Il presidente contro gli edifici stravaganti,
spesso opera di progettisti stranieri,
a favore di un'edilizia
In un discorso di due ore sulle arti, tenuto a metà ottobre durante un simposio letterario, il presidente cinese Xi Jinping si è pronunciato contro gli edifici weird, strani, che hanno invaso il Paese negli ultimi decenni. E per strani non intendeva solo l’uovo di Zaha Ha-did a Pechino, il palazzo-teiera a Wuxi o la fallica sede del quotidiano People’s Daily, ma anche il Cctv building (realizzato da Office for Metropolitan Architecture), il palazzo della televisione nazionale, in occidente noto come loop e a Pechino come “mutandone”.
E' improbabile che il giudizio del presidente possa ancora tradursi, nella Cina contemporanea, in una sentenza esecutiva contro il linguaggio spettacolare prediletto dal real estate, ma se anche lo fosse chi rimpiangerebbe quell’ansiosa rincorsa al figurativo, quelle gare di pesci, verdure, giocattoli e simboli? Gli stessi architetti dovrebbero sentirsi sollevati, felici di potere progettare liberamente in forme meno kitsch.
Xi Jinping |
Eppure la notizia ha
pesato molto sui media internazionali, per più motivi. Il fatto
stesso che il capo di uno Stato dedichi un lungo discorso ufficiale
all’argomento arte è insolito, ma l’espressione di idee così
nette è caso rarissimo. Il disgusto per le architetture considerate
volgari, poi, è incastonato in una serie di prescrizioni che
riguardano tutta la produzione culturale: le opere d’arte
«dovrebbero assomigliare a un’alba nel cielo azzurro e alla brezza
primaverile che illumina la mente, riscalda i cuori, educa al gusto e
spazza via gli stili indesiderabili»; dovrebbero trarre ispirazione
dalla gente e dalla realtà e liberarsi dalle catene del mercato, per
non perdere vitalità; dovrebbero essere capaci di rappresentare
un’epoca e di nutrire e plasmare l’anima delle persone. Come se
non bastasse, Xi ha concluso che «l’arte deve disseminare valori
della Cina contemporanea, incorporare la cultura cinese tradizionale
e riflettere la ricerca estetica cinese».
Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dopo anni di pura ricezione e infinite copie, la Cina rivendica un’autonomia artistica, anzi addirittura manifesta con spavalderia l’intenzione di colonizzare (un giorno) il mondo con la sua arte. Una posizione banalmente conservatrice non avrebbe fatto scalpore, in fondo è noto che i regimi autoritari non si fanno scrupoli a usare la cultura nei modi più retrivi. Fa buon gioco all’Occidente mostrare per contrasto la propria liberalità nell’accettare, anzi coltivare al proprio interno, la critica e il dissenso. E il richiamo a Mao, ai bei tempi dei discorsi di Yan’an, è corroborante per i nostri media. Ma chiudere le porte ai nostri architetti, ai nostri artisti che per tanti anni hanno usato quel Paese come un meraviglioso laboratorio dove tutto era possibile, è inquietante.
Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dopo anni di pura ricezione e infinite copie, la Cina rivendica un’autonomia artistica, anzi addirittura manifesta con spavalderia l’intenzione di colonizzare (un giorno) il mondo con la sua arte. Una posizione banalmente conservatrice non avrebbe fatto scalpore, in fondo è noto che i regimi autoritari non si fanno scrupoli a usare la cultura nei modi più retrivi. Fa buon gioco all’Occidente mostrare per contrasto la propria liberalità nell’accettare, anzi coltivare al proprio interno, la critica e il dissenso. E il richiamo a Mao, ai bei tempi dei discorsi di Yan’an, è corroborante per i nostri media. Ma chiudere le porte ai nostri architetti, ai nostri artisti che per tanti anni hanno usato quel Paese come un meraviglioso laboratorio dove tutto era possibile, è inquietante.
Quella che poteva essere
una critica di buon senso - il rifiuto del modello Disneyland a scala
continentale - viene così derubricata, delegittimata come bassa
propaganda socialista e nazionalista, ricorso al soft power. Si
paventano le conseguenze morali e materiali di una pressione
esercitata dall’alto sulla libertà del progettista, il pensiero
corre subito alla pomposa architettura di regime, in Germania, in
Russia o in parte in Italia. Oppure, per fare un esempio più
recente, al mostruoso compromesso del padiglione cinese dell’Expo
2010 di Shanghai, che doveva combinare lo stile internazionale e
contemporaneo di Brian Zhang Li con un richiamo alla tradizione del
più maturo He Jingtang, e risultò un’enorme pagoda-fungo su una
base invisibile.
Il mondo è pieno di
monumenti del genere, ma la loro stucchevolezza non li rende più
aggressivi rispetto ad altri edifici raffinati e in apparenza
rivoluzionari, come la sede Cctv a Pechino o persino il Centre
Pompidou di Richard Rogers e Renzo Piano a Parigi.
«A livello più
immediato, la natura simbolica dell’architettura può essere
descritta come esibizione e propaganda. Gli edifici mandano messaggi,
veri o falsi che siano» scrive Rowan Moore in Why we build.
«Il Centre Pompidou fu creato da un committente conservatore, il
presidente Georges Pompidou, che voleva sembrare progressista.
Entrato all’Eliseo nel 1968 - l’anno successivo alle rivolte
studentesche - voleva restaurare l’ordine. Innalzare un edificio
d’avanguardia sul pavé che era stato divelto e lanciato ai
poliziotti non serviva a celebrare la rivoluzione, ma a sedarla. Se
gli architetti capelloni somigliavano agli studenti, tanto meglio.
L’edificio poteva allarmare i tradizionalisti, ma per il presidente
gollista l’architettura radicale era meglio della politica
radicale. La piazza antistante permetteva ai giovani di giocare con
le palle e mangiare fuoco, che era un grande passo avanti rispetto al
lancio di sassi e molotov. Il risultato fu più efficace della
propaganda: il Pompidou ha trasformato il Marais e Parigi, ma ha
lasciato lo status quo politico intatto. E una negoziazione, un patto
tra l’establishment e i giovani architetti.»
Quando il governo cinese
commissionò il Cctv Building a Rem Koolhaas voleva dimostrare in
modo inequivocabile di «non essere più un arretrato dinosauro
culturale fuori dal tempo», per dirla con il critico Dejan Sudjic.
La linea politica di Xi è molto diversa, accanita nella lotta alla
corruzione e nel recupero dell’ideologia maoista, e alla
ricostruzione di un’identità culturale che era stata a più
riprese disintegrata. Una nuova generazione di architetti cinesi,
formati all’estero e rientrati, è pronta a disegnare e in parte
reinventarsi un’architettura tradizionale che l’urbanizzazione ha
travolto come un uragano. Il più autorevole tra loro, Wang Shu, ha
vinto il Pritzker Price nel 2012, e nessuno dei suoi edifici
assomiglia ad animali, vegetali o a oggetti imbarazzanti.
“pagina 99 we” 8 novembre 2014
Ottimo post! Stasera puntata imperdibile di "Muro" su Sky Arte, dedicata a Gary Baseman e al suo intervento a Giffoni Valle Piana: http://arte.sky.it/temi/programmi-tv-10-novembre-serie-street-art-gary-baseman-giffoni-valle-piana/
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