2.8.15

Federico Chabod. Gli ideali di un realista (Bruno Bongiovanni)

L'aveva scampata bella. Chabod, studente presso la Facoltà di Lettere di Torino, aveva accettato di sostenere vari esami per conto di uno studente della Facoltà di Giurisprudenza. Fu scoperto. E rischiò di vedere spezzata, prima ancora d’iniziarla, la carriera accademica. Riuscì a salvarlo Pietro Egidi, professore di storia moderna. Chabod, dopo di allora, non commise più falli. Anche se, nel 1925, provetto alpinista, organizzò l’espatrio, attraverso il Piccolo San Bernardo, di Salvemini. Redattore dal 1928 dell’Enciclopedia Italiana, pubblicò nel 1934 Lo Stato di. Milano nell’impero di Carlo V e nel 1935 ebbe la cattedra. Collaboratore dell’Ispi, divenne poi, senza mai abbandonare il Rinascimento, un profondo conoscitore della politica estera italiana.
Risale al 1951 la sua celebrata Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896. Nel frattempo (morto assai presto Egidi) era stato allievo di Volpe, sodale di studiosi come Maturi e Morandi, attivo nella Resistenza, uomo politico in Val d’Aosta per un periodo importante nella storia della piccola regione, maestro indiscusso di generazioni di studenti (che molto lo ammirarono), autore di corsi memorabili e pubblicati postumi (come quello su L’Italie contemporaine, tenuto alla Sorbona nel 1950 e destinato a vendere, in varie ristampe, presso Einaudi, 200.000 copie). Si consideri, inoltre, che negli anni cinquanta diresse il prestigioso Istituto Croce (fucina formidabile di talenti storiografici) e fu attivissimo tessitore di politiche accademiche. Non si può certo sostenere che la storiografia italiana, prima o dopo la morte, lo espunse. L’editore Einaudi, tra l’altro, fece uscire le sue Opere già a partire dal 1964.
Nato nel 1901 e morto prematuramente nel 1960, Chabod, per la sua multiforme attività, è stato forse, dopo Croce, il più studiato storico italiano del Novecento. Non meno di Salvemini e Volpe, che pure, oltre a una vita assai più lunga, ebbero, su fronti contrapposti, una “politicità” esplicita ben più visibile della sua. E probabilmente più di Cantimori, Momigliano, Omodeo, Salvatorelli, Sestan e Venturi. Ne è prova il fiorire di riflessioni e ricerche. Vengono infatti ora pubblicati, a cura di Marta Herling e Pier Giorgio Zunino, gli atti del convegno tenutosi ad Aosta in occasione del quarantennale della morte. Al centro vi sono, oltre a Machiavelli e alla politica estera, oltre alla ricezione (assai ampia) della sua opera storiografica e ad alcuni aspetti del suo pensiero politico, quegli scritti sull’idea di nazione e sull’idea d’Europa che germinarono dalle lezioni del 1943-44. Nell’approccio di Chabod allo scenario internazionale vi è un impasto di realismo (con tanto di attenzione per la politica di potenza) e di mai sopite pulsioni ideali. Ciò lo accomuna a personaggi, diversissimi tra loro e da lui, come Croce, Gentile, Gobetti e Gramsci.
Particolarmente utile, a questo proposito, in particolare per il rapporto con Croce, è la ristampa, peraltro accresciuta, del libro di Sasso, già uscito nel 1985 con lo stesso titolo e costruito intorno al Profilo di Federico Chabod, pubblicato su rivista nel 1960 e in volume nel 1961. Il Carteggio del 1959, ora dato alle stampe, rende nota, infine, la rottura maturata tra Chabod e Momigliano. All’inizio vi era stato un necrologio, giudicato da Chabod “poco simpatico”, scritto da Momigliano in occasione della morte del filosofo Carlo Antoni. Un necrologio che ancor oggi appare in effetti supponente. Ne scaturì un acido scambio epistolare che ebbe a che fare con lo storicismo crociano, ma anche, in una sorta di effetto-valanga, con la “nazificazione” d’Italia. Quand’era cominciata? Per Chabod nel 1938, con gli italiani “brava gente” restii ad accettarla. Per Momigliano, sul terreno della genesi del razzismo, già nel 1933, o prima ancora. Per “tono” e per “stile” si sta dalla parte del pur brusco Chabod. Ma la storiografia più recente tende a dar ragione a Momigliano.


L'Indice, dicembre 2002

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