16.6.15

Poeti. Una ragioniera di Bastia Umbra a Copenaghen (S.L.L.)

Sfogliando vecchie copie di “micropolis”, in cerca di articoli di Maurizio Mori, trovo questa scheda, da me stesso compilata, nella rubrica dei “libri ricevuti” di un numero del 2003. Ne approfitto per rileggere le sue poesie che tanto mi avevano colpito e il giudizio non muta, siamo di fronte a una voce alta, a un pensiero poetante. Cerco di Clarissa notizie fresche sul web e trovo, a malapena, la conferma di una cosa che vagamente avevo saputo (non so dire come, quando e dove) che cioè si era cimentata con la pittura, precisamente con una forma originale e rinnovata di op-art, di cui si trova un'icona cercando con Google. Ma il sito a Clarissa intitolato che dovrebbe contenere ben gli esiti delle sue ricerche non c'è. La pagina non esiste più e non c'è il modo di recuperarla. Voglio comunque pubblicare questa mia vecchia scheda anche come messaggio nella bottiglia, nella speranza che Clarissa legga, si faccia viva e mi renda partecipe delle sue nuove produzioni d'artista da cui molto mi attendo. In questo stesso blog, in altri post, pubblicherò alcune sue poesie. (S.L.L.)

Clarissa Verducci, Diario di realtà, Caltanissetta, Libroitaliano World, 2002.
L’autrice di questa raccolta di poesie è nata e cresciuta e si è diplomata in Umbria, a Bastia Umbra,ma vive dal 1991 a Copenaghen, dove si è laureata in Lettere Italiane e Storia delle Religioni e tuttora risiede. Da queste scarne indicazioni della copertina non si desume l'’età esatta della poetessa, che comunque dovrebbe avere meno di quarant’anni. I testi, disposti in ordine cronologico, coprono un arco temporale che va dall’autunno del 1993 all’estate del 2001.
Le prove più antiche appartengono al genere classico della “lirica” e il loro tema è una “situazione” cioè la dialettica che si realizza tra un “sito” (luogo e momento) e uno stato d’animo e l’avventura che ne consegue. Prevalgono i paesaggi nordici, statici e brumosi, ove le nebbie celano cose e persone, e lasciano intravedere “un niente misterioso e buio,/ un interrogativo sospeso a mezz’aria, / un ovattato buco fumoso” e determinano una “soffice, appannata densità”, ove i pensieri possono “fare il loro nido”. Il sole quando c’è “si tiene accucciato” e invecchia l’immagine della città al punto “che Copenaghen sembra Roma”. In queste poesie sempre sorprendono gli incipit, letterarissimi eppure nuovi (“Stasera sotto la nebbia / s’è nascosta la città”, “Se il sole splende arancio sopra i giorni”, il leopardiano “Tarda è l’alba e serena”; “E mi auguro piogge/ e ognimodo di tempesta”). Le poesie successive parlano d’amore e d’assenza ed alcune immagini per potenza rammentano l’antica Saffo, peraltro quasi esplicitamente citata. Si i può leggere infatti “Così adesso l’animo è battuto come la quercia al vento” e dall’assenza di eros (o, se si vuole, dall’eros dell’assenza) veder ergersi versi semplici e duri: “Quanto è amaro il pane dell’esilio. /Senza te non c’è più Patria, / senza te non ho più fame”.
Dentro questi temi e luoghi si fa strada una ricerca - moderna più che postmoderna - di tipo filosofico: la parola poetica cerca un inafferrabile senso dell’essere e dell’esserci, un dio “che forse, magari, chissà / esiste davvero”, ma che è stato negato dalla religiosità e ritualità, cerca comunque una “nicchia di conscio”, una “felicità che ci scovi e ci espugni”.
Strana poetessa Clarissa. Si comincia a leggere il suo libello incuriositi dalla storia di una giovane ragioniera bastiola, che va a Copenaghen a studiare letteratura e scienza della religione e lo si chiude pieni di immagini, concetti, dubbi. Una voce alta che meriterebbe ben altro che l’autoedizione.

micropolis marzo 2003 

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