5.5.15

Mussolini (Denis Mack Smith)

Nel 1981 Rizzoli pubblicò in traduzione italiana il Mussolini dello storico inglese Denis Mack Smith, la terza (dopo Garibaldi e Vittorio Emanuele II) delle sue “biografie italiane”. “L'Europeo” ne pubblicò una presentazione a cura dello stesso autore (titolo Mussolini e il professore), da cui ho ripreso il brano che segue. (S.L.L.)

Mussolini sceglieva tutti i suoi collaboratori in modo che non potessero dargli ombra. Alla fine tutti si rendevano conto che i loro consigli erano sgraditi al capo o addirittura (come Mussolini disse e Oraziani confermò) che ogni consiglio sortiva quasi invariabilmente l'effetto di indurlo a fare esattamente l'opposto. Ben pochi erano quindi i suoi colleghi con una personalità forte e indipendente. Per lo più erano anzi dotati di scarsa intelligenza, dato che la mente era una cosa di cui Mussolini diffidava. Poiché per il movimento valeva più uno squadrista che un intellettuale, «sarà cura del fascismo ammobiliare un po' meno sontuosamente il cervello degli italiani», perché lui in definitiva aveva bisogno soprattutto di soldati, cioè di «analfabeti coraggiosi».
Il risultato fu che per sua propria scelta tutti i gerarchi fascisti erano personaggi di second'ordine, se non addirittura veri e propri delinquenti. La miglior qualifica per ottenere un posto era mostrare di saper sbaragliare gli avversar! con brutalità e sprezzo della legge. Chi sostiene che il fascismo non ha creato una classe dirigente sbaglia. Sebbene i conservatori di prima del fascismo mantenessero ancora certe leve di controllo, c'era tuttavia una classe dirigente affatto nuova, composta di squadristi, vale a dire di quei gangster e di quei tipi violenti, il cui requisito essenziale non era l'intelligenza o l'efficienza, ma la lealtà al duce, l'ubbidienza cieca e incondizionata ai suoi ordini.
Starace non era certo il meno incompetente. Muti e Vidussoni erano ancora peggio, ed erano tutt'e due designati a succedere a Starace nella segreteria del partito fascista, il secondo posto per importanza del regime. L'assoluta mancanza di talento tra i leader fascisti non può che indurci a chiederci come potesse Mussolini tenere in piedi questa colossale truffa da solo e imporsi perfino come oggetto di timore e di ammirazione. La risposta più semplice è che Mussolini era un bravissimo showman, oltre che il primo capo di governo che avesse capito l'importanza della stampa di regime. Da bravo giornalista, Mussolini aveva imparato che i fatti si possono anche inventare e che in genere i lettori sono tanto ingenui da lasciarsi facilmente ingannare.
Una volta diventato capo di governo, aveva capito che finché si poteva eludere la critica pubblica e convincere la gente di avere otto milioni di baionette, divisioni corazzate e un'aviazione in grado di oscurare il sole, si poteva benissimo fare a meno di avere veramente tutto questo. Questa brillante scoperta gli insegnò che una buona propaganda non solo rendeva la verità irrilevante, ma rendeva addirittura superflui i concreti successi politici. Convincendo tutti che «Mussolini ha sempre ragione», si manteneva al potere, e questo era il suo scopo principale. Ma in questo modo finì per ingannare se stesso e Hitler e contribuì a scatenare una guerra per la quale in realtà non aveva pronto nessun esercito.
La sua abilità di propagandista impedì che ci si rendesse conto dell'inefficienza del fascismo e vi si ponesse rimedio. La grandissima abilità di Mussolini finì per essere la causa della sua rovina.


“Europeo, 19 ottobre 1981  

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