la bizantinista Silvia Ronchey, dove una religione perdente «abbia conservato più luoghi di culto della Costantinopoli ottomana».
Ma come a Roma, anche nel mondo ortodosso il 313 è pretesto di una rilettura interessata. Costantino diventa il sigillo della symphonia, la simbiosi invincibile di stato e fede che secondo Josip Brodskij sta alla base dell'assolutismo zarista e bolscevico. E oggi, per i Greci, celebrare il 313 significa invocare la riconquista della Polis per mano di un nuovo Costantino. È cantando il suo nome che i Greci esuli dalla Turchia, sgozzano ancora un toro e ballano avvinghiati a icone, seguendo un ritmo arcaico come la tammurriata. «Per noi serbi – dice il liutista Sasha Karlic – Costantino risveglia anche musicalmente l'archetipo balcanico del guerriero di luce contro le tenebre».
Metamorfico e inafferrabile, ritrovi il suo fantasma dappertutto: nelle fondamenta bancarie di Milano, tra le pietre del Foro dove inizia la via Emilia, affrescato in una chiesa di Montreal assieme a Mussolini, riletto da un post comunista come Putin, mitizzato in senso fascista dal polacco Pilsudski o dal greco Metaxas. Lo riscopri nei canti che la Sardegna dedica a un santo col suo nome, nelle celebrazioni cattoliche di Aquileia, o in quelle ortodosse di questi giorni in Serbia, dove l'imperatore torna tra i vivi come simbolo di quell'identità perfetta di popolo, religione e Stato che tanti disastri ha inflitto ai Balcani.


“la Repubblica”, 25 febbraio 2013

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