16.9.15

1907. Lenin e Trotsky a Londra (H. N. Brailsford)

Henri Noel Brailsford (1873 -1958), scrittore e giornalista, fu un sostenitore del Labour Party inglese, impegnato in molte battaglie di libertà, inclusa l'indipendenza dell'India (era amico personale di Gandhi e Nerhu). Fu, tra l'altro, autore di un importante libro sulla Russia sovietica (1920-1927) e direttore del “New Leader”. Il testo che segue è la trascrizione di una conversazione radiofonica diffusa dalla BBC nei primi mesi del 1948. (S.L.L.)






Fu uno strano complesso di eventi quello che portò Lenin e Trotsky a Londra nel 1907, ed una fortunata occasione quella che mi mise in contatto con essi.
Che mondo diverso era quello di quarant’anni fa! Regnavano ancora tre imperatori. Era certo un’età più umana di quella odierna, ma sopravviveva ancora un dispotismo crudele. Nella nostra ingenuità, parecchi di noi immaginavano che quella degli Czar fosse l’ultima e la peggiore tirannide che affliggesse l’umanità, e noi desideravamo vederne la fine.
A quel tempo i marxisti erano divisi in due partiti in contrasto: i menscevichi credevano che nella Russia retrograda la lotta per la libertà dovesse seguire la via segnata dalla rivoluzione inglese e francese. Anzitutto lo Czarismo doveva essere abbattuto per mezzo di un’alleanza coi liberali, appartenenti alle classi medie e superiori; in seguito, in una repubblica democratica, i lavoratori avrebbero condotto la lotta per realizzare il socialismo. I bolscevichi, sotto Lenin, respingevano sprezzantemente l’idea di un’alleanza col liberalismo, e credevano che, con l’aiuto dei contadini, gli operai potessero procedere immediatamente alla rivoluzione sociale.
Io conobbi parecchi membri di questo partito, che vivevano esuli a Londra. Uno di questi era Ivan Maisky; un altro era Fedor Rothstein, un abile giornalista, che partecipava con me alla redazione del vecchio “Daily News”, ora divenuto il “News Chronicle”.
Un partito senza denari
Questo Fedor Rothstein una mattina del maggio del 1907 entrò nel mio ufficio con un aspetto preoccupato ed ansioso; e mi fece trasalire con la richiesta di trovargli immediatamente chi o regalasse o prestasse la somma di 500 sterline. Il partito socialdemocratico russo - mi disse - ne aveva bisogno e non poteva aspettare un giorno di più. Egli mi dichiarò che il partito si trovava riunito a congresso a Islington, un suburbio settentrionale di Londra. La seduta durava da tre settimane; ora era quasi terminata ed in qualche modo i trecento delegati dovevano raggiungere la Russia; ma il partito non aveva un soldo in tasca. Il mezzo più economico era la via per mare e 500 sterline costituiva la somma più ridotta per effettuare il ritorno.
Io domandai a Rothstein come mai il partito avesse deciso di prendere una simile iniziativa, ed egli mi rispose che essi avevano da principio deciso di tenere il loro congresso fuori dalle unghie della polizia czarista ad Helsingfors in Finlandia. La Finlandia allora era sotto la sovranità russa, ma fruiva di certi diritti, sia pure precari, di autonomia e della libertà di parola. Ma proprio all’epoca del congresso lo Czar colpi improvvisamente le libertà finlandesi, ed il partito dovette modificare il suo progetto. Cosi quei socialisti russi noleggiarono una nave e si diressero verso Copenhagen. Ma la polizia danese, temendo fastidi dallo Czar, impedì lo sbarco e quelli veleggiarono volentieri verso Stoccolma, dove li attendeva la stessa sorte. Restava da giocare l’ultima carta: tentare l’Inghilterra. Questa volta furono più fortunati. Essi sbarcarono indisturbati sulle rive del Tamigi. La nostra polizia inglese, a quei tempi, se non era precisamente ospitale, era almeno indifferente.

Un milionario alla riscossa
Dopo questo fortunoso viaggio alla ricerca del diritto di libera discussione non è da stupire se i mezzi finanziari di questo avventuroso partito fossero esausti. Che cosa restava da fare? Io non potevo offrire personalmente le 500 sterline; ma, dopo breve riflessione, pensai che c’era un personaggio, che era in grado di farlo. Joseph Fels era un milionario eccentrico e generoso, che aveva guadagnato il suo danaro in America con una fabbrica di saponi comuni. Egli era nato in Russia, e nella sua giovinezza dalle terre dei pogrom contro gli ebrei era sbarcato a Nuova York. Io da parte mia pensavo che egli avrebbe dovuto sentire un senso di solidarietà per quei ribelli, che erano sbarcati sulle nostre rive.
Non che Fels fosse un socialista; egli era un convinto seguace di Henry George, il quale era dell’opinione che tutti i problemi del mondo si risolverebbero felicemente solo che si volesse adottare l’imposta unica sul reddito fondiario. Comunque Fels non era una persona di idee limitate e non aveva dimenticato la sua avversione per la tirannia degli Czar. Cosi ci portammo, io e Rothstein, all’ufficio di Fels nella City. Egli ci ricevette molto cordialmente, ci ascoltò pazientemente, e vide con soddisfazione che gli si presentava un ottimo mezzo per usare il superfluo della sua ricchezza.
Un oratore potente
Noi fummo presto sulla nostra strada per Islington, dopo aver riscosso il denaro alla banca di Fels. Il partito teneva il suo congresso in una rozza costruzione temporanea fatta di lamiera ondulata, conosciuta come la Chiesa Socialista. Fummo fatti salire sulla galleria. Al piano terreno sotto di noi Lenin stava parlando ad un uditorio che ascoltava affascinato. Aveva iniziato il suo discorso la sera precedente; l’aveva interrotto circa a mezzanotte, per riassumerlo poi il mattino seguente; ora - era circa l’una pomeridiana - stava avviandosi alla conclusione.
Piuttosto piccolo, ma di taglia quadrata, egli spirava un’impressione di dura forza; la sua testa di fattezza tartara dava l’impressione di un formidabile potere di concentrazione. Parlava con grande facilità, senz’ombra di sforzo. Sebbene io allora conoscessi poco il russo si capiva che il suo era un discorso ragionato, senza retorica e senza effetti sentimentali e patetici. Tratto tratto tuttavia lanciava frizzi, senza dubbio contro i suoi oppositori, che sollevavano l’ilarità generale. Finalmente egli si sedette, manifestamente soddisfatto, perché col suo discorso era riuscito nell’intento di spezzare irrimediabilmente in due parti il partito socialdemocratico russo. Il solco tra menscevichi e bolscevichi non riuscì più a colmarsi e, dopo la rivoluzione d’ottobre, il partito di Lenin lasciò cadere il suo vecchio nome e si chiamò comunista. In questo congresso ad Islington, tenuto nei giorni neri della reazione e della persecuzione, Lenin, come il Gedeone biblico, fece la scelta di quelli di cui poteva fidarsi e respinse gli altri. La sua sembrò la tattica di un fanatico; ma gli eventi mostrarono che questo fanatico era anche un realista, dotato di uno strano dono di previsione.
Quando Lenin si sedette, gli uditori si divisero in gruppi. Evidentemente si era diffusa la notizia tra i delegati che c’erano degli amici nella galleria, che avevano portato il denaro che occorreva loro. Uno dopo l’altro, i capi salirono a porgere i loro ringraziamenti. Per primo si presentò Plekhanov, il capo dei menscevichi, a quel tempo il più famoso dei socialisti russi. Egli era originario da una famiglia aristocratica, ed io ricordo ancora con piacere i suoi modi gentili ed il perfetto francese col quale ci ringraziò.
Trotsky sopraggiunse dopo. A quel tempo non apparteneva a nessuna delle due fazioni, ma capeggiava un piccolo gruppo, propenso alla conciliazione. Era un bell’uomo, vigoroso ed eretto, che si muoveva con spedita sicurezza, ed era chiaramente uno dei capi. Egli espresse il ringraziamento del suo gruppo in un fluente e cordiale tedesco.

Ringraziamenti per il prestito
Frattanto al piano terreno Lenin, circondato da un gruppo di amici, stava muovendosi verso la scaletta di ferro, che portava alla galleria. Essi scherzavano tra di loro e finalmente spinsero sulla scala la robusta ed orsacchiuta persona del loro capo. “Che cosa stanno dicendo?” mi chiedevo con un cero stupore. “Compagno, avete sistemato bene le cose. Bravo; e ringraziate .quel vecchio borghese bizzarro, che ci ha tratto d’impaccio, proprio nel momento opportuno”. Dicevano questo o qualcosa di simile. Questi furono i nostri contatti con Lenin. Egli non pronunciò una vera e propria forma di ringraziamento; ma disse poche parole in tedesco, piuttosto bruscamente. Quindi si sedette accanto a Fels.
Fu steso intanto un documento nel quale il partito riconosceva di aver ricevuto un prestito, che si impegnava a pagare dopo la vittoria della rivoluzione. Lenin lo firmò. Quando si alzò per partire, Fels gli cacciò nelle mani uno dei suoi opuscoletti di propaganda sull’imposta unica. Dal corso della storia posteriore della Russia io deduco che egli non sia riuscito a convincere Lenin.
Grazie al denaro di Fels la maggior parte dei delegati ritornò sana e salva in Russia; tra questi Stalin, che allora era una delle figure più giovani e di minor rilievo. I capi rimasero esuli e sparsi nell’Europa occidentale. Essi continuarono a discutere la tattica della rivoluzione accanitamente tra di essi, in opuscoli e periodici, che essi introducevano di contrabbando nella Russia. Sette anni dopo scoppiò la prima guerra mondiale, di cui Lenin si servì assai bene come di strumento per la rivoluzione. Dieci anni dopo quell’oscura conferenza di ribelli e di esuli senza soldi, i lavoratori di Pietroburgo spazzarono via lo Czar di tutte le Russie dal trono, s’impadronirono del Palazzo d’inverno sotto il comando di Trotsky, e fondarono sotto la guida di Lenin quel governo sovietico che dura ancor oggi.
Quello stesso partito di senza soldi, che aveva preso in prestito il prezzo del viaggio di ritorno da Joseph Fels, si ricordò del suo debito, nel giorno della vittoria. Nell’intervallo di tempo era morto il gentile e generoso prestatore; ma le 500 sterline a lui dovute furono pagate alla sua vedova.


In “Eco del mondo”, edizione italiana periodici Mondadori, n.21, maggio 1948

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