11.11.15

Macchinista ferroviere. Carbone, vapore e ricordi (Luigi Corvi)


La locomotiva Fs 290
MILANO
Gli brillano ancora gli occhi chiarissimi quando parla della «sua» 290, la locomotiva più bella: mille cavalli, tre cilindri, 12 quintali di carbone per fare 72 chilometri, velocità massima 80 all’ora («ma in discesa verso Milano arrivavamo anche a 100»). Giulio Acerbone compirà 93 anni il prossimo giugno ma ad ascoltarlo sembra che per lui il tempo si sia fermato a quegli anni ruggenti in cui, prima come fuochista e poi come macchinista delle Ferrovie Nord, guidava quelle belve a vapore da Milano a Laveno, da Como a Varese, da Castellanza a Valmorea.
Ricorda benissimo ogni piccolo particolare della «290» di cui le officine Cesma di Saronno avevano costruito solo quattro esemplari. E sì che, a quell’ epoca, di locomotive le Nord ne avevano ben 57 di sei diversi modelli. «Ho iniziato nel 1931, a 15 anni, come fuochista - ricorda Acerbone - ma prima ho lavorato con mio padre che era tubista nelle officine di Saronno dove si riparavano le locomotive. Dopo pochi anni sono diventato macchinista. Una vita nomade, con turni che duravano anche 12 ore perché prima di partire bisognava preparare la macchina, portare la caldaia in pressione e se poi partivi e il manometro cominciava a scendere era una gran fatica a buttare carbone con la pala, a stenderlo con la forca».
«Se c’era nebbia, e a quei tempi ce n’era tanta, bisognava tenere la testa fuori per vedere i segnali. Non esistevano binari per girare la locomotiva, da Laveno a Milano si andava con la marcia indietro. Però era una bella soddisfazione. I treni, soprattutto il sabato e la domenica, erano strapieni. E la gente, arrivati in stazione, veniva a salutarti, ti offriva il caffè. Si guadagnava anche bene: nel '43 io prendevo mille lire al mese».
Poi un giorno, era il '46, mandarono di colpo in pensione tutte le locomotive a vapore ed entrarono in funzione i treni elettrici. «Io ho pianto quando le hanno buttate via tutte», ricorda Acerbone sfogliando fotografie ingiallite. Lui ha viaggiato ancora per molti anni («Ma i treni elettrici erano tutta un’ altra cosa») poi nel 53 è diventato capo deposito e nel 73 è andato in pensione. «Adesso - sorride - ci sono bei treni, si lavora più sicuri, però i tempi di percorrenza sono sempre gli stessi».


Corriere della Sera, 28 febbraio 2009

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