21.6.15

Il leone e la pantera. Carducci scrive a Carolina Piva (Mirella Serri)

Carolina Cristofori Piva
La zampata arriva inattesa. «Sto male, è un caldo orribile, e bevo troppo vino... mi annoio e ruggisco e vorrei ritrovare la mia pantera». Colui che spalanca le fauci e ingolla una pinta di rosso non è mai stato un mite e tranquillo amante. Però il vate che all'animale più mansueto ha dedicato alcuni dei suoi versi più ispirati («t'amo, o pio bove, e mite un sentimento / di vigore e di pace al cor m'infondi») ora si scopre parente del re della foresta.
A stimolare in Giosuè Carducci, alle soglie dei 37 anni, l'atteggiamento più sanguigno, grintoso e belluino, è la 34 enne Carolina Cristofori Piva. Non a caso l'irsuto poeta sale e pepe la chiama affettuosamente la sua pantera. Ha incontrato per la prima volta Lina-Lidia, come l'ha ribattezzata, il 9 aprile 1872 in un caffè di Bologna, in una serata nebbiosa. Circa dieci anni prima Lidia è convolata a nozze con uno dei Mille, il generale di brigata Domenico Piva, ha vissuto a Palermo e Trapani e poi si è trasferita a Milano, frequentando i salotti dell'intellighentia meneghina, come quello della contessa Clara Maffei.
Intelligente, colta, capace di esprimersi in fluente inglese e tedesco, Lina, con tutte le sue arti, soprattutto con quelle amatorie, attira tante attenzioni, non solo dell'autore di Pianto antico che peraltro ha corteggiato con lettere e regalini alle sue bambine. La morbida ed enigmatica pantera finisce, dopo l'avvio della turbolenta liaison, per condurre il poeta in un'altalena di stati d'animo tra esaltazione, entusiasmo, disperazione, attizzati da frequenti libagioni (cognac, aleatico e marsala, i preferiti).
Lo testimoniano le circa seicento lettere scritte da Giosuè a Lidia nell'arco di sei anni: di cui adesso esce Il leone e la pantera. Lettere d'amore a Lidia, una selezione di 90 epistole. Questa scelta, a cura di Guido Davico Bonino, che accompagna il testo con un'acuta e documentata prefazione, rivela un Carducci assolutamente inedito: per la prima volta ricontrollate sugli originali conservati nel Museo-biblioteca Casa Carducci di Bologna, le lettere a volte censurate nella Edizione Nazionale del carteggio (uno dei più fascinosi epistolari dell'800, secondo Davico Bonino), ora sono state reintegrate nella versione originaria e riservano una sorpresa: Carducci appare nella insospettata veste di papà adulterino di Gino Piva (che prese il cognome dal marito di Lidia).
In un complicato intreccio, il futuro premio Nobel si trova così a fronteggiare numerosi ostacoli ai suoi incontri con Lina, peraltro molto fugaci e sporadici (sei in un anno), in alberghetti di periferia, con la possibilità di essere riconosciuti per via della sua crescente notorietà, mentre si scatenano le invidie e la caccia ai fedifraghi degli occhiuti colleghi universitari.
Il marito di Lina non compare quasi mai e non provoca le rimostranze della belva gelosa, ma Elvira Menicucci, la consorte che a Giosuè ha dato cinque figli, è ben presente: già dopo il primo abboccamento di Carducci ricatta, minaccia rappresaglie e ostilità, dopo aver avuto conferma frugando nelle carte del poeta. «Mia moglie... era purtroppo in sospetto. Trovò la prima copia della mia lettera a te che io riscrissi essendomici caduto sopra dell' inchiostro. Dimenticai di stracciare il foglio macchiato ma leggibilissimo».
Il lirico continuamente si arrovella nell'ipotesi di tradimenti da parte di Lidia con presunti (o veri) rivali, come l'amico scrittore Panzacchi, di cui per rabbia butta i libri nella spazzatura, il ministro del Regno Ruggiero Bonghi, definito sprezzantemente «Pancetta», o il senatore Linati, chiamato «strabico e imbecille». In queste lettere così veementi e così travolgenti, Carducci si confida a Lidia senza remore, le confessa tutti i suoi più riposti pensieri, come l'astio verso la famiglia paterna, per suo nonno, un vecchio «iniquo» e un fior di canaglia, per suo padre che ha ereditato dal suo genitore, «qualcosa del farabutto, del falso e del convenzionale», mentre rievoca la morte del fratello Dante per suicidio (ma si disse addirittura che venne ucciso accidentalmente dal padre durante un diverbio).
Lidia è inoltre la musa ispiratrice che lo porta a riversare sulla pagina i versi più frementi, dalle Primavere elleniche ad alcune Odi barbare, alle significative Alla Stazione e Ave per il figlio della partner segreta, Guido, morto a 15 anni.

Questa scomparsa precederà di pochissimo quella della stessa Lidia nel 1881 (a 43 anni), la cui epigrafe nel cimitero di Bologna sarà suggerita da Carducci. L'altra progenie, quella del «peccato», Gino, diventerà un animatore del nascente Partito socialista italiano e sarà a capo degli scioperi più combattuti e duri, tanto da essere ricordato in un canto popolare degli operai del Polesine: «Evviva Gino Piva / che col suo bel parlare / tutta la provincia / ha fatto ribellare». E non sapevano nemmeno che era nato sotto il segno del Leone.
Giosué Carducci nel 1865
Appendice
Carducci sul figlio adulterino
Così Carducci scriveva a Lidia del loro Gino: «Una delle mie infelicità è di non poterlo allevare io quel bambino, e mostrarlo a tutti per mio. E ora digli da parte mia tante di quelle cosine che tu sai dire, e chiedi anche a lui perdono da parte mia, e finisci con tanti baci... Dunque è proprio bellino quel Gino?» (18 maggio 1873). E in una lettera del 7 giugno 1874 domandava: «Perché non mi mandi un ritratto della piccola creatura?... Non puoi credere quanto mi abbia fatto pensare e sognare e delirare l’aneddoto... su le somiglianze». Ancora, il 28 febbraio 1875: «Tu parli della p.p. (piccola persona, ndr.) e la chiami il “mio” bambino, e ne descrivi tutte le dolci cose... in guisa che mi fai invidia, rabbia».

Tuttolibri La Stampa, 18 settembre 2010

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