15.4.15

"Così vogliono gli dei". La persecuzione dei cristiani nell'antica Roma (Lidia Storoni)

Masaccio - La Crocifissione di San Pietro nel Polittico di Pisa
Non sono ancora spenti gli incendi accesi dalle bombe di Israele, e nel Libano un presidente cristiano, la cui elezione aveva subito messo in agitazione i cittadini musulmani, viene assassinato. In Iran, Khomeini infierisce contro i dissidenti e annuncia una crociata islamica contro l'Occidente. Londra è funestata dagli attentati dei cattolici irlandesi, Parigi da quelli contro gli ebrei. In Polonia, il culto della Madonna diventa sempre più il simbolo dell'istanza di indipendenza nazionale e di autonomia sindacale. Dal ciclo di Auschwitz non si è ancora dissipato il fumo dei forni, e a Roma c'è chi, per esprimere il proprio dissenso verso uno Stato straniero, va a insultare il tempio delle sua religione, dove sono incisi i nomi dei morti di quei forni.

Oracoli bruciati
Ma, si sa, dietro i conflitti religiosi, e eresie, le riforme, dietro Arnaldo da Brescia, Savonarola e Lutero c'è sempre un vasto retroterra di malcontento economico-sociale, e di rivendicazioni nazionali. Anche nell' antica Roma, filoni mistici e correnti di pensiero offrivano sfogo allo sgomento e al dissenso di strati emarginati; la contestazione si esprimeva nel rifiuto degli irritabili numi tutelari, nell'anelito a un Dio unico per tutti i popoli e nell'attesa di un Salvatore vindice degli oppressi. Spesso gli oracoli che ne annunciavano l'avvento furono bruciati, spesso i filosofi e i sacerdoti di religioni straniere furono espulsi; infatti i culti diversi da quello ufficiale, le dottrine che minavano i valori ortodossi erano, come scrive Mc Mullen, «enemies of the Roman Order», nemici dell'ordine imposto da Roma; e come tali sospetti.
Nel complesso, però, a Roma gli dèi delle comunità immigrate, purché restassero nel loro ambito, erano tollerati. La sala dei culti orientali, nei Musei capitolini, contiene statue di Cibele, Iside, Giove Dolicheno; nel sottosuolo dell'Urbe, i Mitrei rintracciati da Vermaresen sono circa un centinaio. Perché, dunque, i cristiani furono perseguitati?
Questo interrogativo è stato al centro dell'ultimo convegno internazionale dell'Accademia Storico-Giuridica Costantiniana che ha sede a Spello e fa capo all'Istituto di Storia del Diritto dell'Università di Perugia (nelle sue tornate annuali gli studiosi d'ogni paese che vi partecipano prendono in esame problemi di diritto romano del IV e V secolo).
In realtà, come ha osservato nella prolusione Gabrio Lombardo, i dati giuridici delle persecuzioni scarseggiano. Del resto, al contrario di quel che si crede comunemente, le condanne non derivarono da una politica coerente, da una legislazione regolare; furono piuttosto misure d'ordine sporadiche, prese in luoghi e tempi diversi da governatori docili a denunce o a manifestazioni del popolo, che voleva un capro espiatorio in occasione d'una siccità, d'un incendio o d'un terremoto: sciagure inflitte agli uomini dagli dèi offesi. Mentre la discontinuità della politica imperiale sta a indicare l'incertezza nell'identificare il fenomeno della nuova setta, l'ostilità delle masse rappresenta la difesa della propria identità culturale, dell'appartenenza rassicurante a un gruppo omogeneo.
Il rinnovamento promosso dal Vangelo non era una rivoluzione di classe, non poneva rivendicazioni nazionali o economiche; postulava invece la libertà dell'individuo nella sfera del sacro: una dimensione ignota ai romani, avvezzi a identificare gli dèi con lo Stato. Altri elementi d'opposizione, già operanti, si immettevano nel cristianesimo: il corruccio dei moralisti, le attese dei mistici, il diniego dei filosofi ai valori di Roma: virtus, amor patrio, gloria, onori, potenza; mète ingannevoli per chi si librava nel ciclo cristallino della metafisica. I cristiani apparivano atei, per la semplicità delle loro cerimonie; si astenevano da spettacoli osceni e cruenti, dalle feste nazionali, dai mestieri attinenti alla religione dei pagani e ai loro piaceri. Avversi alla violenza, erano implicitamente obbiettori di coscienza. Le testimonianze della loro astensione dalle armi sono rade e tarde: il De Corona diTertulliano è del 211, i due legionari renitenti citati da Cipriano furono suppliziati nel 250 — reati gravi in un'epoca in cui i disertori erano mandati al rogo. Via via che aumentava il numero dei convertiti, più allarmante si faceva il loro diniego globale dei valori fondamentali di Roma; diventava più inquieta la vigilanza, più spietata la repressione.
La versione tradizionale delle persecuzioni è prevalentemente posteriore ai fatti, probabilmente amplificata per motivi di propaganda; i martiri servono sempre alla causa. Si è cosi creato un patrimonio figurativo oleografico, riprodotto migliaia di volte dall'arte cristiana, didattica e ripetitiva, dagli affreschi delle Catacombe ai santini di Sacrestia, dai Misteri Medioevali a films come Fabiola o QuoVadis. Dai primi Acta Martyrum sono scaturite leggende che in qualche caso si sono adagiate nell'alveo di miti classici lentamente dimenticati, con perfetta coincidenza di luoghi e date festive e analogia di vicende e di nomi (le leggende agiografiche e «i santi successori degli dèi» sono stati studiati dallo storico francese Déléhaye). Alcuni tratti dei racconti, inoltre, ricalcano le Vite degli oppositori stoici che, come racconta Tacito, si tagliarono le vene sotto Nerone e Domiziano: vi si incontra lo stesso atteggiamento fermo e sereno di frante a sbirri e proconsoli, invariabilmente goffi e brutali.

Ossatura invisibile
Direttive precise del governo appaiono abbastanza tardi. Anzi, secondo Tertulliano — che scriveva in Africa 200 anni dopo — Tiberio avrebbe proposto al Senato di accogliere nell'Olimpo romano il nuovo Dio di Israele: una notizia, a mio avviso, insostenibile. I padri coscritti si sarebbero opposti, dichiarandosi non sufficientemente informati sulla resurrezione; e questo rifiuto, secondo alcuni studiosi, fu un regolare senatus consultus, che pose automaticamente il cristianesimo nella categoria delle religioni illecite. Tale precedente giuridico avrebbe consentito anni dopo a Claudio di espellere dall'Urbe i cristiani perché fautori di disordini, e nel 64 a Nerone di imputar loro l'incendio di Roma ed emettere quel decreto detto Institutum Neronianum, di cui non c'è traccia, nel quale avrebbero trovato giustificazione legale le successive persecuzioni.
Se fosse così, alla legge di Nerone si sarebbe appellato Plinio, governatore della Bitinta, anziché scrivere a Traiano per chiedergli come doveva comportarsi verso quegli inoffensivi contestatori che si chiamavano cristiani, rei soltanto di sottrarsi ad atti di culto rivolti alla statua dell'imperatore. E se Plinio non avesse conosciuto quel provvedimento, poteva rammentarglielo Traiano o emanarne un altro, anziché rispondere, come fece, con molta moderazione. Evidentemente non ne sapeva nulla neanche Adriano, il quale, pochi anni dopo, in una situazione analoga, ordinò che fossero puniti soltanto coloro che, a seguito di denuncia firmata e regolare processo, risultassero autori di reati contemplati dal codice. Se, nel secolo successivo, i sovrani infierirono contro la nuova setta, fu per la sua enorme diffusione in anni particolarmente difficili; le svalutazioni monetarie, le rivolte militari, le incursioni barbariche, l'imposizione fiscale intollerabile pesavano sulla popolazione: tutta colpa — dicevano — di quei lugubri negatori degli dèi; nelle loro riunioni si compivano atti osceni e sacrifici umani.
A metà del III secolo, con Decio, con Valeriano, l'intervento dello Stato fu inesorabile. Era prevista la condanna a morte per chi si rifiutava di bruciare incenso davanti all'immagine imperiale, sacrificare e consumare la carne dell'animale ucciso. Di questa imposizione — trasgredire alla quale era reato di lesa maestà, equiparato già sotto Augusto ad alto tradimento — ci sono pervenuti i documenti: 43 formulari — i famosi libelli — conservati in papiri egiziani, che si dovevano firmare a prova del rito compiuto e venivano poi rilasciati a guisa di certificati che il cittadino era in regola con la legge. Questa specie di censimento religioso non aveva il minimo contenuto dottrinario, ma dimostra gli sforzi delle autorità per raggiungere con la forza una coesione etico-politica e religiosa in uno Stato in disgregazione. Se ne furono vittime i cristiani e non gli adepti di altri culti, ciò dipese dal fatto che il credo cristiano vietava quell'atto di totale dedizione allo Stato.
Da allora la persecuzione diventò ufficiale, imperversò sotto Diocleziano, ebbe sussulti di recrudescenza. Ma per pochi anni: la Chiesa ormai aveva definito la dottrina, le norme etiche, la liturgia, le gerarchie; aveva costruito un'ossatura invisibile ma salda all'interno d'uno Stato in disfacimento. Ben presto gli sarebbe subentrata.
Soltanto dalla seconda metà del III secolo, dunque, la repressione fu il mezzo adottato dallo Stato per soffocare un movimento che ormai aveva raggiunto una vastità allarmante: se noi ci ritirassimo, scrive Tertulliano, le piazze e i mercati sarebbero deserti. Vi pose termine Costantino con la sua conversione; o meglio, con la sua perspicace valutazione dell'entità numerica e culturale del fenomeno.
Sarebbero poi cominciate le persecuzioni contro i pagani.


“la Repubblica” - Ritaglio senza data ma 1982

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