15.4.15

Agosto 2010. Luciano Canfora ricorda Elvira Sellerio

La forza d’essere anti intellettuale
Trent’anni fa proposi a Elvira Sellerio una traduzione del più importante pamphlet dell’Atene classica, la cosiddetta Costituzione degli Ateniesi, con un titolo suggeritomi dal compianto e pugnace Lino Micciché: La democrazia come violenza. Einaudi aveva avuto molteplici contorsioni di fronte a quel testo essenziale e sferzante. Elvira Sellerio lo accolse subito nella «Memoria». Molto dopo mi disse: «Naturalmente è il testo di un autore moderno!». Era solo in superficie un «errore». L’editrice, così strutturalmente anti intellettualistica, coglieva la sostanza della questione: che cioè quel libello del tardo V secolo a.C. dice ancora oggi a noi l’essenziale sulla «democrazia».
Così nacque la nostra reciproca stima e, da parte mia, ammirazione. Ricordo la disarmante domanda: «È importante questa cosa che lei vuole mettere in una nota?» (Si trattava del lungo lavoro per La sentenza, sulla uccisione di Gentile: un libro che le deve moltissimo). Risposi di sì. «E allora perché non lo diciamo nel testo? I suoi antichi non mi pare che mettessero le note!».
Vestendosi di «socratica» ignoranza insegnava un po’ di mestiere agli autori. I Greci erano una sua passione. Perciò volle una traduzione completa di Diodoro di Sicilia, dopo aver letto le sue pagine grandi e atroci sulla rivolta degli schiavi in Sicilia. E volle che nascesse una collana, che tuttora vive, «La città antica», dove accogliere testi non triti, corredati di sussidi essenziali. Attraverso la sua collana prediletta, «La memoria», coltivava i legami che non possono spezzarsi. Penso ai numeri di quella collana, lasciati in bianco in memoria di Sciascia. E non posso non esserle grato per avervi accolto il Lessing postumo di mio padre.


Corriere della Sera, 4 agosto 2010

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