10.8.15

Nazismo. Il regime che piaceva alla gente (Gustavo Corni)


Autore di pionieristici studi sul ruolo della Gestapo nella società tedesca durante il Terzo Reich, Gellately prosegue e amplia il suo percorso di ricerca finalizzato a valutare le dimensioni e la qualità del consenso della popolazione tedesca verso il regime. Il suo nuovo libro (Robert Gellately Il popolo di Hitler, Longanesi, Milano 2002) si apre con la recisa affermazione che il regime perseguì in primo luogo il consenso della popolazione, oltre e più che la repressione del dissenso; e - secondo l’autore - tale risultato venne largamente raggiunto. Si trattò di un consenso “fluido piuttosto che solido, attivo piuttosto che passivo, diversamente articolato a seconda del contesto e delle questioni in gioco, e costantemente in fieri”. La prospettiva di analisi rompe con uno degli assunti principali delle teorie del totalitarismo, secondo le quali le dittature riuscirono a mantenere la coesione sociale attraverso massicce dosi di repressione - l’uso del terrore - e di manipolazione.
Robert Gellately
Certo, Gellately non disconosce l’incidenza di questi fattori, ma mette in primo piano la consonanza fra regime e popolazione su molte questioni. Una consonanza cementata nella primissima fase dai successi conseguiti sul terreno economico: l’eliminazione della disoccupazione di massa, percepita fra il 1930 e il 1933 come una enorme piaga sociale, aprì a Hitler un credito da parte della gente. Gellately dimostra il suo assunto servendosi - con piena padronanza - di fonti archivistiche provenienti da varie regioni del Reich e prevalentemente di origine poliziesca. Ma qui, più che alla Gestapo, l’autore dedica la sua attenzione alla Kripo, la polizia criminale, di cui dimostra la consonanza con il sentire della gente: i provvedimenti per assicurare l’ordine e la legalità dopo il caotico triennio 1930-1933 ottennero un largo consenso da parte della popolazione, così come i molteplici interventi discriminatori ai danni di tutte le categorie di marginali, dai sinti e rom agli omosessuali, dai giovani appassionati di musica jazz agli ebrei.
La grande maggioranza della popolazione era attratta dalla promessa di realizzare una “società libera dai conflitti”. Per raggiungere tale obiettivo si era disposti a rinunciare alle garanzie dello stato di diritto. Non solo; ampliando la portata della sua precedente analisi sulla delazione, Gellately dimostra quanto fosse diffusa fra la gente la disponibilità a collaborare con gli organi di polizia, ben sapendo che questi ultimi operavano con procedure straordinarie. La collaborazione attiva della gente divenne tanto più necessaria dopo lo scoppio della guerra, allorché i corpi di polizia sul suolo del Reich dovettero essere sguarniti per controllare i territori occupati.
Gellately mette in luce il radicalizzarsi dello stato poliziesco negli anni della guerra, parallelamente al consolidarsi della collaborazione di molti tedeschi, spinti - nel compiere il loro dovere di cittadini delatori - da molteplici motivi, solo parzialmente riconducibili all’ideologia. Un punto cruciale dell’analisi di Gellately è quello della pubblicità delle azioni repressive del regime. A differenza di quanto si è portati a credere (suffragati dalla storiografia), i provvedimenti coercitivi, come l’istituzione di campi, i processi e le esecuzioni capitali comminati dai famigerati Tribunali del popolo, non erano tenuti segreti alla gente, ma ampiamente divulgati. Lo stesso vale per la politica antiebraica, che si svolgeva alla luce del sole, almeno fino alla fase finale dello sterminio. Anche se la vera e propria operazione di eutanasia venne messa in atto nel segreto, il suo contesto ideologico aveva avuto una larga divulgazione, con decine di migliaia di assemblee pubbliche; divenne anche oggetto di insegnamento nelle scuole. A questo proposito, Gellately avanza la tesi secondo la quale l’operazione di eutanasia non sarebbe stata bloccata dalle reazioni negative del clero cattolico e di settori dell’opinione pubblica; semplicemente, essa avrebbe raggiunto il suo scopo, fissato dallo stesso Hitler: 70.000 persone dovevano essere eliminate e 70.000 furono effettivamente le vittime.
Al di là della dubbia validità di quest’ultima affermazione, che Gellately non suffraga con prove indiscutibili, lo storico americano è invece in grado di dimostrare efficacemente l’interazione fra azioni repressive e discriminatorie del regime e reazione della gente. I nazionalsocialisti non operavano assecondando ciecamente i propri principi ideologici, ma tenevano conto delle reazioni della gente. Questa interazione sfociò in una radicalizzazione, nel corso della guerra: il trattamento delle popolazioni nei territori occupati, e dei lavoratori coatti, soprattutto orientali, fu anche l’effetto di una larga collaborazione fra autorità e “tedeschi comuni”. Capovolgendo tesi largamente diffuse nella storiografia, secondo le quali i cittadini si dimostravano tolleranti nei confronti dei lavoratori coatti, anche perché (soprattutto nelle campagne) il loro lavoro era essenziale, Gellately dimostra l’entità della collaborazione fornita alle politiche repressive e oppressive del regime; e conclude: “Quest’atmosfera delatoria avvolgeva l’intero paese”.
Nella fase conclusiva della guerra, a partire dal tardo autunno del 1944, quando divenne evidente che la guerra era persa, si scatenò un’orgia di violenze contro gli stessi tedeschi, intesa a punire qualsiasi tentennamento.
Gellately offre una serie di elementi nuovi su questa fase, poco studiata dalla storiografia, evidenziando come, accanto a un crescente “tirarsi indietro” da parte della gente, non siano mancati casi di piena collaborazione. Considerato che le sorti belliche erano ormai segnate, ciò dimostra ulteriormente gli assunti del lavoro di Gellately. “Tirando le somme, una maggioranza della popolazione sembrava disposta a convivere con l’idea di una società posta sotto sorveglianza”. Le stesse pratiche repressive attuate dal regime, infatti, conquistarono ben più consensi di quanto abbiano invece contribuito a nutrire distacco e opposizione. In conclusione, il libro di Gellately offre una prospettiva di analisi e di interpretazione largamente innovativa, che, pur non essendo sempre pienamente corredata da adeguati riscontri, apre nuove piste di ricerca in merito al nodo cruciale del consenso e — conseguentemente - ripropone in termini nuovi la questione della “colpa collettiva” del popolo tedesco.

L'Indice”, dicembre 2002

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