4.7.15

La politica “impresentabile” (Livio Pepino)

C’è chi – dallo scranno della presidenza del Consiglio e da pulpiti mediatici di primo piano – afferma che la politica ha voltato pagina, che l’etica è ritornata nell’amministrazione della cosa pubblica, che i corrotti e i mafiosi saranno inesorabilmente rimossi e puniti e che l’Italia può guardare con fiducia al futuro. Intanto non c’è (quasi) amministrazione pubblica esente da scandali, gli arresti e le incriminazioni di uomini politici e funzionari pubblici si susseguono con cadenza quotidiana, Roma è identificata sempre più come capitale della corruzione più che del Paese.
Chi ha responsabilità politiche e di governo si affanna a dire che i colpevoli sono altri: quelli che hanno governato prima, i politici della parte avversa, i compagni di governo o di partito appartenenti a gruppi o cosche diversi… A volte è così. Ma ciò non modifica la realtà e mostra la strumentalità e l’ipocrisia delle affermazioni che parlano di nuovo corso della politica. Almeno di quelle provenienti di chi è partecipe (direttamente o indirettamente) del sistema di governo che si perpetua da decenni con rinnovamenti di pura facciata. Sono cambiate le parole, è vero. Ma non i fatti, i comportamenti, le scelte. Non amiamo la demagogia e sappiamo che non ci sono bacchette magiche e che i cambiamenti richiedono tempo. Ma sappiamo anche che i processi positivi si attivano solo con gesti forti e coerenti. Ed è proprio questo che manca.

Due esempi per tutti.
Il 29 maggio scorso, due giorni prima delle elezioni regionali, la Commissione antimafia rende noto l’elenco dei candidati la cui presenza nelle liste è in contrasto con il codice etico approvato il 25 settembre 2014 dalla stessa Commissione, all’unanimità e con squilli di tromba sul cambio di marcia nel risanamento della politica. Tra gli “impresentabili” (come sono definiti dalla stampa i candidati non in regola con il codice etico) c’è il candidato governatore della Campania per il Partito democratico Vincenzo De Luca (già destinato alla sospensione, una volta eletto, ai sensi della cd legge Severino per avere riportato una condanna in primo grado). Le reazioni di De Luca e dei dirigenti del suo partito sono rabbiose: il primo afferma che l’unica impresentabile è la presidente della Commissione; i secondi parlano di strumentalizzazione della funzione e di metodo scorretto di lotta politica. Scendono in campo anche gli immancabili costituzionalisti di riferimento sostenendo, ex cathedra, che si è violato il diritto al contraddittorio. La cosa ha dell’incredibile e dimostra in modo scolastico lo scarto tra le parole (pronunciate all’atto della approvazione del codice etico) e i comportamenti (seguiti alla applicazione dello stesso).
Che cosa è accaduto, infatti? È accaduto che la Commissione antimafia ha segnalato che De Luca è imputato avanti al Tribunale di Salerno per il delitto di concussione continuata di cui agli articoli 110, 317 codice penale (reato per cui c’è stata rinuncia alla prescrizione già maturata). Ciò in applicazione degli articoli 1 e 4 del codice etico, secondo cui “i partiti che aderiscono alle previsioni del presente codice si impegnano a non presentare come candidati alle elezioni coloro nei cui confronti, alla data di pubblicazione della convocazione dei comizi elettorali, sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio allorquando le predette condizioni siano relative [tra l’altro] al reato di concussione (art. 317 c.p.)” e “la Commissione verifica che la composizione delle liste elettorali corrisponda alle prescrizioni del codice”.
La pendenza del processo penale è vera (anche se i più hanno preferito ignorarlo) e, dunque, la segnalazione della Commissione antimafia era doverosa essendo di tutta evidenza che la «verifica» ad essa demandata è finalizzata a rendere pubbliche le circostanze accertate. Né è stato impedito il contraddittorio: è il partito interessato, al contrario, che avrebbe potuto e dovuto, all’atto della presentazione (e dunque senza aspettare le verifiche della Commissione) “rendere pubbliche le motivazioni della scelta di discostarsi dagli impegni assunti con l’adesione al presente codice di autoregolamentazione”. La conclusione è obbligata: ancora una volta le regole sono state introdotte per fare bella figura e per non essere applicate, la trasparenza è un inutile impaccio e chi la pratica è un irresponsabile avversario politico. Per non dire delle giustificazioni addotte ex post, secondo cui se fosse stato scartato dal Pd De Luca si sarebbe candidato comunque e, in ogni caso, il consenso degli elettori è un lavacro di ogni presunta impresentabilità (sic!).
Qualche giorno dopo un sottosegretario del Governo è raggiunto da una comunicazione giudiziaria come indagato nell’ambito dell’inchiesta per la sottrazione di ingenti fondi pubblici destinati al centro per i rifugiati di Mineo (reato, inutile sottolinearlo, doppiamente odioso). Il sottosegretario proclama la propria totale innocenza e il presidente del Consiglio afferma solennemente, invocando i principi del garantismo, che non possono essere dei semplici avvisi di reato a imporre le dimissioni o l’allontanamento di un uomo di Governo. Difficile comprendere cosa c’entra il garantismo, che è una regola fondamentale del processo penale e non della politica, nella quale vale (dovrebbe valere) piuttosto l’antico principio secondo cui non solo Cesare ma finanche sua moglie deve esente da sospetti… Ma facile cogliere che il “nuovo” può ben essere uguale al “vecchio”, quando non peggiore.

da "Narcomafie - la rivista" - Luglio 2015

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