20.5.15

A De Andrè non piaceva il presepio (Luigi Manconi)

Per parlare del lavoro di Fabrizio De André, il criterio più appropriato è quello musicale-letterario. Tutte le altre considerazioni (di ordine culturale o sociologico o addirittura ideologico) sono spesso superflue e talvolta, assai fallaci. Ebbene, sotto il profilo musicale-letterario, la peculiarità della produzione di De André è assai significativa (e rarissima): è il fatto di aver saputo scrivere una delle sue canzoni più belle (Princesa) nel 1996, a trent' anni dai suoi più audaci e innovativi lavori. Mentre la gran parte dei suoi colleghi ha dato il meglio di sé nella prima fase di attività, il solo De André ha saputo offrire canzoni di altissima qualità per oltre tre decenni; e ci ha dato con Creuza de Ma (1983) la sua opera più matura sotto il profilo musicale. Perché sottolineare questo? Perché spiega, a mio avviso, come la forza dello scrivere e del musicare di De André fosse assai più solida e più "lunga" del contesto (culturale storico e ideologico) nel quale, pure, era immerso e si voleva immerso. Guai, dunque, a imprigionare il lavoro di De André all'interno di una lettura "politica" o a scrivere, come già fanno le agenzie, che "la sua musica entra a far parte della colonna sonora dei fermenti del ' 68". Al contrario, il suo album meno riuscito è proprio quello più dichiaratamente "generazionale" (ovvero Storia di un impiegato). De André si interessa di politica, discute di politica, si appassiona persino alla politica "solo quando strettamente indispensabile" (me lo disse lo scorso settembre). La sua politica è, piuttosto, quella della com-passione (ovvero del patire insieme) per gli ultimi.
Il suo volersi anarchico, il suo sottrarsi alle appartenenze e alle ubbidienze e alle mode, anche politiche, contribuisce a consentirgli una costante contemporaneità (e, con ciò, la capacità di non apparire mai come un reduce). D' altra parte, la compassione di De André - ecco l' altra sua grande risorsa - non è mai commiserazione: ovvero partecipazione al miserabilismo. Gli esclusi e i devianti di cui parla, proprio perché espressione di una parte dello stesso De André, non sono mai un altro sconosciuto ed esotico: e non sono mai solo disperazione e digrignar di denti. Sempre hanno una loro faticosa dignità e sempre hanno una loro faticata allegria. Dalla Maddalena alla transessuale Princesa, dai ladroni in croce fino ai tossicodipendenti, quell'umanità di puttane e puttanieri, di ladri e biscazzieri, ma anche di minoranze etniche e religiose e sociali, non ha mai alcunché di oleografico: sia perché l'ironia è sempre vigile; sia perché evidentemente, il presepio, a De André, non è mai piaciuto. O meglio, gli piaceva quello dei vangeli apocrifi: più scabro e più umano.


“la Repubblica”,12 gennaio 1999  

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