1.11.15

Cina: giro di vite in architettura? Xi teme il virus della stranezza (Lucia Tozzi)


Il presidente contro gli edifici stravaganti,
 spesso opera di progettisti stranieri, 
a favore di un'edilizia 
più autenticamente cinese 

In un discorso di due ore sulle arti, tenuto a metà ottobre durante un simposio letterario, il presidente cinese Xi Jinping si è pronunciato contro gli edifici weird, strani, che hanno invaso il Paese negli ultimi decenni. E per strani non intendeva solo l’uovo di Zaha Ha-did a Pechino, il palazzo-teiera a Wuxi o la fallica sede del quotidiano People’s Daily, ma anche il Cctv building (realizzato da Office for Metropolitan Architecture), il palazzo della televisione nazionale, in occidente noto come loop e a Pechino come “mutandone”.
E' improbabile che il giudizio del presidente possa ancora tradursi, nella Cina contemporanea, in una sentenza esecutiva contro il linguaggio spettacolare prediletto dal real estate, ma se anche lo fosse chi rimpiangerebbe quell’ansiosa rincorsa al figurativo, quelle gare di pesci, verdure, giocattoli e simboli? Gli stessi architetti dovrebbero sentirsi sollevati, felici di potere progettare liberamente in forme meno kitsch.
 Xi Jinping 
Eppure la notizia ha pesato molto sui media internazionali, per più motivi. Il fatto stesso che il capo di uno Stato dedichi un lungo discorso ufficiale all’argomento arte è insolito, ma l’espressione di idee così nette è caso rarissimo. Il disgusto per le architetture considerate volgari, poi, è incastonato in una serie di prescrizioni che riguardano tutta la produzione culturale: le opere d’arte «dovrebbero assomigliare a un’alba nel cielo azzurro e alla brezza primaverile che illumina la mente, riscalda i cuori, educa al gusto e spazza via gli stili indesiderabili»; dovrebbero trarre ispirazione dalla gente e dalla realtà e liberarsi dalle catene del mercato, per non perdere vitalità; dovrebbero essere capaci di rappresentare un’epoca e di nutrire e plasmare l’anima delle persone. Come se non bastasse, Xi ha concluso che «l’arte deve disseminare valori della Cina contemporanea, incorporare la cultura cinese tradizionale e riflettere la ricerca estetica cinese».
Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dopo anni di pura ricezione e infinite copie, la Cina rivendica un’autonomia artistica, anzi addirittura manifesta con spavalderia l’intenzione di colonizzare (un giorno) il mondo con la sua arte. Una posizione banalmente conservatrice non avrebbe fatto scalpore, in fondo è noto che i regimi autoritari non si fanno scrupoli a usare la cultura nei modi più retrivi. Fa buon gioco all’Occidente mostrare per contrasto la propria liberalità nell’accettare, anzi coltivare al proprio interno, la critica e il dissenso. E il richiamo a Mao, ai bei tempi dei discorsi di Yan’an, è corroborante per i nostri media. Ma chiudere le porte ai nostri architetti, ai nostri artisti che per tanti anni hanno usato quel Paese come un meraviglioso laboratorio dove tutto era possibile, è inquietante.

Quella che poteva essere una critica di buon senso - il rifiuto del modello Disneyland a scala continentale - viene così derubricata, delegittimata come bassa propaganda socialista e nazionalista, ricorso al soft power. Si paventano le conseguenze morali e materiali di una pressione esercitata dall’alto sulla libertà del progettista, il pensiero corre subito alla pomposa architettura di regime, in Germania, in Russia o in parte in Italia. Oppure, per fare un esempio più recente, al mostruoso compromesso del padiglione cinese dell’Expo 2010 di Shanghai, che doveva combinare lo stile internazionale e contemporaneo di Brian Zhang Li con un richiamo alla tradizione del più maturo He Jingtang, e risultò un’enorme pagoda-fungo su una base invisibile.
Il mondo è pieno di monumenti del genere, ma la loro stucchevolezza non li rende più aggressivi rispetto ad altri edifici raffinati e in apparenza rivoluzionari, come la sede Cctv a Pechino o persino il Centre Pompidou di Richard Rogers e Renzo Piano a Parigi.
«A livello più immediato, la natura simbolica dell’architettura può essere descritta come esibizione e propaganda. Gli edifici mandano messaggi, veri o falsi che siano» scrive Rowan Moore in Why we build. «Il Centre Pompidou fu creato da un committente conservatore, il presidente Georges Pompidou, che voleva sembrare progressista. Entrato all’Eliseo nel 1968 - l’anno successivo alle rivolte studentesche - voleva restaurare l’ordine. Innalzare un edificio d’avanguardia sul pavé che era stato divelto e lanciato ai poliziotti non serviva a celebrare la rivoluzione, ma a sedarla. Se gli architetti capelloni somigliavano agli studenti, tanto meglio. L’edificio poteva allarmare i tradizionalisti, ma per il presidente gollista l’architettura radicale era meglio della politica radicale. La piazza antistante permetteva ai giovani di giocare con le palle e mangiare fuoco, che era un grande passo avanti rispetto al lancio di sassi e molotov. Il risultato fu più efficace della propaganda: il Pompidou ha trasformato il Marais e Parigi, ma ha lasciato lo status quo politico intatto. E una negoziazione, un patto tra l’establishment e i giovani architetti.»
Quando il governo cinese commissionò il Cctv Building a Rem Koolhaas voleva dimostrare in modo inequivocabile di «non essere più un arretrato dinosauro culturale fuori dal tempo», per dirla con il critico Dejan Sudjic. La linea politica di Xi è molto diversa, accanita nella lotta alla corruzione e nel recupero dell’ideologia maoista, e alla ricostruzione di un’identità culturale che era stata a più riprese disintegrata. Una nuova generazione di architetti cinesi, formati all’estero e rientrati, è pronta a disegnare e in parte reinventarsi un’architettura tradizionale che l’urbanizzazione ha travolto come un uragano. Il più autorevole tra loro, Wang Shu, ha vinto il Pritzker Price nel 2012, e nessuno dei suoi edifici assomiglia ad animali, vegetali o a oggetti imbarazzanti.

“pagina 99 we” 8 novembre 2014

1 commento:

  1. Ottimo post! Stasera puntata imperdibile di "Muro" su Sky Arte, dedicata a Gary Baseman e al suo intervento a Giffoni Valle Piana: http://arte.sky.it/temi/programmi-tv-10-novembre-serie-street-art-gary-baseman-giffoni-valle-piana/

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