7.7.15

“Encuentro” a Perugia. Gabo e l'utopia (S.L.L.)

Sembra un funerale. Di quelli laici, senza tensione, in cui, uno dopo l'altro, i sopravvissuti raccontano il morto dal proprio punto di vista e quasi sempre propongono uno squarcio, un aneddoto, una storiella, che ne documenti la natura e ne fissi il carattere. E' la cerimonia conclusiva dell'encuentro, la festa perugina della letteratura in lingua spagnola, che si svolge il 10 maggio alla Sala dei Notari, mentre in altre sale della città si festeggia la mamma. Vi partecipano alcuni degli scrittori che sono stati ospiti della festa.
Il titolo sulle locandine è Omaggio a Gabriel Garçia Marquez – Lo scrittore e il giornalista; ma è dal rapporto di ciascuno con Gabo e le sue opere (soprattutto con i Cent'anni di solitudine) che si parte.
Comincia l'italiano Arpaia che fa discendere da quella lettura la scelta di vivere di letteratura, di libri propri, di consulenze editoriali. Conquista poi la scena Paco Ignacio Taibo II, il messicano che ama Salgari, figlio d'arte e autore della bella biografia del Che che ne valorizza la tenerezza: con Marquez ebbe rapporti fin da bambino e ne rammenta persino le mangiate. Altri raccontano della resistenza dello scrittore, negli ultimi anni di vita, alla malattia che ne distruggeva la memoria. Uno dice di quando Mitterand, appena eletto all'Eliseo, al pranzo di gala per l'insediamento mette l'uno accanto all'altra Gabo e Margaret Thathcher, la lady di ferro ch'era già primo ministro. Costei chiede al suo vicino cosa faccia di preciso nella vita e Marquez risponde: “Io lo scrittore. E Lei?”.
Una storia curiosa racconta la Grandes, cui nel maggio 2005, per la sua festa di compleanno, un cantante, amico comune, regala la presenza a sorpresa dello scrittore, un vero e proprio mito, chiedendo che però non lo si soffochi con gli eccessi di ammirazione e di attenzione. L'operazione- discrezione riesce benissimo. La scrittrice ascolterà l'indomani dalla sua “editora” Beatriz de Moura il commento di Marquez, felicissimo di aver partecipato alla festa: “Sono tanti anni che non vado in un posto in cui facciano così poco caso a me”.
Nell'omaggio della Sala dei Notari trova spazio l'attenzione di Gabo al giornalismo. Marquez non solo lo praticò, ma istituì a sue spese una Fondazione per migliorare la qualità dei facitori di gazzette e telegiornali. Non manca qualche spunto critico: è ora di leggere Marquez e i Cento anni fuori dall'abusata categoria del realismo magico, dice più d'uno giustamente, e di ritradurre le opere dello scrittore colombiano, giacché nelle versioni italiane correnti si avverte troppo spesso un lessico aulico, assai lontano da quello di uno scrittore che pretendeva di essere compreso anche dai tassisti e spesso ci riusciva.
In verità l'omaggio più significativo a Garçia Marquez nei tre giorni ispanici di Perugia non è arrivato alla fine, ma all'inizio, venerdì 8, quando all'Umbrò Taibo II e Jorge Volpi hanno risposto alle domande di due classi scolastiche, una del Liceo classico, una di un Liceo Scientifico. Quei ragazzi sembravano molto interessati, oltre che ben preparati dai loro insegnanti con la collaborazione di encuentro. I due scrittori hanno spiegato come Marquez e altri scrittori del cosiddetto “boom” latino-americano abbiano pesato, in positivo e in negativo, sulle generazioni letterarie che li hanno seguiti: “In America Latina era come avere viventi Omero e Dante. Quei grandi avevano dato valore al nostro lavoro di autori, ma lo condizionavano fortemente. Da noi tutti pretendevano un realismo magico, che forse non c'era neanche in Gabo e a maggior ragione non c'era negli altri scrittori che arbitrariamente a lui si accostavano attraverso l'etichetta del boom”, i Fuente, gli Onetti, i Vargas Llosa. Volpi racconta come per contrastare il “boom” insieme ad altri amici scrittori messicani e cileni avesse fondato negli anni 90 del Novecento il “crac”, onde segnalare una netta frattura con il passato.
Inevitabilmente, chiacchierando con i ragazzi, Volpi e Taibo II arrivano al tema dell'impegno politico in Garçia Marquez e nella letteratura latino-americana. Jorge Volpi, che è nato nel 1968, spiega come la sua generazione di scrittori, come pure quella ancora più giovane, non abbiano esperienza della militanza totalizzante dei predecessori. Taibo è del 1949; perciò, dopo un elogio dell'utopia, si mette a parlare del Che, del suo amore per Salgari, del libretto verde che portò seco nella guerriglia boliviana ove aveva copiato a mano le poesie preferite. L'autore di Senza perdere la tenerezza avanza un'ipotesi ardita, che nell'America latina, accanto alla sinistra pura e dura che non ama romanzi e poesie, ce ne sia stata e sia viva e operosa un'altra, più forte, che, meno influenzata dalla stalinistica diffidenza verso intellettuali e letterati, va a fare la rivoluzione portandosi appresso i libri del cuore e partecipa alla lotta per la giustizia sociale con quel qualcosa in più che solo la letteratura può dare.

micropolis, maggio 2015 

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