16.9.15

Antonio Panizzi (Arundell Esdaile)

Antonio Panizzi
Nel 1851 il « Dipartimento Libri Stampati » del British Museum acquistò un uomo destinato a sorpassare per importanza tutti coloro che avevano lavorato fin allora nel museo: fu Antonio Panizzi, il più grande dei bibliotecari.
Dopo la sua fuga da Modena, dove era stato condannato a morte, sostò a Liverpool e venne poi a Londra, dove fu introdotto da H. F. Cary, studioso di cose italiane e traduttore della Divina Commedia alla sala di lettura del British Museum, frequentata da un nuovo gruppo di emigrati (liberali italiani in esilio), tra i quali si trovava Gabriele Rossetti. Fu così ch’egli poté constatare l’inadeguatezza della biblioteca, alla quale era destinato a dare in seguito scopi completamente nuovi.
Durante i primi tempi della sua carica si dedicò al difficile compito di trovare un posto per i vari materiali della biblioteca, preparando dei nuovi cataloghi soddisfacenti. Invitato nel 1835 ad esprimere il suo parere di fronte ad un apposito comitato d’inchiesta, Panizzi offrì la più convincente tra le varie testimonianze, rivelando l’incuria con cui era stata amministrata finanziariamente sin allora la biblioteca del museo. La nazione, secondo la dichiarazione di Panizzi, non aveva fatto quasi niente per la biblioteca, mentre tutti gli altri dipartimenti avevano ricevuto attenzione e sussidi. Panizzi seppe porre il dito sulla piaga : «L’opinione pubblica si sofferma soltanto su uno degli scopi pei quali il British Museum è stato istituito, quello, cioè, d’essere un luogo di mostra. Disgraziatamente, nei riguardi del suo obbiettivo più nobile ed importante, che è quello d’essere un centro per il progresso dell’istruzione, per gli studi e le ricerche, il pubblico sembra pressoché indifferente». Circa la questione della scelta dei libri egli dichiarò : «Se le cose dipendessero da me, direi che sarebbe meno importante per la biblioteca possedere dei libri moderni usuali, che avere dei volumi rari, di tiratura ridotta, di grande mole e di alto prezzo, che non possono esser trovati altrove da persone cui non è dato accedere a grandi collezioni private. Per quanto concerne i libri, voglio che lo studente povero abbia le stesse possibilità del più ricco cittadino del regno di soddisfare la sua curiosità, di approfondire le più intricate indagini; sostengo che il governo abbia il dovere di offrirgli a questo riguardo l’assistenza più liberale ed illimitata».
Nel 1836 Panizzi fu nominato bibliotecario in capo; la sua carica durò dieci anni. Quale amministratore di una biblioteca non ha mai avuto rivali. Trovò una biblioteca di 115.000 volumi stampati, senza contare la King’s Library. Questa biblioteca non soltanto era di poca importanza, paragonata alle più grandi di Europa, ma era anche un cumulo caotico di donazioni, utile senza dubbio agli studiosi di storia, ma non tanto utile quanto avrebbe potuto essere se si fossero acquistati i libri con metodo, e assolutamente inutile per gli studiosi di cose riguardanti il mondo moderno. Per i libri occorre un catalogo e per un catalogo tutto un codice di regole. Le regole di Panizzi costituirono il primo codice completo che sia mai stato ideato. Inoltre, seppe provvedere spazio per i volumi e posti per i lettori su una scala sino allora mai immaginata. Nel raccogliere i libri, nel disporli sugli scaffali, nel catalogarli, nella disposizione della sala di lettura, i criteri che noi usiamo oggigiorno furono di sua invenzione.
Il carattere di Panizzi fu cavalleresco, cioè combattivo e generoso. Niente avrebbe potuto essere più estraneo alla flemma britannica: farlo entrare nel tranquillo museo, fu come un tentativo di sistemare un vulcano italiano in un giardino olandese. In questioni di denaro fu decisamente disinteressato. Seppe farsi delle amicizie sincere non soltanto tra le personalità politiche e sociali di Londra, ma anche nella società commerciale di Liverpool, dove a quell’epoca Hazlitt scrisse nel suo Table Talk che niente del genere era possibile; gli uomini trovano il prossimo diverso, a seconda delle differenze insite nella loro stessa natura. Ma Panizzi perdeva la pazienza di fronte alle persone incompetenti, soprattutto quando la loro incompetenza era unita a furberia e ad arroganza. Senza dubbio fu persona anche troppo sensibile, come risulta da quanto scrisse ai suoi colleghi all’epoca in cui abbandonò la carica: «Se ho mai dato alcuno motivo di rammarico, ne sono sinceramente dispiacente, e spero si voglia riconoscere che sono stato sempre influenzato soltanto dal senso del dovere».
I bibliotecari in capo che gli succedettero, alcuni dei quali di capacità non inferiori alle sue, hanno avuto minori possibilità di compiere opera costruttiva: le linee generali da seguirsi erano state tracciate da Panizzi. È con ragione che il British Museum tiene il suo nome in grande onore.

Da “Eco del mondo”, n.12 Agosto 1947 Editoriale Domus – Milano
estratto da The library of the British Museum, Allen & Unwin Editori, Londra 1946


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