31.8.15

"Enfant prodige". Da Gesù a Picasso e oltre

Il piccolo Mozart
Non è facile per nessuno scoprirsi enfant prodige. Né per il bambino illuminato, tanto meno per chi deve stargli accanto. Anche Gesù di Nazareth, il bambino più prodigioso al quale riusciamo a pensare, avrebbe abusato dei suoi talenti. I quattro vangeli canonici dicono poco (Luca e Matteo) o nulla (Giovanni e Marco) sugli “anni perduti” di Cristo. Tra la mangiatoia e i suoi trent'anni c'è solo quella saggia conversazione con i Dottori al Tempio: «Perché mi cercavate?» - risponde il dodicenne alla madre che lo aveva perso di vista per un giorno intero - «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Dopodiché, assicura Luca (2:52) Gesù «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini». Sarà.
Il vangelo (apocrifo) di Tommaso racconta una storia diversa. Gesù è un bambino e quindi naturalmente capriccioso. Così quando il figlio dello scriba Anna rovina le piccole dighe di foglie e legnetti che aveva costruito su un torrente, Gesù lo «secca come un albero». E i genitori addolorati vanno a lamentarsi con Giuseppe. Non sono gli unici. Altri genitori addolorati - sottolinea Tommaso - vanno a lamentarsi con Giuseppe quando ritrovano il loro piccolo senza vita. Correndo aveva urtato Gesù che lo condannò all'istante: «Non proseguirai per la tua strada». E così fu.
Poi Gesù diventa più magnanimo, con un soffio salvala vita a Giacomo che era stato morso in testa da una vipera. Resuscita grandi e piccini. Fa sfoggio del suo talento miracolistico, un po’ come Mozart, che a cinque anni compone un minuetto per clavicembalo per sbalordire - e mortificare - la prodigiosa sorella Nannerl. E s’incammina verso la Passione dopo essere passato da spettacoli d’arte varia. Inevitabile conseguenza della difficile gestione del talento, che sta all’uomo come l’abbondanza di risorse naturali a un Paese: un paradossale fardello. Non stimola l'ingegno e non aiuta a crescere, come ci ricorda la risata chioccia che Milos Forman ha dato al suo Amadeus.
«Tutti ibambini sono degli artisti nati, il difficile sta nel fatto di restarlo da grandi» secondo Pablo Picasso. Senz’altro. Ma ancora più difficile per i bambini nati artisti è diventare grandi. Non fu così per lui, peraltro, bambino prodigio che invecchiò da bullo giocoso, prolifico e ricco. Di Picasso Gertrude Stein diceva che «pitturava come gli altri bambini scrivevano l’abbiccì. Era nato facendo disegni, non disegni da bambino ma disegni da pittore». Pronunciò la parola matita (“lápiz”) prima della parola mamma. Al papà pare stesso antipatico. Difficile biasimarlo. José Ruiz y Blasco era professore alla Scuola delle Arti e dei Mestieri a Malaga. Durante il tempo libero dipingeva e decorava sale da pranzo: foglie, fiori, pappagalli. Amava i colombi. Smise non appena vide i primi schizzi del figlio. Secondo un’altra versione dei fatti, ne sfruttò i talenti affidandogli dettagli che non riusciva a eseguire con la stessa cura.
Il bambino prodigio si crea il vuoto intorno. In prima elementare Massimo D’Alema boicottava l’ora di religione accusando la maestra di fare propaganda democristiana. Inquietò anche Palmiro Togliatti, che lo incontrò quando aveva nove anni. Massimo era il rappresentante dei pionieri della sezione Monteverde a Roma e pronunciò un discorso che volle scriversi da sé. «Questo non è un bambino, è un nano» avrebbe detto il Segretario del Pci, stando ad altri vangeli apocrifi.
Nell’intuizione (vera o inventata) del Migliore rivediamo quelle teste da vecchi raggrinziti su dei corpo da bambino - putti, angioletti, lo stesso Bambinello - che a lungo passarono per infanti nelle tavole medievali. Non era grettezza di pennello, più semplicemente - come ha spiegato lo storico francese Philippe Ariès (Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, Roma-Bari, 1981) l’infanzia ancora non era stata scoperta. L’età era irrilevante. Non vi era coscienza dei bisogni che distinguono il piccolo dall’uomo fatto. Il bambino era un adulto in miniatura. Forza lavoro in miniatura. E così, per certi versi, passato il medioevo è rimasto vero per i bambini prodigio, tanto più se vezzeggiati proprio perché bambini.
Non a tutti è andata male, la storia racconta anche di piccoli geni diventati saggi. Il grande matematico Carl Friedrich Gauss a nove anni faceva in un batter d’occhio la somma di tutti i numeri da uno a cento. Pascal prima di scommettere sull’esistenza di Dio a dodici anni aveva risolto le prime 23 teorie di Euclide. John Stuart Mill a otto anni leggeva i classici greci e latini, a tredici gli economisti classici Adam Smith e David Ricardo e a venti, prostrato, cadde in depressione. Si riprese e diventò rettore a St. Andrews nonché padrino di Bertrand Russell (che meditò a lungo e mediocremente fino alla soglia del secolo).
Perfino nel mondo dello spettacolo, tra tante piccole stelle devastate spunta qualche storia a lieto fine, come quella del monello chapliniano Jackie Coogan. Il primo divo-bambino della storia del cinema da minorenne aveva guadagnato intorno ai 4 milioni di dollari. Però non aveva visto un centesimo perché, come rivendicava la madre «Ogni dollaro guadagnato da un bambino, finché non ha compiuto 21 anni, appartiene ai suoi genitori». E Jackie, inoltre «era un bambino cattivo». Tanto cattivo da farle causa. Ottenne indietro poco denaro, mamma l’aveva speso quasi tutto, ma il suo caso portò all’adozione della prima legge a tutela dei bambini-prodigio dello schermo, il California Child Actor's Bill, o Coogan Act. Jackie concluse la carriera da saggio Zio Fester nella serie Tv della famiglia Addams. Per gli altri c’è stata la Salvezza, Palazzo Chigi, o le cliniche di rehab.

“pagina 99”, 8 novembre 2014

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