31.10.15

Il Sessantotto degli alpinisti

Copertina del volume fotografico "Yosemite in the Sixties" di Glen Denny (Hardcover Book)
Il Sessantotto è passato dappertutto, anche su pareti e alte montagne. È questa la tesi della rivista specializzata, “Alp”, nel numero di ottobre (Editore Vivalda, lire 5000). Proprio «attorno al Sessantotto», spiega Alp, in un inserto curato da Enrico Camanni, maturarono nuove concezioni dell’alpinismo e soprattutto un nuovo rapporto tra l’uomo, scalatore o escursionista, I ambiente, attraverso una critica ai miti consolidati nella tradizione (anche letteraria). Contro l'alpinismo eroico e la retorica del rischio e della sofferenza, i giovani d'allora scoprirono il gioco dell’arrampicata, fino a teorizzarlo come momento di rottura con la storia passata. Da lì nacque il free-climb, l'arrampicata su brevi falesie, che rinunciava alla vetta (anch'esso simbolo retorico), preferendole il puro gesto atletico e tecnico. Il cerchio si richiude su se stesso: il free-climb è diventato sport di massa, riproponendo e ricostruendo ancora miti e soprattutto mode e mistificazioni.
Immagini dal volume fotografico "Yosemite in the Sixties" di Glen Denny (Hardcover Book)
Riproporre un «Sessantotto alpino» non è poi tanto azzardato. Come sempre tutto cominciò negli Stati Uniti, tra le montagne dello Yosemite, con Gary Hemming, Royal Robbins, Chuck Pratt, rappresentanti particolari di una generazione beat che aveva scelto anche quella strada per contestare la società dei consumi, il Vietnam, la politica, per testimoniare, come i giovani di Berkeley, un rifiuto.
“Alp” ricostruisce quegli anni attraverso gli intervemi di numerosi protagonisti di quelle vicende e una breve antologia (compaiono le firme di Messner, Gogna, Reinhard Karl, Andrea Gobetti, Franco Brevini).
L'apertura è affidata a Pasolini: «... oh generazione sfortunata, arriverai alla mezza età e poi alla vecchiaia senza aver goduto ciò che avevi diritto di godere...».

Articolo redazionale - “l’Unità” Mercoledì 5 ottobre 1988

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