16.10.15

Gastronomia. L’arte del momento, facile da consumare e capire (Martín Caparrós)

Pioveva sul giardino ducale di Modena. Scendeva la sera, e centinaia di persone sopportavano la pioggia senza battere ciglio. L’enorme palcoscenico era ancora deserto, con quattro sedie vuote e un tavolino basso. Modena, in Emilia-Romagna, è una città molto chic, e come in tutta la regione qui abbondano i ricchi, il sangue latino e il parmigiano. Qui si fabbricano le Ferrari, le Lamborghini, le Maserati; qui c’è la casa in cui ha vissuto Enzo Ferrari e, a pochi metri, quella di Luciano Pavarotti.
Dieci minuti dopo, sotto la pioggia che continuava a scrosciare, tra gli applausi e le grida, tre uomini e una donna sono saliti in scena. Lei era una presentatrice acida della televisione; loro erano gli imprenditori gastronomici più dolci d’Italia. Massimo Bottura, 53 anni, del posto, di solito è presentato come “il secondo miglior chef del mondo” (dopo Adrià, chiaramente) e la sua Osteria è solo qui. Carlo Cracco, 50 anni, veneto, è il cuoco più richiesto da quando presiede la giuria di MasterChef Italia. Oscar Farinetti, 61 anni, piemontese, è il commerciante per eccellenza, l’inventore della catena di negozi Eataly che vende prodotti e generi alimentari italiani nelle grandi città del mondo.
La pioggia non accennava a fermarsi e loro ricordavano, riflettevano, pontificavano. Ognuno rispettava il suo ruolo: Massimo l’Appassionato raccontava ossessivamente le sue ossessioni culinarie; Carlo il Bello se ne usciva con frasi ingenue e commoventi; Oscar l’Astuto lanciava slogan dalle velleità filosofiche; Serena la Cinica li punzecchiava.
Il pubblico mangiava e beveva ogni parola. Ti spiegavano delle cose: che la cucina italiana è più esportabile di altre perché a definirla non sono le tecniche ma i prodotti, che i tortellini crudi sono quanto di meglio ci sia per farci sentire di nuovo bambini, che Lou Reed era diffidente, ma è andato all’Osteria e ci è tornato tre giorni di seguito, che abbiamo il miglior formaggio del mondo, che dubitare è fondamentale, che bisogna pagare di più per i prodotti buoni, e altre verità vere.
Io li ascoltavo, mi bagnavo e mi meravigliavo ancora una volta del fatto che il cibo, un esercizio quotidiano, ripetuto, attraverso cui riforniamo di energia e piacere i nostri corpi, sia diventato soprattutto qualcosa che non si mangia, ma che si legge, si ascolta, si guarda, si immagina.

Una certa vergogna
Il cibo, la cosa più materiale che c’è, quella più intima, è entrato nella logica dello spettacolo o della masturbazione. È un sintomo: passiamo ore a guardare da lontano quello che prima toccavamo, annusavamo, ingoiavamo. Forse è il cambiamento necessario per trasformare la gastronomia nell’arte del momento. Non è difficile: non è cara, non richiede formazione, ci sentiamo in grado di capirla. Di sicuro il discorso sul cibo, da queste parti, è onnipresente. Come dice Paolo Poli, uno dei comici più conosciuti (e longevi) d’Italia: “Credevo che questo fosse il secolo del sesso, invece è il secolo della cucina”.
Il mondo ricco non riesce a smettere di parlare (di guardare, di sentire, di leggere) di cibo, e prova una certa vergogna quando qualcuno fa presente che quasi un miliardo di persone non hanno abbastanza da mangiare. Che molti muoiono e che la colpa di solito è di un sistema che concentra la ricchezza, anche quella alimentare, nelle mani di pochi: nelle nostre mani.
Allora l’Expo di Milano, che è costata qualcosa come tredici miliardi di euro ed è una grande vetrina dell’alimentazione di chi riesce ad alimentarsi, ha scelto come slogan: “Nutrire il pianeta”. Allora il festival di Modena ha previsto, tra centinaia di dibattiti e lezioni e dimostrazioni della miglior gastronomia, uno sciocco argentino che presenta, una domenica pomeriggio, un libro sulla fame. E questo, immagino, migliora la digestione di tutto il resto. La colpa, se colpa esiste, scende meglio con l’olio al tartufo. Bianco, è ovvio.


Nel sito di “Internazionale” da “El Pais”(Traduzione di Francesca Rossetti), 8.10.2015

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