23.7.15

Caporalato. In Puglia sempre schiavi (Chiara Spagnolo)

Un sistema (omicida) che tutti conoscono ma nessuno denuncia

Guadagnano venticinque euro al giorno. Raccolgono pomodori e angurie, chini per dodici ore sotto il sole cocente. Arrivano dall’Africa sui barconi in cerca di libertà e finiscono a lavorare come schiavi nei campi del Salento. A una manciata di chilometri da spiagge affollate e discoteche, dai porti in cui sono ormeggiati gli yacht dei miliardari e dagli stabilimenti balneari in cui i giovanissimi di mezza Italia trovano il paradiso del divertimento. Per i migranti impiegati come stagionali nelle aziende agricole di Nardò e del suo hinterland a poca distanza da Lecce, invece, Salento è sinonimo di inferno.
Dramma che ogni anno ritorna puntuale come l’estate e si concretizza grazie a una rete di silenzi istituzionali e connivenze. Delle aziende agricole in primis. Come raccontano i numeri della stagione 2014, che parlano di 152 contratti di lavoro regolari registrati alle liste di collocamento a fronte di una presenza di almeno 500 immigrati. Per la maggior parte di loro il lavoro è un favore concesso dal caporale di turno, che mette insieme le sue squadre e ogni mattina fa la spola tra i casolari diroccati per raccogliere i braccianti e portarli sui campi. Ai “capi neri” bisogna pagare tutto: l’affitto del posto letto (circa 200 euro a stagione) su materassi poggiati a terra in strutture fatiscenti prive di servizi igienici dove la doccia si fa con le taniche riempite alla stazione di servizio e i bisogni corporali sotto gli ulivi, il passaggio in auto verso il posto di lavoro (5 euro), il cibo per il giorno (4 euro per un panino e due bottigliette d’acqua) e quello per la sera (altri 4 euro ai ristoranti completamente abusivi nei casolari). Al tramonto a chi guadagna 20-30 euro al giorno, non restano che pochi spiccioli. E la paura di non essere richiamati il giorno successivo. E di dover sopportare soprusi e vessazioni da parte di quegli intermediari che tre anni fa finirono in carcere e oggi sono di nuovo a Nardò, a fungere da anello di congiunzione tra aziende agricole che vogliono risparmiare sulla manodopera per incrementare i profitti e disperati che vagano da una parte all’altra dell’Italia seguendo il ritmo delle stagioni e delle colture.
I sudanesi, tunisini, ghanesi, algerini che ogni anno tornano in Salento sono gli stessi che transitano dalla porta di Lampedusa, d’inverno lavorano in Calabria, nella Piana di Gioia Tauro o nella Sibaritide per la raccolta delle arance, e poi si spostano nel Foggiano per caricare i camion di pomodori. Schiavi in ogni angolo della Penisola, senza tutele e senza diritti. Soprattutto senza santi protettori nei palazzi del potere.
La Cgil – che insieme ad associazioni di volontariato da anni si batte per portare la situazione nell’alveo della legalità e dell’umanità – punta il dito contro macroscopiche omissioni “da parte degli organi ispettivi della Direzione territoriale del lavoro, dell’Inps e delle forze dell’ordine, che attuano controlli inadeguati e insufficienti”. Accertamenti scarsi e in più di un’occasione annunciati preventivamente agli imprenditori (come dimostrano le intercettazioni di un’inchiesta condotta dalla Procura di Lecce qualche anno fa), che hanno tutto il tempo di nascondere situazioni di eventuale illegalità. Dopo le pressioni degli anni scorsi, seguite alla rivolta dei braccianti del 2011, i tentativi di regolamentazione del mercato del lavoro hanno sortito effetti apparentemente positivi con l’introduzione delle liste di prenotazione, a cui le ditte dovrebbero attingere per assumere manodopera regolare, e la firma di un Protocollo sulla raccolta dei prodotti stagionali tra sindacati e associazioni datoriali. In teoria conquiste importanti per i braccianti, nella pratica poco più che pezzi di carta, sistematicamente ignorati dagli imprenditori che regolarizzano solo una parte dei migranti per mostrare una parvenza di regolarità all’atto del controllo e impiegano gli altri completamente in nero. Senza garanzie e senza tutele.
E, da quest’anno, senza nemmeno la parvenza dell’assistenza sanitaria che nelle scorse stagioni veniva fornita dal camper di Emergency in virtù di una convenzione con la Regione Puglia. Nel 2015 niente firma e dunque niente medici nei campi. Solo volontari che provano a tappare le falle di un sistema che non funziona. Nel quale tutti sanno e nessuno denuncia.

Narcomafie, 22 lug 2015

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