12.10.15

Poulet l'Antistendhal. Il disamore di un fascista belga (Massimo Raffaeli)

Jan Fabre, Istallazione
Il libro che riteneva più suo fu anche quello che a Stendhal diede i maggiori problemi di composizione, De l’amour, pubblicato nel 1822 e quindi sottoposto a un tormento di varianti, aggiunte e riscritture che mai lo riscattarono dalla irresolutezza: voleva essere un trattato e riuscì l'autobiografia ufficiosa di uno scrittore perpetuamente innamorato, ambiva all'analitica esistenziale e fu invece uno splendido (questo sì) concentrato di beylismo. 
Che Stendhal più o meno inconsciamente barasse lo testimonia l'indice, mai emendato, dove si promette di discutere, oltre all'amore-passione, anche l'amore-gusto, l'amore-capriccio e l'amore-vanità, tre ambiti che il grande libertino cui batteva in petto un cuore romantico volle in effetti ignorare. Al centro del suo grosso scartafaccio rimane l'immagine, celeberrima, che fa dell'amore-passione il risultato di un processo di cristallizzazione: «Nelle miniere di Salisburgo [chi lo sta traducendo è nientemeno Massimo Bontempelli, per una antica edizione einaudiana] si usa gettare nelle profondità abbandonate della miniera un ramo sfogliato dal gelo; due o tre mesi dopo lo si ritrova coperto di fulgide cristallizzazioni: i più minuti ramoscelli, quelli che non sono più grandi dello zampino di una cincia, sono fioriti d'una infinità di diamanti mobili e scintillanti; è impossibile riconoscere il ramo primitivo». Stando al suo più fiero eversore, quei diamanti non sarebbero che di vistosa bigiotteria se, a centocinquant'anni di distanza dalla piccola bibbia stendhaliana, Robert Poulet firma un libello e lo intitola Contre l'amour, il quale, dopo un'edizione semiclandestina uscita da Volpe nel '69, torna ora come Contro l'amore (a cura di Guilherme von Zastrow, Castelvecchi, pp. 126, € 9.00).
Poulet è noto in Italia appena per il libro-intervista a Louis-Ferdinand Céline (Il mio amico Celine, Elliot 2011) che fu tanto un suo amico quanto un alter ego, ma di lui nel complesso è ignota la trafila biobibliografica che fu tutt'altro che usuale, anzi fu quella di un anti-Stendhal postdatato. Nato a Liegi nel 1893, in un ambiente piccolo borghese e cattolico, dopo l'esperienza al fronte nella Grande Guerra, avvia una cospicua attività di poligrafo e di sceneggiatore (laddove gli si accredita la firma, per esempio, nel leggendario Napoléon di Abel Gance); critico letterario di autentico lignaggio (e fratello maggiore del più famoso Georges), uomo di destra ed editorialista politico, sotto l'Occupazione dirige il foglio collaborazionista «Le Nouveau Journal» per cui, alla Liberazione, viene processato, condannato a morte e quindi, in contemporanea con Céline, amnistiato e costretto dal 1951 all'esilio in Francia, dove rimane fino al decesso (sopraggiunto il 6 ottobre del 1989) sia intensificando la produzione di critico letterario e di memorialista, specie sulle colonne di «Rivarol», sia smarcandosi dalle sue più pesanti ipoteche ideologiche per attestarsi sulle posizioni di un anarchico conservatore. (Qui va aggiunto, a onor del vero, che se la sua couche, un cattolicesimo appunto retrivo e bigotto, era rimasta quella poi descritta nel capolavoro di Hugo Claus, La sofferenza del Belgio, il suo collaborazionismo era dipeso innanzitutto da una malintesa fedeltà al re Leopoldo III, non certo alle parole d'ordine del nazismo flamand e tanto meno a quelle di Léon Degrelle, promotore del famigerato movimento «Rex»: d'altronde, che Poulet fosse un nemico giurato di Degrelle lo dice la monumentale biografia dedicatagli da Jean-Marie Delaunois, Dans la melée du XXe siècle. Robert Poulet, le corps étranger, Editions de Krijger 2003, e lo conferma il saggio stravagante, appendice a Le Benevole di Jonathan Littell, Il secco e l'umido. Una incursione in territorio fascista, Einaudi 2008).
Cos'ha da dire dunque un simile individuo, così deliberatamente anti-illuminista e insieme anti-romantico, al venerabile Stendhal? Intanto che la proverbiale cristallizzazione non è affatto una causa ma un sintomo, ambiguo e pernicioso: «Ci si affeziona per caso a un soggetto qualsiasi. Poi ci si persuade che l'amato doveva venire scelto fra tutti, e si inventano cento ragioni per amarlo, ricamando intorno a due o tre tratti più o meno piacenti che in esso si sono scoperti». Scritto in pieno 68. dopo altri libelli scagliati in faccia agli idoli della tribù (il mito o, si dice oggi, l'invenzione della giovinezza, la borghesia come ceto universale, l'automobile quale simbolo di libertà), Contre 1'amour è steso in stile aforistico, di chiarezza esemplare, nudo di note e di riferimenti, dove per contraddire Stendhal ci si fionda sui versanti che lo stesso Stendhal ha rimosso: costruito alla maniera di un piccolo trattato, affronta in modo sistematico l'amore come desidero, come libertinaggio, l'amore convenzionale, l'amore coniugale, gli amoretti o amorazzi oltre che, ovviamente, l'amore-passione.
Poulet è persuaso che l'amore sia stato progressivamente annientato dal discorso sull'amore o, in altri termini, che i moderni processi di civilizzazione come di secolarizzazione ne abbiano tradito la natura per eccesso oppure per difetto, da un lato facendone schermo e bersaglio della libido, dall'altro sublimandolo nel vocabolario dell'assoluto, il quale «falsa un sentimento che è nell'ordine del relativo». Per Poulet (secondo cui «non si può essere più sciocchi, in materia, di quest'uomo intelligente, Stendhal») la retorica dell'amore è una metafisica dell'accecamento sensuale ovvero una inconscia fuoruscita del senno, insomma è dismisura, proiezione di sé sul sembiante dell'altro, infine un inganno che non teme né sa di essere sempre un autoinganno. Al riguardo, lui così fermamente cattolico non riesce a dichiarare una schietta preferenza per i libertini ma è chiaro che li preferisce agli spiriti sentimentali che vede dominare la letteratura, il cinema, il teatro e le canzoni in cui, soggiunge, «si insegna a sospirare come a tirare la cocaina». Non arriva certo a proclamare, pari al suo amico Céline, che l'amore «è l'infinito alla portata dei cani» ma con una simile boutade, in realtà una apologia rovesciata, deve comunque fare i conti. Il suo è perciò un trattatello del disinganno prima che del disincanto, cioè un antidoto alla dismisura del corpo e/o dello spirito cui lo scrittore belga ha da opporre qualcosa che ancora non ha il beneficio di un nome o, semmai, ha solo quello di una casta perifrasi.
Non è la fiamma che brucia e consuma, ma un tepore più normale e domestico, un tenue ardore che esige la consapevolezza dei propri limiti affettivi e il pieno riconoscimento, infine il rispetto, dell'altro. Scrive: «Sangue freddo, buon senso, schiettezza di spirito e di cuore sono le disposizioni in cui si sviluppa il vero amore. Nessuna di queste tre virtù è alla portata della gioventù, che deve quindi accontentarsi del falso amore, in tutte le sue forme, che ci appagano della vana eccitazione, dello smarrimento, della menzogna. [.. ,]Si comincia ad amare quando si diventa intelligenti».
Quella di cui sta parlando è una forma d'amore che non molti saprebbero distinguere dal riserbo di un sostanziale disamore: come il grande Stendhal, il vecchio Poulet aveva molto amato e vissuto però non poteva avere alle spalle lo struggente ricordo delle miniere di Salisburgo, perché incombeva ancora e sempre su di lui il secolo delle macerie.

"alias domenica il manifesto"10 giugno 2012

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