Per parlare del lavoro di
Fabrizio De André, il criterio più appropriato è quello
musicale-letterario. Tutte le altre considerazioni (di ordine
culturale o sociologico o addirittura ideologico) sono spesso
superflue e talvolta, assai fallaci. Ebbene, sotto il profilo
musicale-letterario, la peculiarità della produzione di De André è
assai significativa (e rarissima): è il fatto di aver saputo
scrivere una delle sue canzoni più belle (Princesa) nel 1996,
a trent' anni dai suoi più audaci e innovativi lavori. Mentre la
gran parte dei suoi colleghi ha dato il meglio di sé nella prima
fase di attività, il solo De André ha saputo offrire canzoni di
altissima qualità per oltre tre decenni; e ci ha dato con Creuza
de Ma (1983) la sua opera più matura sotto il profilo musicale.
Perché sottolineare questo? Perché spiega, a mio avviso, come la
forza dello scrivere e del musicare di De André fosse assai più
solida e più "lunga" del contesto (culturale storico e
ideologico) nel quale, pure, era immerso e si voleva immerso. Guai,
dunque, a imprigionare il lavoro di De André all'interno di una
lettura "politica" o a scrivere, come già fanno le
agenzie, che "la sua musica entra a far parte della colonna
sonora dei fermenti del ' 68". Al contrario, il suo album meno
riuscito è proprio quello più dichiaratamente "generazionale"
(ovvero Storia di un impiegato). De André si interessa di
politica, discute di politica, si appassiona persino alla politica
"solo quando strettamente indispensabile" (me lo disse lo
scorso settembre). La sua politica è, piuttosto, quella della
com-passione (ovvero del patire insieme) per gli ultimi.
Il suo volersi anarchico,
il suo sottrarsi alle appartenenze e alle ubbidienze e alle mode,
anche politiche, contribuisce a consentirgli una costante
contemporaneità (e, con ciò, la capacità di non apparire mai come
un reduce). D' altra parte, la compassione di De André - ecco l'
altra sua grande risorsa - non è mai commiserazione: ovvero
partecipazione al miserabilismo. Gli esclusi e i devianti di cui
parla, proprio perché espressione di una parte dello stesso De
André, non sono mai un altro sconosciuto ed esotico: e non sono mai
solo disperazione e digrignar di denti. Sempre hanno una loro
faticosa dignità e sempre hanno una loro faticata allegria. Dalla
Maddalena alla transessuale Princesa, dai ladroni in croce fino ai
tossicodipendenti, quell'umanità di puttane e puttanieri, di ladri e
biscazzieri, ma anche di minoranze etniche e religiose e sociali, non
ha mai alcunché di oleografico: sia perché l'ironia è sempre
vigile; sia perché evidentemente, il presepio, a De André, non è
mai piaciuto. O meglio, gli piaceva quello dei vangeli apocrifi: più
scabro e più umano.
“la Repubblica”,12
gennaio 1999
Nessun commento:
Posta un commento