Ribelle, scapigliato:
anche la giovinezza di Brecht, che molti si ostinano a vedere come un
intellettuale che con la dialettica tenta di spaccare il capello in
quattro, è stata come tutte le giovinezze di questo mondo. In un
romanzo autobiografico, Avanguardia , la grande scrittrice
tedesca Marieluise Fleisser, che è stata anche una sua amante, ci
descrive Bertolt «Bidi» Brecht come un giovane Baal attraente e
scostante che «stimolava, infiammava, trasformava quelle donne che
erano tanto coraggiose da avere una relazione con lui». Baal proprio
come il protagonista del primo testo scritto, a diciannove anni, da
B.B. Un dramma-manifesto in cui la città natale, Augsburg, dove era
nato nel 1898, è presente con i suoi fiumi, i suoi boschi, operai,
puttane, borghesi, falliti che parlano un linguaggio di tutti i
giorni, mescolato a citazioni della Bibbia e influenzato dal
maledettismo di Büchner.
Quanto del giovane Bidi
c'è in Baal, il poeta della natura ma anche lo sfruttatore di donne,
dell'amicizia? E quanto di Brecht c'è in tutti i suoi testi dai più
ferocemente dimostrativi a quelli più liberi, più carichi di
dubbio, ai più «nascosti» anche per necessaria scelta di
sopravvivenza nella Ddr dove, dopo il ritorno in Europa dall'esilio
americano, decide di vivere e fonda il suo teatro, il Berliner
Ensemble?
L'anniversario della sua
morte, avvenuta il 14 agosto del 1956, ci permette di ripensare al
suo cammino di scrittore, di drammaturgo, di innovatore del teatro
«anche» attraverso i momenti di un'autobiografia tumultuosa, alla
ricerca di che cosa di Brecht, figlio in tutto e per tutto delle
vittorie e delle sconfitte epocali dei primi cinquant'anni del
Novecento, sia rimasto come eredità alla cultura e al teatro del
Terzo Millennio.
Frank Wedekind,
provocatorio e sensuale, Karl Valentin, il clown che accompagnava
nelle birrerie suonando il clarinetto, e la sua lugubre logica,
Büchner, Rimbaud, Villon sono i suoi modelli giovanili scelti per
filiazione ma anche perché sente la necessità di un cambiamento.
«Lasciate che vi dica una cosa, cari lettori: niente può impedirci
di riempire i teatri di eccezioni». Quando scrive queste riflessioni
su un quotidiano di Augsburg, di cui è critico teatrale, Brecht ha
22 anni. E da quel momento e per tutta la vita si adopererà perché
queste «eccezioni» contro il ron ron dell'abitudine teatrale, si
verifichino il più spesso possibile. L'ha sostenuto, teoricamente,
in Dialogo per l'acquisto dell'ottone che è il suo vero
breviario di estetica teatrale pensato come un affascinante confronto
di opinioni diverse e, in pratica, da «scrittore di drammi», come
ama definirsi, e come regista di opere sue e altrui.
Il cosiddetto metodo
brechtiano nasce da qui, da un'intuizione giovanile che si trasforma
in pratica teatrale. Ma anche dalla vicinanza all'inventore del
teatro politico Erwin Piscator che gli mostra la necessità di una
scena in grado di progettare la realtà e dalla frequentazione del
grande Max Reinhardt, per il suo glorioso eclettismo e la capacità
di intervenire sugli attori.
Ecco: scrivere per il
palcoscenico, saper lavorare per la scena, ma avendo la vita sempre a
fianco come una compagna indivisibile sia come consapevolezza della
quotidianità sia come dimensione «politica» e dunque comune,
condivisa, dell'esistenza, può essere un'eredità importante di
Brecht (e di ogni grande scrittore). Un'eredità che nasce
dall'accettazione della sua fragilità, dei suoi errori, dall'aver
saputo affermare, Brecht, che sempre e comunque - come dice il titolo
di un suo celeberrimo testo - un uomo è un uomo.
Tutto questo va molto al
di là del pur famoso effetto di straniamento da lui richiesto agli
attori di cui - sosteneva Giorgio Strehler - tutti parlano ma pochi
sanno cos'è. È qualcosa che si rispecchia nella qualità letteraria
dei suoi testi e delle sue poesie, che discende da quella corrente
d'energia distruttrice e ribelle del giovane Brecht che è sempre
stata, anche nella contestazione del proprio passato secondo
un'ottica marxiana, ben presente in lui. Sta in una vita vissuta
pericolosamente - con i suoi silenzi e le sue angosce, i suoi
accomodamenti (per esempio negli Usa durante la tristemente famosa
«caccia alle streghe» di McCarthy) -, nelle città così simili a
quello «sfavillante escremento di luce» di cui racconta in
Mahagonny, nella semplice verità di affermare che al mondo non c'è
tanto bisogno di eroi quanto di uomini. Sta anche nella lucidità
conservata persino nella delusione più grande, nella capacità di
pensare un pensiero collettivo in grado di proiettarsi nei
comportamenti dei personaggi, nel rifiuto delle contraddizioni di un
ordinamento sociale dominato dall'inevitabilità del male e
dall'ingiustizia, nel saper sottolineare l'ineludibile responsabilità
della scienza nei confronti dell'umanità come scrive in Vita di
Galileo. Sta nell'amore totalizzante, mai cieco ma esigente e
consapevole, per il teatro, nel cercare e inventare nuovi linguaggi
necessari a un'epoca nuova, moderna, nel gusto per un lavoro
collettivo accanto alle sue amate attrici e alle sue spesso sfruttate
amanti. E nella scoperta di uno spettatore considerato come un
compagno di strada che porta con sé in teatro la sua capacità di
pensiero mantenendola ben sveglia.
Per questo, soprattutto,
ha lavorato nel corso del suo lungo viaggio attraverso la scena e i
suoi generi senza mai lasciarsi sedurre, come dice una sua celebre
poesia. Paradossalmente rispetto al vero e proprio culto, talvolta
intimidatorio, di cui è stato oggetto, discutibile come lo è stata
la lunga stagione di dimenticanza di questi ultimi decenni sui
palcoscenici d'Europa, rileggendo oggi Brecht ci si rende conto di
quanto sia importante quella provocazione intellettuale che
ritroviamo in tutte le sue opere: non gli importa l'arte di parte, ma
vuole rivolgersi alla ragione degli uomini per fare nascere in loro
un modo di pensare «pratico». «Ciò che mi interessa - scrive - è
il rapporto fra uomo e uomo così come oggi si presenta. E con il mio
lavoro tento di ricercare ed esprimere questo rapporto». È questo,
insieme alle sue opere, che oggi ci importa di lui ben più del suo
monumento.
L'Unità,14 Agosto 2006
Grazie mille!
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