17.4.15

La Bastiglia della scienza (Stefano De Rosa)

David - Ritratto dei coniugi Lavoisier
Nel 1794, il presidente del tribunale rivoluzionario che condannò a morte Antoine Lavoisier proclamò che «la Repubblica non aveva bisogno di scienziati». Non si trattava di una posizione isolata, ma dello specchio di una diffidenza generale, di sospetto diffuso verso gli uomini di scienza. L'anno precedente, l'8 agosto del 1793, durante la fase ascendente del Terrore, la Convenzione aveva abolito le accademie scientifiche come incompatibili con la Repubblica.
Nonostatne la presenza nella Rivoluzione francese di molti illustri scienziati, i rapporti dei Giacobini con la scienza furono improntati a forte ostilità. Richiamandosi alla filosofia di Jean Jacques Rousseau, essi consideravano i membri delle istituzioni scientifiche fondate dai re di Francia solo dei cortigiani privilegiati. La scienza, ai loro occhi, era una nuova forma di aristocrazia e l'eccellenza del genio scientifico una sorta di crimine contro gli ideali dell'eguaglianza; il tecnicismo scientifico era un velo ingiustificato interposto fra il popolo e la verità. L'immagine giacobina della scienza identificava quest'ultima con una subcultura aristocratica che continuava ingiustamente ad esistere in una società democratica e egualitaria.

Il rapporto intensamente conflittuale fra giacobinismo e spirito scientifico è stato uno dei punti di maggior interesse del discorso introduttivo di Paolo Rossi, presidente del Centro fiorentino di storia e filosofia della scienza, al convegno su La Rivoluzione francese e la scienza svoltosi a Firenze, presso l'Istituto Francese, il 22 e 23 maggio. All'incontro di studio hanno partecipato Charles Gillispie (Princeton), Roger Hahn (Berkeley), Jacques Roger (Parigi), Robert Fox (Oxford) e gli italiani Pietro Corsi, Paolo Brenni, Ferdi-nando Abbri, Umberto Bottazzini, Paolo Galluzzi.
Come un succedersi di cerchi concentrici, le relazioni hanno seguito un'orbita particolare: il legame tortuoso fra i lumi o la rivoluzione, fra il patrimonio scientifico acquisito prima dell'incendio del 1789 e il riordino delle strutture istii tuzionali in età repubblicana e nella successiva fase napoleonica. E' noto che i lumi avevano favorito la crescita del sapere scientifico: Coulomb nei suoi fondamentali esperimenti sull'elettricità e Lavoisier, nei suoi attacchi all'antica teoria del flogisto e nell'enunciato di una nuova teoria del calore, avevano ricevuto uno stimolo preciso da una società ansiosa di rinnovamento. Si erano dilatati, come mai prima nel passato, i confini della fruizione sociale della scienza.

Artigiani, insegnanti, professionisti, borghesi di buone letture, erano diventati espressione concreta di un'attenzione per il sapere da parte di nuovi soggetti sociali, come Galileo aveva preconizzato nel Salviati e nel Sagredo del Dialogo. Accanto al loro lavoro di ricerca gli scienziati avevano il pugnace gruppo dei philosophes. Come hanno ricordato Corsi, Bottazzini e Galluzzi esisteva un continuo travaso fra scoperte scientifiche e adeguamento del sapere filosofico. D'Alembert, in particolare, si assume il compito di dar vita a una storiografia della scienza i cui quadri fossero aggiornati ai tempi.
Durante il secolo dei Lumi prende vita, così, una sorta di revival del progetto baconiano, la cui sola novità è che la teoria memoria-ragione-immagìnazione, vedeva la posposizione della ragione all'immaginazione. D'Alembert (e prima di lui Condorcet) ha un'idea propedeutica e propagandistica della scienza. Considera che il filosofo debba predisporre la società all'accoglimento critico delle scoperte e pensa che per questo scopo il pubblico debba familiarizzare con il percorso storico delle scienze. Anche gli errori, nella visione di D'Alambert, sono necessari. L'opposizione della chiesa è considerata una sorta di catastrofe naturale, inevitabile, dato il carattere della chiesa come organizzatrice dell'oscurantismo collettivo.

In questo ambito D'Alembert e i philosophes inseriscono la vicenda di Galileo: martire della scienza, più che scienziato innovatore. Gli «eroi» di D'Alembert erano invece Copernico, Keplero, Newton e, defilato ma presente, Locke. Lagrange, nella Mécanique analityque (1788), suggeriva che il compito dello storico della scienza deve essere anche quello di mettere in risalto lo scarto fra gli avanzamenti del sapere e le nuove possibilità offerte alla ricerca. Solo Delambre, nella sua Storia della Astronomia, mette in discussione il modello di D'Alembert. Non a caso la sua opera non vuole essere uno schizzo, o un'interpretazione, ma un repertorio storico. E non a caso inizia il suo racconto storico dai Greci e, come Keplero, considera l'astrologia non la nemica, ma la madre dell'astronomia. Copernico e Keplero sono i pilastri della sua trattazione, mentre Descartes è trattato con freddezza.

Il modello ermeneutico di D'Alembert rimase comunque egemone, ed esercitò una netta influenza sui testi storico-scientifici coevi. Ma, come si ricordava all'inizio, il convegno ha messo in luce anche il modo in cui la Rivoluzione ordinò, materialmente, il mondo della ricerca scientifica. Citando D'Alembert, Robespierre osservava che, pur avendo combattuto memorabili battaglie contro il clero, aveva pur sempre rinsaldato il potere del re, e le benemerenze acquistate durante l'Ancien Regime non potevano essere considerate valide nelle mutate condizioni. Si capisce bene pertanto come solo dopo il Termidoro e la caduta di Robespierre fu istituita una serie di grandi strutture scientifiche ed educative.
L'Institut de France, che ne era il culmine, fu fondato nel 1795, come 1' École Normale e l'École polytechnique. Ciò che cambiò radicalmente, e al convegno lo ha messo in luce Roger Hahn, fu la situazione degli scienziati. La ricerca si configurò, nelle nuove strutture educative e scientifiche, come una professione e un impiego a tempi pieno e retribuito, al quale si accede dopo un periodo di formazione. All'Ecolé polytechnique si entrava per concorso. Il curriculum aveva al centro l'insegnamento della matematica, seguito da quelli di fisica e di chimica. Agli scopi più strettamente professionali provvedevano, al termine del ciclo di studi, e dopo un finale, le écoles de application o di servizio pubblico dedicate ai ponti e alle strade, alle miniere, alla geografia, al genio militare, all'artiglieria, all'ingegneria navale. In questo senso mutò la domanda culturale rivolta alle Accademie.
Robert Fox, che ha studiato l'attività scientifica svolta dalle Accademie negli ultimi cinque anni dell'Ancien Regime e nei primi cinque successivi alla rivoluzione, ha osservato un progressivo mutare di indirizzi, un irrobustimento della spinta alla specializzazione del sapere. Fa eccezione solo la mirabile Accademia Linneiana di Bordeaux, isola di attento studio, impermeabile agli avvenimenti storici. Con Napoleone gli scienziati furono utilizzati per scopi politici e militari.
Il patrocinio offerto da Napoleone alla scienza fu oltremodo generoso. Mentre il regime napoleonico evolveva verso forme di autocrazia, la relativa indipendenza personale dell'uomo di scienza venne progressivamente ridotta. Quando, nel 1803, Napoleone impose una ristrutturazione all'Institut de France, se ne servì come di una copertura per ciò che veramente lo interessava: l'eliminazione della classe di scienze morali e politiche ove si annidavano gli ideologues, che erano i suoi critici più aspri e irriducibili.


“il manifesto”, ritaglio senza data, ma maggio 1989

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