31.7.15

Aldo Capitini. Memoria di un maestro (Pio Baldelli)

Ho conosciuto Aldo Capitini quando ancora ero un ragazzo: avevo sentito parlare di lui come di un uomo speciale, una specie di "saggio". Incuriosito, un giorno andai a trovarlo a casa sua e gli chiesi il permesso di seguire le sue lezioni. Dopo un breve colloquio, Capitini mi accettò come allievo-uditore. Quel giorno segnò una svolta nella mia giovane esistenza, incupita dal ricordo di un'infanzia difficile, tra una madre premurosa ma sempre alle prese con la penuria e un padre incattivito dall'abuso del vino.
Oltre che maestro e amico, Capitini divenne presto per me il padre che mi era mancato, e la sua cella-studio mi fece da seconda casa.
Seguivo le sue lezioni, accoccolato in un angolo di quella stanza situata nella torre campanaria del Palazzo Comunale di Perugia. Qui viveva Capitini, mite e fermo antifascista in un mondo di facinorosi aggrappati al potere. Il partito fascista lo aveva sospeso dall'insegnamento all'Università di Pisa in quanto era tra i pochi docenti che avevano rifiutato le regole e la tessera del regime.
Viveva come "sorvegliato" dalla polizia fascista e doveva campare modestamente di lezioni private: tuttavia - benché avesse conosciuto persino il carcere - non ho mai visto in Capitini segni di timore e di cedimento.
Nel piccolo spazio dello studio, alto su Perugia, si avvicendavano non solo gli allievi, ma anche le visite degli amici più cari: Walter Binni, Alberto Apponi, Ernesto Buonaiuti e, via via, tanti altri. Dal mio "osservatorio" nell'angolo mi sembrava di veder passare l'universo della cultura e dell'intelletto che ruotava attorno alla figura dell'amico paterno Capitini.
Dormivo spesso nella vecchia cucina e, ogni tanto, aiutavo l'anziano padre di Capitini a suonare le campane della torre. Il vecchio Capitini era infatti il "campanaro" del Comune, e in quell'epoca le campane si suonavano ancora tirando le corde a mano, cosa che richiedeva forza e abilità, per non beccarsi delle violente (e magari disastrose) "scampanate" in testa. In questo modo, non solo divenni allievo e amico filiale di Aldo Capitini, ma anche l'apprendista-campanaro per suo padre.
La coerenza di cui il mio maestro aveva dato prova con la ferma opposizione nonviolenta al fascismo, si manifestava anche in fatti e atteggiamenti apparentemente secondari ma proprio per questo particolarmente significativi.
Capitini era infatti rigorosamente vegetariano: senza arrivare all'estremismo di chi rifiuta addirittura prodotti di origine "animale" come uova e formaggi, si asteneva comunque da ogni tipo di carne e pesce.
La morte e la sofferenza degli animali gli risultavano inconciliabili con l'ideale della nonviolenza che, lungi dal ridursi ad una teoria utopica, significava per lui esempio e pratica quotidiana, da vivere ad ogni livello.
Non alto, ma forte di costituzione, Capitini era un vigoroso camminatore. Amava le lunghe passeggiate nella campagna aperta e il suo entusiasmo non tardò a contagiare il giovane allievo che ero io. Il gusto per la natura e le camminate all'aria libera imparato da Capitini mi accompagna ancora, anche se sul piano della resistenza ho perso qualche colpo. E guardo con affetto - e quasi con tenerezza - una foto datata 1960, pubblicata dieci anni fa nel volume Sessantotto-mostra foto documentaria (Libreria Rinascita, Firenze), a pagina 50, in alto: rappresenta un momento della Marcia della Pace, con Aldo Capitini in primo piano, sotto un grande striscione che recita: "Marcia della Pace - per la fratellanza dei popoli, Perugia-Assisi". Lo striscione è retto da due giovani: ignoro il nome di quello a sinistra, con la faccia in ombra, ma conosco bene quello a destra - sono io.. Alle nostre spalle, la folla dei "marciatori" si snoda sullo sfondo della bella campagna umbra.
La nascita del COS (Centro di orientamento sociale) mi vide sempre al fianco di Capitini: il maestro mi affidò addirittura parte dell'organizzazione. I "lunedì del COS", svolti in un ambiente del Palazzo Comunale (Sala dei Notari- N.d.R.), divennero presto una vera e propria istituzione della vita sociale di Perugia. A settimane alterne si trattavano temi di vita quotidiana cittadina e problemi nazionali e internazionali.
La gente affluiva numerosa, partecipava con vivo interesse al dibattito: molti che, in passato, non avevano mai avuto modo di esprimere in pubblico il proprio punto di vista su vicende politiche o economiche, imparavano a prendere la parola, a perdere il timore della "brutta figura" di fronte agli altri, a sviluppare il giudizio critico, a dare un contributo personale alla vita pubblica.
Intervenivano studenti e insegnanti, ma anche casalinghe, lavoratori e pensionati: il COS non solo "informava" su quanto stava accadendo a Perugia, in Italia e all' estero, ma, soprattutto, "formava" i cittadini di ogni estrazione sociale educandoli alla partecipazione alla "res publica" e al rispetto dell'opinione altrui. In questo senso, i "lunedì del COS" voluti da Aldo Capitini erano lezioni di nonviolenza e di democrazia.
Nei lunghi anni d'insegnamento universitario ho colto ogni occasione per far conoscere agli studenti la figura e l'opera del mio maestro e amico paterno. Parlando della mia esperienza personale e leggendo brani di qualche opera significativa (ad esempio Le tecniche della nonviolenza) ho tentato di avvicinarli - almeno alcuni di loro - ad un messaggio che, alla luce delle convulsioni del mondo contemporaneo, appare più vitale e necessario che mai.
La nonviolenza insegnata da Capitini resta forse l'unica bussola capace di guidarci moralmente indenni fuori dai meandri di questo fine secolo.

micropolis, maggio 1998

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