Nella rubrica di lettere
del “manifesto” un lettore di Lucca, Gianni Quilici, rievocava
con parole lucide e appassionate la bellezza (politica,
intellettuale, umana) di Lucio Magri, parole in cui mi riconosco e
che volentieri “posto” in questo blog a futura memoria. (S.L.L.)
Giustamente si è
ricordato, rappresentato, discusso Pasolini, a 40 anni dalla sua
morte, perché ancora ci «parla», ci «tocca», ci è «utile».
Pochissimo si scriverà invece di Lucio Magri, a quattro anni
(soltanto) dalla sua morte (per scelta). Forse neppure “il
manifesto, che pure gli deve molto.
E Magri possiamo certo
leggerlo (e non è poco), ma, a differenza di Pasolini, non possiamo
vederlo, né sentirlo nel flusso della sua esistenza. Quanti saranno
stati i comizi, gli interventi, le interviste televisive fatte da
Magri! Di tutto questo in rete si trova soltanto la presentazione de
Il sarto di Ulm a Bologna, che certamente non rende l’idea
del Magri degli anni ’70, ’80, ’90, gli anni in cui abbiamo
potuto vederlo e ascoltarlo pubblicamente. Perché è sia nei suoi
libri, articoli, saggi, sia nei suoi interventi orali che
trovo due aspetti, che mi hanno sempre colpito e affascinato di Lucio
Magri: la complessità e insieme un’idea estetica, portata al
perfezionismo, come osservava Valentino Parlato, sia nello scrivere e
nel parlare che nel presentarsi e nell’esistere.
La complessità in Magri
viveva nella ricerca ossessiva della causa ultima delle cose, che era
spesso la molteplicità delle cause, con tutte le conseguenze che ne
derivavano. Un ragionamento che scavava per successivi
approfondimenti, che ti prendeva per mano e ti faceva toccare con
limpidezza lo «stato delle cose». Il senso dell’estetica, invece,
era nella chiarezza e nella limpidezza, nel ritmo dei periodi fluenti
e nella ricerca del vocabolario giusto che cogliendo la profondità
coglieva anche ciò che ci tocca della profondità: il «cuore delle
cose». Un suo comizio o la conclusione di un convegno erano quasi
sempre "illuminanti", ma anche "commoventi",
facevano fermentare energie dinamicizzandoti. "Illuminanti"
perché vedevi grandi spazi, il tempo della storia, i conflitti delle
classi, possibili idee forza da trasmettere. "Commoventi"
perché toccavano le viscere dell’umano: la profondità del dolore,
l’utopia possibile.
L’estetica era anche
nell’arte del discorso, nella voce sottile e musicale, che sapeva
essere sferzante e appassionata, distaccata e divertita. L’estetica
era inoltre anche nel volto da "attore americano", ma di
quell’attore che trascende la bellezza dei lineamenti e diventa
"artista", creatore di un’immagine forte di sé, una
commistione, cioè, di energia intellettuale, di eleganza e di
mistero.
Per questo il migliore
modo di "commemorare" Lucio Magri è "scoprirlo",
o “ripensarlo” cioè leggerlo e utilizzarlo, per ciò che ci ha
lasciato per il nostro futuro, perché sono d’accordo con Alberto
Burgio che sul manifesto scrisse: «Questo gli ha permesso di portare
a termine, nonostante un dolore inemendabile, uno dei libri più
belli e importanti su di noi - sui comunisti italiani e sul comunismo
novecentesco - che siano mai stati scritti». E con Perry Anderson
che osserva: «Lucio Magri era una figura unica nella sinistra
europea».
“il manifesto”, 1
dicembre 2015
Ti ringrazio Salvatore Lo Leggio per avere postato il mio intervento sul tuo blog con le parole che lo accompagnano. Naturalmente su Magri ci sarebbe molto altro da dire. Ma ho voluto ricordarlo per come mi è apparso come profilo umano-politico-intellettuale lasciando da parte il grande patrimonio di analisi e di proposte che ci ha lasciato come eredità.
RispondiEliminaGianni Quilici